Il Tar Lazio ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse i ricorsi proposti dalla società Obiettivo 2016 (già Snai Servizi Srl) che chiedeva il rinvio alla Corte Costituzionale per
Il Tar Lazio ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse i ricorsi proposti dalla società Obiettivo 2016 (già Snai Servizi Srl) che chiedeva il rinvio alla Corte Costituzionale per sollecitare una pronuncia sulla legittimità del monopolio sui giochi e sulle scommesse italiano relativamente alla richiesta di autorizzazione all’esercizio della raccolta senza concessione.
Per il ricorrente: “la situazione vigente in Italia risulta paradossale, perché il mercato dei giochi e delle scommesse, in nome del principio di parità di trattamento e del divieto di discriminazione, è stato artificialmente sdoppiato: A) da un lato, il mercato regolamentato dei concessionari di Stato; B) dall’altro, il free market degli operatori transfrontalieri, i quali agiscono senza vincoli di sorta, senza controlli e senza oneri tributari”.
La società aveva presentato al M.E.F. e all’A.D.M. un’istanza volta ad ottenere un’autorizzazione unica per la raccolta del gioco e delle scommesse ippiche e sportive, in modo da poter operare legalmente sul mercato italiano aprendo punti vendita a parità di condizioni con i soggetti stranieri che operano per il tramite dei CTD in forza della giurisprudenza della C.G.U.E.
“La convivenza di una doppia offerta di gioco,-continuava Obiettivo 2016 – tra l’altro gestita da operatori che, reciprocamente, possono contare su condizioni di competizione oggettivamente differenti (più favorevoli essendo quelle che si presentano agli operatori che si rifiutano di sottostare al sistema regolatorio statale di settore), all’interno di uno stesso mercato non dovrebbe … risultare plausibile ed ammissibile neppure da parte della Corte di Giustizia presso cui pende rinvio pregiudiziale sollevato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con sentenza non definitiva n. 4199 del 2013”. Per questo la società ricorrente chiedeva la rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, dell’art. 88 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, dell’art. 2, comma 2-ter del decreto legge 25 marzo 2010, n. 40, e dell’art. 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, per contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, evidenziando che, in un caso di reverse discrimination analogo a quello in esame, la Consulta ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale di talune disposizioni nazionali che, per effetto dei principi europei di libertà di circolazione e di stabilimento, non potevano essere applicate agli operatori di altri Stati membri, ma continuavano ad essere applicate nei confronti degli operatori italiani.
Il Collegio ha oggi risposto spiegando “che il tema dell’esistenza della reverse discrimination denunciata dalla società ricorrente deve essere affrontato alla luce dell’attuale quadro normativo e fattuale di riferimento, che è recentemente mutato per effetto della sentenza della C.G.U.E. in C-463/13 del 22 gennaio 2015, resa a seguito del rinvio pregiudiziale formulato dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza parziale 20 agosto 2013, n. 4199, pronunciata nel giudizio di appello promosso dalle società Stanley International Betting Ltd e Stanleybet Malta Ltd (di seguito denominate “società Stanley e Stanleybet”) avverso la sentenza di questa Sezione 20 febbraio 2013, n. 1884.
Le questioni poste dalla ricorrente sono finalizzate a mettere radicalmente in discussione il vigente sistema concessorio in materia di giochi e scommesse. La discriminazione a rovescio degli operatori nazionali denunciata dalla società ricorrente non sussiste rispetto a tutti gli operatori stabiliti in altri Paesi dell’Unione Europea, ma soltanto ad operatori – come le società Stanley e Stanleybet – che in passato non abbiano potuto ottenere in Italia le concessioni e le autorizzazioni richieste dalla normativa nazionale a causa dell’illegittimo rifiuto dello Stato italiano di rilasciare tali titoli. Pertanto ai fini della decisione sulla presente controversia assume rilievo decisivo stabilire se, anche dopo la nuova gara destinata a rimediare a tale violazione del diritto comunitario (la c.d. gara Monti), persista o meno il presupposto per invocare anche nei confronti degli operatori nazionali la disapplicazione del sistema concessorio (o, quantomeno, delle disposizioni recanti le sanzioni per l’esercizio di un’attività organizzata di raccolta di scommesse senza concessione o senza autorizzazione di polizia), in modo da parificare la disciplina applicabile agli operatori nazionali a quella applicabile nei confronti dei gestori dei CTD legati ad operatori stranieri ai quali siano state in passato illegittimamente negati i titoli richiesti.
Il Collegio ritiene che: A) non vi sia ragione per discostarsi in questa sede dalla consolidata giurisprudenza, anche della C.G.U.E., secondo la quale le restrizioni alle attività dei giochi d’azzardo possono essere giustificate da motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori nonché la prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco; B) le società Stanley e Stanleybet (operanti sul territorio italiano per il tramite dei CTD) abbiano impugnato il bando della gara Monti perché hanno correttamente inteso gli effetti che tale gara avrebbe prodotto sullo «sdoppiamento»della disciplina del mercato dei giochi, ponendo fine allo ius singulare degli operatori di altri Stati membri ai quali in passato erano state illegittimamente negati i titoli per operare nel mercato italiano; del resto dall’art. 10, comma 9-octies, del decreto legge n. 16/2012 si evince che la gara Monti è stata prevista dal legislatore al dichiarato fine di “rendere la legislazione nazionale pienamente coerente con quella degli altri Paesi che concorrono in ambito europeo alla realizzazione della nuova formula di gioco” e le predette società nel ricorso proposto avverso il relativo bando hanno espressamente dichiarato il proprio interesse ad aggiudicarsi le nuove concessioni, interesse che sarebbe stato, invece, insussistente se l’operatività del sistema dei CTD in assenza di concessione fosse stata comunque garantita dalla giurisprudenza della C.G.U.E.; C) l’integrale reiezione delle censure dedotte dalle società Stanley e Stanleybet avverso il bando della gara Monti (per effetto della sentenza del Consiglio di Stato n. 4199 del 2013 e della sentenza della C.G.U.E. del 22 gennaio 2015) valga a dimostrare che tale gara ha effettivamente sortito l’effetto di porre termine allo ius singulare degli operatori di altri Stati membri, che – come già evidenziato – costituisce il presupposto della reverse discrimination denunciata dalla società ricorrente; D) sia, quindi, oramai venuto meno il presupposto sul quale si fondano la richiesta della società ricorrente di disapplicazione degli articoli 1 e 2 del decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, dell’art. 88 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, dell’art. 2, comma 2-ter del decreto legge 25 marzo 2010, n. 40, e dell’art. 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, nonché l’ulteriore richiesta di rimessione alla Corte Costituzionale della questione di legittimità costituzionale di tali disposizioni per contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.
Allo stato, – ha concluso il collegio – «lo svolgimento dell’attività mediante il “modello CTD” è anch’esso soggetto all’obbligo della concessione e dell’autorizzazione» e, quindi, l’A.D.M. deve esercitare i suoi poteri di vigilanza nei confronti di tutti i soggetti che esercitino, con qualsiasi modalità, l’attività di raccolta di giochi e scommesse sul territorio dello Stato italiano, ivi compresi i gestori dei CTD”.
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