Leggo con interesse che il gestore sarebbe diventato, recentemente, una risorsa per il settore, nei cui confronti molti soggetti iniziano ad approcciarsi con “amicalità” e “spirito di tutela quasi filantropico”.
Leggo con interesse che il gestore sarebbe diventato, recentemente, una risorsa per il settore, nei cui confronti molti soggetti iniziano ad approcciarsi con “amicalità” e “spirito di tutela quasi filantropico”.
La differenza tra le parole e i fatti è solitamente demandata alla scrittura di accordi e non di petizioni.
Solo tramite accordi scritti si può, da un lato, descrivere cosa fa oggi il gestore, quanta marginalità totalizza per sostenere l’attuale assetto di mansioni e funzioni, e dall’altro lato vincolarsi anche “per il futuro” a mantenere determinate dinamiche e volumi di affari, a prescindere dal tipo di delega fiscale che sarà partorita dall’Esecutivo e dalla evoluzione tecnologica che interesserà le AWP (che comunque sia sarebbe bene orientare sin da subito verso modelli tecnologici non sovrapponibili con le VLT).
Ai gestori AS.TRO non interessa sentirsi dire quanto “gli si vuol bene”, ma sono ovviamente interessati a vagliare proposte CONTRATTUALI di realtà industriali (non importa se singole o agglomerate) al cui interno vi sia il c.d. patto “anti-scippo”, ovvero l’espressa assunzione di impegno contrattuale a “gestire” l’eventuale e scongiurata miopia del decreto attuativo della delega fiscale, attraverso precise clausole a tutela “non del gestore”, ma dei rispettivi asset aziendali.
Tutto ciò non è “obbligatorio”, in quanto ogni filiera ha nella sua indole l’ambizione ad accorciarsi per aumentare marginalità, ma è solo “logico”, se si veicola all’esterno, con sempre più insistenza rispetto a “certe scadenze”, il ritrovato “amore” per quei gestori che hanno costruito il circuito di gioco a mezzo di awp.
Se fatti concreti seguiranno ne saremo tutti felici. Per ora si impone un dato di amarezza persistente.
Quando il gestore è stato definito “parassita”, oppure quando lo si è descritto come figura ammissibile solo laddove strettamente necessaria, e comunque mai ammesso a concorrere per un titolo di operatore di gioco lecito, mi sarebbe piaciuto ascoltare la reazione di un concessionario, e la sua opinione circa la rilevanza di una professionalità imprenditoriale che quotidianamente garantisce al sistema tutti i suoi meccanismi di funzionamento.
Mi sarebbe piaciuto ascoltare, da chi stava leggendo “su bozza” che – da lì a poco – avrebbe potuto teoricamente beneficiare di una “autostrada” verso l’accorciamento della filiera, che tale scelta non era corretta, non era giusta, non serviva per nessuna forma di sviluppo, e soprattutto non teneva conto degli enormi crediti industriali maturati da centinaia di gestori artefici della rete commerciale di vendita del gioco pubblico.
Mi sarebbe piaciuto ascoltare la difesa del principio industriale fondante del settore, nato grazie alla “strutturazione trasversale di imprese” e certamente non “sviluppabile”, in futuro, attraverso la de-strutturazione. Mi sarebbe piaciuto sentire qualche parola di “onesta economia applicata” e non leggere solo glaciali relazioni per analisti finanziari. I gestori sanno di rischiare tutto, e più delle petizioni di principio, preferirebbero poter consegnare ai rispettivi consulenti atti scritti e concreti collocabili in un piano industriale.
PressGiochi