Storicamente la legislazione e, in generale, la società <<hanno sempre ritenuto di dover esercitare un attento controllo sul gioco, a cui la nostra cultura ha spesso riservato una considerazione biasimevole,
Storicamente la legislazione e, in generale, la società <<hanno sempre ritenuto di dover esercitare un attento controllo sul gioco, a cui la nostra cultura ha spesso riservato una considerazione biasimevole, sia per gli effetti che il fenomeno ha sulla vita dei singoli come per le collusioni spesso evidenziatesi con la criminalità>> (Tar Liguria, Genova, sez. I, 25 luglio 2018, n. 646).
Nel tempo – scrive Michele Castello su Altalex commentando la sentenza del CdS – diverse fonti normative hanno disciplinato il gioco d’azzardo lecito dando attuazione ai principi di cui all’art. 41 Cost. essendo, come noto, la libertà di iniziativa economica suscettibile di contemperamento con l’utilità sociale, sì da non recare danno alla sicurezza, alla libertà, ed alla dignità umana (T.a.r. Sardegna, Cagliari, Sez. I, 3 settembre 2018, n. 767).
In tale contesto deve comunque considerarsi come <<il Legislatore italiano ha in realtà adottato da tempo una politica espansiva nel settore dei giochi d’azzardo allo scopo di incrementare le entrate fiscali>> (T.a.r. Lombardia, Brescia, sez. II, 23 febbraio 2011, n. 3219).
Il giurista, da parte sua, non può che considerare i giochi legalmente autorizzati e pienamente tutelati al fine di verificare se, ed entro quali limiti, l’azione amministrativa possa intervenire su di essi disciplinandone in concreto l’esercizio in forma imprenditoriale.
In questo dibattito assume un ruolo centrale la sentenza in esame resa dal Consiglio di Stato chiamato a stabilire se un regolamento comunale possa, o meno, essere assunto a presupposto del divieto di apertura di una sala da giochi.
Precisamente, nel caso di specie, una disposizione regolamentare aveva posto il divieto di apertura di sale da gioco e, comunque, di installazione di apparecchi per il gioco d’azzardo a distanza inferiore a 500 metri dai luoghi individuati come <<sensibili>>.
Facendo leva sul tessuto normativo regionale di riferimento (L.R. Veneto 27 aprile 2015, n. 6, art. 20, comma 3, lett. a) e L.R. Veneto 30 dicembre 2016, n. 30, art. 54, comma 5) si afferma in sentenza come: <<l’obiettivo del contestato Regolamento sia proprio quello di dare puntuale applicazione alla normativa così evitando l’apertura di nuove sale da giochi che si trovino ad una distanza inferiore ai cinquecento metri da alcuni luoghi sensibili>>.
I Comuni esercitano quindi un potere non di tipo urbanistico in quanto la citata normativa regionale, nell’ambito delle materie rientranti nell’art. 117, III, Cost., interviene sulla tutela della salute pubblica, anziché su quella del governo del territorio.
La stessa legge (art. 20 cit.), si precisa ancora da parte del Consiglio di Stato, <<dopo aver indicato alla lettera a) la possibilità di introdurre limiti di distanza, ha previsto alla lettera b) il potere di limitare gli orari di apertura ed alla successiva lettera c) quello di adottare misure premiali per gli esercizi dei gestori che scelgono di non installare o disinstallare le apparecchiature per il gioco d’azzardo lecito: che sono, evidentemente, poteri estranei alla materia urbanistica>>.
Il Consiglio di Stato richiama e fa proprie altresì:
la giurisprudenza della Corte Costituzionale per la quale non sussistono dubbi di costituzionalità in riferimento alle disposizioni contenute il Leggi regionali o provinciali che prevedono limitazioni di distanza (Corte Cost. 9 novembre 2011, n. 300; Corte Cost. 11 maggio 2017, n. 108);
la giurisprudenza amministrativa secondo cui <<sono ammissibili restrizioni che vadano sino al divieto delle lotterie e di altri giochi a pagamento con vincite in denaro, trattandosi di un divieto pienamente giustificato da superiori finalità di interesse generale>> (Cons. Stato, sez. V, 8 agosto 2018, n. 4867);
la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (22 ottobre 2014, C-344/13 e C367/13) che, nell’ambito della materia in esame, nel bilanciamento tra libertà economica e tutela della salute, dà prevalenza a quest’ultima;
la normativa comunitaria che giustifica misure derogatorie in materia di libera circolazione delle merci e prestazione dei servizi per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
Orbene se è indubbio il cennato orientamento della Consulta l’interprete non può, tuttavia, mancare di sottolineare come la disciplina delle distanze possa portare, nel settore qui in esame, all’inaccettabile conseguenza di azzerare, di fatto, l’esercizio di una attività economica (lecita e disciplinata dal Legislatore) nell’ambito di un determinato Comune.
Non può quindi farsi assurgere il bene salute a “tiranno” rispetto ad altri diritti che godono di copertura costituzionale, primi fra tutti quelli di libera iniziativa economica e di tutela di servizi di interesse economico generale gestiti in concessione.
La Corte Costituzionale nella sentenza n. 85 del 9 maggio 2013 così si è espressa: <<Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona>>.
Anche alla luce dell’insegnamento della giurisprudenza costituzionale (Corte Cost., 18 luglio 2014, n. 220) dobbiamo affermare che lo Stato ha il compito di fissare i principi generali che ispirano la materia, dettati dalla riduzione e dal contrasto all’attività del gioco d’azzardo, mentre le Regioni e gli enti locali hanno il potere di disciplinarne le concrete modalità, avuto riguardo, da un lato, agli obiettivi programmati a livello nazionale, e, dall’altro, alle caratteristiche peculiari del territorio entro cui le attività del gioco sono destinate ad incidere.
In tale contesto il Decreto Balduzzi ha previsto disposizioni restrittive sulla collocazione di apparecchi da gioco rispetto a determinati luoghi cd. “sensibili” (Consiglio di Stato, sez. VI, 20 luglio 2017, n. 3587).
A loro volta le diverse Leggi regionali che dispongono misure per la prevenzione, per il trattamento e per il contrasto della dipendenza da gioco d’azzardo vietano l’installazione di apparecchi per il gioco lecito e l’attività di raccolta di scommesse entro una certa distanza dai cd. “luoghi sensibili” (quali: istituti scolastici; centri di formazione professionale; cimiteri cittadini; luoghi di culto; impianti sportivi; strutture residenziali sanitarie e/o sociosanitarie; strutture ricettive per categorie protette; luoghi di aggregazione giovanile e per anziani; istituti di credito e sportelli bancomat; esercizi di compravendita di oggetti preziosi e oro usati; stazioni ferroviarie).
Si deve trattare, a ben vedere, di luoghi di aggregazione frequentati, se non esclusivamente, almeno prevalentemente, dalle fasce deboli ed influenzabili della popolazione (giovani, anziani e persone svantaggiate o malate, tutti potenzialmente non in grado, per immaturità, solitudine condizioni personali e/o sociali in genere, di gestire prudentemente e con temperanza l’accesso a tale forma di intrattenimento).
Non sono quindi riconducibili ai luoghi sensibili ambulatori medici, luoghi di culto e canoniche, la cui frequentazione è propria di categorie indifferenziate di persone.
Le chiese, in particolare, sono luoghi dedicati alla preghiera, sia collettiva che personale, e quindi sono aperti e frequentati dall’indifferenziata, anagraficamente e socialmente, comunità dei fedeli (T.a.r. Trentino Alto Adige, Trento, sez. unica, 21 febbraio 2013, n. 64).
In giurisprudenza sono emersi alcuni dubbi di costituzionalità e, precisamente, il Tribunale Ordinario di Torino (sez. III civ., ord. 31 ottobre 2018) – intervenuto in una vicenda in cui applicando il “distanziomentro” previsto dalla Regione Piemonte (secondo cui gli apparecchi da gioco non possono essere collocati a meno di 500 metri dai luoghi sensibili) nella pratica si aveva che nell’intero territorio cittadino di riferimento non era possibile collocare apparecchi da gioco all’interno di attività aperte al pubblico – ha ritenuto che ciò produca un problema di costituzionalità della applicata norma regionale sotto vari profili.
Lo stato di fatto ha ingenerato, nella pratica, un sostanziale divieto di gestire macchinette da gioco, attività imprenditoriale consentita, sebbene da regolamentare e limitare a tutela di altri e pregnanti interessi costituzionali e, quindi, argomenta ancora l’adito Giudice torinese, il bilanciamento degli interessi costituzionali in gioco, pare aver portato nel caso del Comune di riferimento ad una totale negazione della possibilità, costituzionalmente garantita, di gestire una attività imprenditoriale lecita.
E così conclude affermando: <<Sul punto occorrerà valutare all’esito della udienza di merito, la necessità di disporre la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, anche alla luce di ulteriori considerazioni che le parti vorranno eventualmente svolgere>>.
Ancora dubbi di costituzionalità sono stato sollevati dal T.a.r. Abruzzo, Pescara, 21 aprile 2017 ordinanza n. 161 che, intervenuto sulla corretta interpretazione dell’art. l L.R. Abruzzo 29 ottobre 2013, n. 40 (recante <<Disposizioni per la prevenzione della diffusione dei fenomeni di dipendenza dal gioco<<) ha sottolineato come a tale norma sia sottesa la finalità di <<tutelare determinate categorie di persone dai rischi che (…) derivano>> dalla <<diffusione dei fenomeni di dipendenza dal gioco>>.
Secondo l’adito Collegio giudicante non si riscontrano finalità di carattere socio-sanitario nella previsione di una distanza minima di rispetto delle sale da gioco dalle caserme militari in quanto tale requisito -distanza di almeno 300 metri da <<caserme militari>> (previsto in detta L.R.) – non risulta far capo ad esigenze riferibili alla materia <<tutela della salute>>.
Si ha quindi l’illegittimità costituzionale della previsione in quanto estranea alla competenza legislativa della Regione.
Argomenta il G.A.: <<Né sembra possibile inquadrare la norma in altra materia regionale, visto che l’intera legge esprime una chiara finalità “socio-sanitaria”, non lasciando perciò alcun margine ad un’interpretazione diretta a ricondurre una sua specifica disposizione ad esigenze di tutela di interessi di altro tipo, che non emergono in alcun modo dal testo normativo.
Non si può d’altronde far riferimento alla materia “governo del territorio”, visto che dal testo normativo non emergono particolari esigenze urbanistiche connesse alla prossimità tra sale da gioco e caserme militari che non si manifestino rispetto a qualunque altro insediamento ad uso collettivo o pubblico.
L’assenza di ogni distinzione nell’ambito della categoria “caserme militari”, in cui si raggruppano strutture di differenti caratteristiche urbanistiche (essendo la norma, nella sua genericità, riferibile anche a edifici di minima consistenza, purché di carattere “militare”), conferma ulteriormente che nessuna valutazione in termini urbanistici è stata effettuata dal legislatore regionale.
Non essendo la norma riconducibile alla materia sanitaria né ad altra di competenza regionale, si delinea, dunque, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., con conseguente invasione delle competenze statali ed in particolare nella materia “ordine pubblico e sicurezza” (art. 117, comma 2, lettera h), a cui appartiene la disciplina dell’attività svolta dalla ricorrente.
Si prospetta, in ogni caso, la violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., non riscontrandosi alcuna peculiare interferenza tra case da gioco e caserme militari che giustifichi un regime speciale rispetto ad altre strutture di analoghe caratteristiche, come quelle che fanno capo alle amministrazione civili del “comparto sicurezza”.
Va in conclusione ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3 e 117, commi 2 e 3, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, lettera c), della L.R. Abruzzo 29 ottobre 2013, n. 40 (Disposizioni per la prevenzione della diffusione dei fenomeni di dipendenza dal gioco), nella parte in cui include tra i luoghi sensibili, “IV) le caserme militari (…)”>>.
Altre tema che merita in questa sede almeno un cenno è quello della modalità di calcolo delle distanze da seguire nei singoli casi concreti.
Secondo il Tar Toscana, Firenze, sez. III, 23 ottobre 2017, n. 1268 l’indicazione di una distanza dai luoghi sensibili, per avere un senso ed essere efficace, deve essere reale e non virtuale facendosi così riferimento alla distanza reale tra due luoghi, calcolata in base al percorso più breve.
Questo percorso – conclude Castello – deve essere riferito unicamente ad un cammino pedonale (e non assistito da mezzi pubblici) ed è dirimente, tal fine, il disposto dall’art. 190 Codice della Strada.
La distanza de qua deve quindi essere calcolata sulla base del percorso pedonale minimo determinato con il rispetto delle norme del Codice della Strada, compreso in particolare il comma 2 dell’art. 190 cit. (T.a.r. Sardegna, Cagliari, sez. I 24 maggio 2004 n. 619; T.a.r. Campania, Napoli, sez. IV, 12 agosto 1995, n. 521).
PressGiochi
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