Pensavamo di averle viste tutte, ma la realtà va oltre anche alla nostra capacità di immaginare. Di Generoso Bloise
Il caso è recente quanto inquietante.
Alcune settimane or sono in un piccolo centro, funzionari dell’Agenzia Dogane e Monopoli e agenti della Guardia di Finanza operano un controllo presso un esercizio autorizzato alla raccolta di gioco e elevano un verbale a danni dell’esercente in quanto… dei ragazzi con età inferiore di anni 16 giocavano a biliardino senza la presenza di un genitore.
La prescrizione? Nella tabella dei giochi proibiti.
Imposta dal Questore? Nemmeno a pensarci: imposta dal Comune, ma non dal Sindaco, bensì dal responsabile dell’ufficio commercio del comune, all’atto della vidimazione della tabella del Questore.
È evidente – scrive l’avv. Generoso Bloise sulle pagine di PressGiochi MAG di gennaio – che non è importante dove è successo il fatto, ma il vero problema è che il fatto è vero.
La sanzione contestata è la violazione (?) dell’art. 110 comma 9 lettera c) del Tulps, ma la GdF indica nel comune l’autorità competente alla irrogazione della sanzione.
Ci sembra chiaro che l’operatore ha molteplici motivi per non dovere temere gravi conseguenze dall’accaduto, ma certamente la seccatura di dover spendere tempo e soldi per difendersi da una contestazione così singolare, è già un danno.
Il caso si presta però a delle riflessioni sistematiche di un certo rilievo.
Per gli operatori l’inutilità della tabella dei giochi proibiti sembra essere concetto acquisiti da molti anni, eppure resta sempre lì, appesa in modo ben visibile in un complesso normativo del 1930, quasi mai ritoccato, e con l’indicazione di decine di giochi (di cui pochissimi conoscono l’esistenza e le regole) e con delle prescrizioni che, il più delle volte, appaiono incomprensibili da un paio di decenni almeno.
Eppure la tabella dei giochi proibiti è un atto amministrativo che aveva un senso nel 1930, non solo perché l’Autorità di pubblica sicurezza aveva la possibilità di intervenire in modo differenziato sul territorio nazionale, ma anche perché la tabella è uno strumento che integra una sanzione in bianco che resta ancora vigente nel nostro codice penale.
Non ci si riferisce alla nota sanzione per l’omessa affissione o affissione di una tabella non vidimata o in modo non visibile: in questi casi la sanzione è prevista dello stesso Tulps.
Molti ignorano invece che l’art. 723 del codice penale prevede che “Chiunque, essendo autorizzato a tenere sale da giuoco o da bigliardo, tollera che vi si facciano giuochi non d’azzardo, ma tuttavia vietati dall’Autorità, è punito con l’ammenda da euro 5 a euro 103.Nei casi preveduti dai numeri 3 e 4 dell’articolo 719, si applica l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda da euro 51 a euro 516. Per chi sia colto mentre prende parte al giuoco, la pena è dell’ammenda fino a euro 51”.
La tabella dei giochi proibiti elenca i giochi che l’Autorità amministrativa di polizia – ovvero il Questore per la provincia oppure il Ministro degli Interni per tutto il territorio nazionale con proprio decreto – ritenga di proibire anche se non sono giochi d’azzardo per il codice penale.
Quindi, la tabella dei giochi proibiti non è nata per imporre delle prescrizioni, ma solo per formulare un elenco di giochi per completare una legge penale; ovvero per individuare con precisione quali sono i giochi che, pur non essendo d’azzardo, non possono essere esercitati perché pericolosi per la pubblica sicurezza e quindi vietati dall’Autorità di polizia.
Originariamente la norma prevedeva (in coerenza con quando voluto da codice penale) che “In tutte le sale da bigliardo o da giuoco deve essere esposta una tabella, vidimata dal questore, nella quale sono indicati, oltre i giuochi d’azzardo, anche quelli che l’autorità stessa ritenga di vietare nel pubblico interesse”.
Ma nel 2001 è intervenuta una modifica dell’art. 110 comma 1 del Tulps e oggi la norma prevede che “In tutte le sale da biliardo o da gioco e negli altri esercizi, compresi i circoli privati, autorizzati alla pratica del gioco o all’installazione di apparecchi da gioco, è esposta in luogo visibile una tabella, predisposta ed approvata dal questore e vidimata dalle autorità competenti al rilascio della licenza, nella quale sono indicati, oltre ai giochi d’azzardo, anche quelli che lo stesso questore ritenga di vietare nel pubblico interesse, nonché le prescrizioni ed i divieti specifici che ritenga di disporre. Nelle sale da biliardo deve essere, altresì, esposto in modo visibile il costo della singola partita ovvero quello orario”.
Dal 2001 la tabella dei giochi proibiti ha quindi perso il suo valore di atto di mera integrazione del codice penale diventando anche un veicolo di poteri e prescrizioni ulteriori: ma imposti dal Questore e non dal comune.
L’intervento normativo del 2000-2001 rispondeva ad una esigenza emergenziale del momento: imporre prescrizioni e/o divieti per i famosi videopoker, in una fase in cui ancora la norma primaria non aveva previsto il divieto del gioco del poker e non erano entrate in vigore le norme sulla vincita in denaro, poi consacrate nel nuovo art. 110 Tulps.
Ma in Italia nulla è più definitivo del provvisorio e la norma è rimasta vigente, anche se sono venute a cessare le esigenze che portarono alla sua modifica: certo ormai aver concesso un potere ad una autorità non rende facile ottenere la rimozione del potere ormai conferito.
La previsione che il sindaco abbia il potere di autenticare la tabella approvata dal questore risponde a chiare esigenze di semplificazione, ma non comporta che l’ente comunale abbia ricevuto poteri ulteriori: le prescrizioni possono essere imposte solo dal Questore e non dal comune in quanto si verte in materia di polizia amministrativa, riservate all’Autorità di polizia (Ministero dell’Interni) e non esercitabili in alcun caso dal responsabile dell’ufficio commercio di un comune.
In definitiva la prescrizione imposta da soggetto diverso dal questore risolve il problema, ma non è tutto qui.
La sanzione che viene contestata, al malcapitato esercente della nostra storia, non è penale (che comunque non ricorrerebbe), ma la violazione amministrativa dell’art. 110 Tulps comma 9 lettera c).
Quindi la prescrizione del responsabile del servizio del comune sarebbe una regola ‘tecnica’ degli apparecchi di cui al comma 7 dell’art. 110 Tulps, o qualcosa del genere.
Ma anche qui, l’unica autorità che potrebbe dettare regole di questa sorta non è il comune, ma l’Agenzia Dogane e Monopoli, che ancora non ha limitato l’uso dei biliardini ai minori di anni 16 non accompagnati.
Il caso quindi è ancora più complesso, nella sua abnormità.
Certamente siamo di fronte ad uno degli esempi più evidenti di totale inadeguatezza dell’impianto normativo vigente rispetto alla reale situazione del fenomeno; ed allo stesso tempo questa vicenda offre un esempio, al limite del risibile, della folle sovrapposizione di competenze che si sono venute a creare in questo settore.
Se la materia è riservata allo Stato nessuna autorità locale o periferica dovrebbe avere alcuna possibilità di incidere sulle norme che la disciplinano.
Con buona pace di ogni tendenza autonomista del nostro cupo momento storico.