21 Novembre 2024 - 10:55

Intervista a Giulio Coraggio sul caso del Tribunale austriaco che ha costretto un sito illegale di gioco d’azzardo a restituire i soldi al giocatore

Continua a destar curiosità ed interesse da parte degli altri Stati europei, il caso del tribunale austriaco che ha dato ragione a un giocatore che aveva giocato con un operatore

15 Ottobre 2024

Continua a destar curiosità ed interesse da parte degli altri Stati europei, il caso del tribunale austriaco che ha dato ragione a un giocatore che aveva giocato con un operatore online non autorizzato, quindi illegale, ottenendo di riavere indietro i soldi che aveva perso. Motivo? Trattandosi di gioco illegale, l’operatore di gioco non aveva diritto a trattenerli.

Come si può immaginare, questa decisione scatena una serie di interrogativi sulla logica che ha portato un tribunale ad accogliere le ragioni di chi, comunque, aveva giocato in maniera illegale.

Ed è inevitabile chiedersi: cosa succederebbe se un caso del genere si presentasse in Italia?

Pare che sia già successo. E per soddisfare questa e le altre curiosità, PressGiochi ha parlato con Giulio Coraggio, avvocato specializzato in gaming e partner dello studio DLA Piper.

Avvocato Coraggio, quale criterio ha seguito il tribunale austriaco per la sentenza in questione e quanto è possibile che questa vicenda si possa replicare con altre società e altri giocatori?

“La questione è quantomeno argomentabile. Il regime giuridico in Austria prevede un monopolio per l’offerta di gioco con vincita in denaro. È stato contestato varie volte perché sarebbe in contrasto con la libera prestazione di servizi a livello comunitario. Ma questa incertezza giuridica ha portato alcuni giocatori ad abusare un po’ del sistema, facendo sorgere innumerevoli contenziosi per poter recuperare le somme che hanno perso su siti di gioco che operano in Austria senza una concessione locale.

Questo è un caso singolare: è stato dichiarato dalla Corte Suprema austriaca che il bookmaker ha diritto a ottenere il pagamento degli importi persi dal giocatore. Dove invece la posizione un po’ scaltra del giocatore è stata che: visto che entrambe le parti facevano un’attività illegale, il contratto era nullo e quindi gli importi persi dal giocatore dovevano essergli restituiti.

Anni fa con il mio studio ci siamo occupati proprio di un caso direi identico in cui un giocatore aveva perso un importo molto elevato e riteneva, a causa della nullità del contratto in Italia, di dover ottenere indietro dal bookmaker tutte le somme perse.

Per precisare, non si tratta di giocatori che contestano di essere stati truffati, di non avere rispettato le regole concordate. Il giocatore contesta che non avrebbe dovuto proprio esserci quella giocata perché era illegale.

“Ecco contesta che essendo un contratto contra legem, ovvero in violazione della legge, sia un contratto nullo e quindi, indipendentemente da quello che viene rappresentato nel contratto, che evidentemente prevedeva che le somme perse fossero perse, il giocatore riteneva che tutte le somme giocate gli dovessero essere restituite indipendentemente dall’esito della giocata. Perché se l’attività di gioco era illecita sia per lui che per il bookmaker, il contratto doveva considerarsi nullo. È come se non ci fosse stato”.

Ma c’è il rischio che possa avvenire anche il contrario; cioè il giocatore che ha vinto potrebbe vedersi chiedere indietro dal bookmaker le somme vinte? Sembra che le notizie giornalistiche in Austria parlino proprio di questa ipotesi.

“Però questo è uno scenario un po’ particolare. Perché una pretesa di credito, un credito rispetto a un contratto nullo, secondo me da un punto di vista di diritto italiano non reggerebbe; mentre rispetto alle somme perse sarebbe più sostenibile.

Credo che ci sarebbe una discrasia tra l’approccio dell’Austria e quello che si avrebbe in Italia. Poi bisogna andare a vedere in concreto le argomentazioni giuridiche che sono alla base della conclusione del tribunale. Va da sé che una pretesa di credito rispetto a un contratto nullo potrebbe essere difficile da sostenere”.

Adesso veniamo al confronto con l’Italia. Sappiamo che ogni Paese nell’ambito del gaming ha delle regole differenti e l’Unione Europea non interviene, come ha ribadito più volte. Però questi sono degli episodi che, da quello che ho capito, riguardano un po’ leggi sulle contrattazioni in generale o sbaglio?

“Il regime applicabile è quello dell’obbligazione naturale. Quindi importi che vengono pagati per l’adempimento a un dovere sociale o morale.

Il concetto di dovere sociale o morale, la dottrina l’ha esteso anche all’attività di gioco. La giurisprudenza si è sviluppata sull’attività delle bische clandestine; ma poi questi casi sono stati equiparati al mondo del gioco online; perché appunto capita più spesso di giocare con società che si trovano in altre giurisdizioni.

Il regime dell’obbligazione naturale comporta che se c’è stato un pagamento spontaneo da parte del giocatore, quell’importo non può essere richiesto indietro. Lo scenario, invece, sarebbe diverso se il giocatore avesse giocato a debito. Come nei tanti casi riportati dalla stampa nei mesi scorsi a proposito dei famosi calciatori che giocavano a debito”.

Dopo le ultime Olimpiadi l’Agenzia dei Monopoli e la Guardia di Finanza hanno divulgato dei grossi numeri che riguardavano il gioco legale sui giochi ma anche il cosiddetto black market.

“Secondo me si deve intervenire sugli intermediari di pagamento, prevedendo una sanzione diretta in questa fase. Vi ricorderete che qualcosa era stato previsto direi forse oltre 10 anni fa. Ma poi il decreto attuativo non è stato mai adottato. Forse perché c’erano interessi in gioco diversi”.

Anche delle difficoltà tecniche, in realtà. Neanche all’estero sono riusciti ad applicare questi criteri.

“Sì, sappiamo tutti cos’erano i famosi pagamenti dei ‘mazzi di fiori’. C’era un periodo in cui il codice ‘pagamento per fiori’ veniva usato moltissimo per questi pagamenti.

Infatti erano tutte transazioni per ricaricare conti di gioco di siti non autorizzati che usavano questa causale in codice.

Praticamente tutti erano diventati dei romanticoni e volevano regalare questi fiori. E pure all’estero! Avevano quindi questi rapporti a distanza che erano quantomeno improbabili.

Però questo presuppone che l’attività di gioco sia stata svolta correttamente al di là del fatto che l’operatore avesse o meno una concessione di gioco. Il regime dell’obbligazione naturale, comunque non sarebbe stato applicabile se ci fosse stata un’attività, per esempio, fraudolenta a danno del giocatore.

Ci sono operatori che si devono conformare a standard molto elevati di altre giurisdizioni comunitarie, come pure in Inghilterra e a Gibilterra. In altre giurisdizioni gli standard sono molto più bassi. E poi ci sono quelli che agiscono senza alcuna concessione.

In questi casi, andiamo oltre l’offerta di gioco non autorizzato. C’è il rischio di un’attività di truffa. C’è il rischio di un concorso in associazione criminale… È uno scenario ben più complesso”.

Naturalmente tutte le misure che si possono prendere per impedire un’attività illegale sono un po’ come il contrabbando delle sigarette: se le sigarette dal tabaccaio costano il triplo rispetto al contrabbandiere, questo trova conveniente continuare. E difatti una delle misure che sono state più efficaci a suo tempo è stata quella di livellare i prezzi per rendere poco redditizio il contrabbando di sigarette.

“È assolutamente così. Noi che siamo in questo mercato da tanti anni ci ricordiamo ancora del grande lavoro che Francesco Rodano fece ai Monopoli ormai più di 10 anni fa. La strategia era quella di rendere l’offerta legale molto competitiva, in modo da convincere i giocatori da una parte gli operatori dall’altra a ottenere una concessione perché le condizioni del mercato legale erano tali da consentire una libera competizione.

Purtroppo ci troviamo in un momento storico in cui forse stiamo facendo un passaggio indietro perché sappiamo che c’è il divieto di pubblicità.

Un divieto che di fatto pone nello stesso regime giuridico gli operatori senza una concessione italiana e quelli in regola con la legge perché entrambi non possono fare pubblicità. Anzi, chi opera senza autorizzazione è più difficile da attaccare perché è basato, per esempio, a Curaçao, le indagini delle autorità su a una società che non ha alcuna presenza fisica in Italia o comunque non è basata nell’Unione Europea, è molto più complessa. Si deve andare a fare una rogatoria internazionale ed è quanto di più difficile da fare.

Inoltre, sappiamo tutti che i famosi 7 milioni della nuova concessione, al di là dei possibili contenziosi che potrebbero sorgere, in un mercato in cui non si può fare pubblicità rappresentano una barriera all’ingresso notevole”.

In realtà, chi non è autorizzato in Italia può fare della pubblicità online. Non potrà andare sui quotidiani e i periodici italiani, non potrà andare sulle emittenti televisive italiane, però chi può impedire a un operatore con licenza francese, piuttosto che tedesca o maltese di fare pubblicità su Internet? O di mandare dello spam e così via? Invece un concessionario, se dovesse fare delle comunicazioni commerciali si ritroverebbe con una sanzione fino a, immagino, anche la revoca della concessione.

“Per l’esattezza, il divieto di pubblicità non si collega direttamente alla normativa emessa da ADM, quindi non ci sarebbe la revoca della concessione. Ci sarebbero però delle sanzioni amministrative. Ed assolutamente vero che la società straniera non autorizzata in Italia è più difficile da raggiungere. C’è una normativa penale che vieta la pubblicità da parte loro, ma si deve attivare un procedimento penale che ha dei tempi molto lunghi e una notevole complessità, dove invece sappiamo che procedimenti davanti alla AGCOM sono alquanto veloci. Anche chi non ha la concessione può subire un procedimento di Agcom, ma poi l’attuazione di quella sanzione diventa più complessa”.

 

Giampiero Moncada – PressGiochi

×