23 Novembre 2024 - 22:51

Scommesse, la Cassazione interviene su cessione della rete

“Non può porsi in termini generali la questione della compatibilità della normativa nazionale con quella eurounitaria, in quanto é la stessa giurisprudenza della Corte di Lussemburgo a sollecitare una valutazione

04 Febbraio 2021

“Non può porsi in termini generali la questione della compatibilità della normativa nazionale con quella eurounitaria, in quanto é la stessa giurisprudenza della Corte di Lussemburgo a sollecitare una valutazione caso per caso. Non risulta che l’onere della prova da parte dell’ufficio requirente – strettamente collegato, nella specie, all’esigenza di provare il fumus commissi delicti – sia stato assolto”.

E’ quanto ribadito dalla Quarta sezione della Corte di Cassazione che intervenendo nei confronti di un CTD accusato di raccolta scommesse illegale, ha nuovamente annullato l’ordinanza del Tribunale del riesame di Taranto.

Di seguito la sentenza della Quarta sezione:

“Il ricorso é fondato, per le considerazioni che seguono.

Si premette che, sulla base dei principi affermati dalla Corte di Cassazione con la sentenza di annullamento con rinvio – e, prima ancora, sulla base degli stessi principi affermati in subiecta materia dalla Corte di Lussemburgo -, il perimetro che definisce l’oggetto del presente giudizio rimane limitato, in base alla sopra richiamata sentenza rescindente, alla valutazione di antieconomicità nel caso specifico, mentre non può essere dilatato fino al punto di comprendervi la normativa di riferimento e la sua conformità generale all’ordinamento dell’Unione europea.

Perciò, diversamente da quanto asserito dal ricorrente, non può porsi in termini generali la questione della compatibilità della normativa nazionale con quella eurounitaria, in quanto é la stessa giurisprudenza della Corte di

Lussemburgo a sollecitare una valutazione caso per caso (vds. in particolare §§ 42 e ss. sentenza CGUE 28 gennaio 2016 in causa C – 375/14, Laezza) e non, dunque, sul piano generale, di tale compatibilità, demandandone l’espletamento al giudice del rinvio.

Per analoghe ragioni, non appare esaustiva la disamina svolta dal ricorrente a proposito della (denegata) remuneratività, sempre sul piano generale, dell’attività di raccolta e gestione delle scommesse per le concessioni assegnate con il bando “Monti”, disamina che appare basata su valutazioni di larga massima e non attinenti al caso di specie.

A fronte di quanto precede, tuttavia, le doglianze del ricorrente si appalesano fondate sotto altri profili.

In particolare, mette conto valutare se nella fattispecie risulti adempiuto dal Tribunale del Riesame di Taranto, in sede rescissoria, il compito affidato al giudice di rinvio dalla Corte di Cassazione in sede rescindente in ordine alla proporzionalità o meno, nel caso concreto, delle restrizioni applicate dal bando di gara, in rapporto al duplice parametro del valore venale dei beni da impiegare (e che, in ottemperanza alla clausola in contestazione, dovrebbero formare oggetto di cessione a titolo non oneroso), nonché del profitto ricavabile dalla ditta concessionaria; ciò allo scopo di stabilire se, in rapporto al sequestro preventivo di cui si duole il ricorrente, sia o meno ravvisabile il fumus commissi delicti riferito al reato p. e p. dall’art. 4, comma 4-bis, legge 401/1989

Nella richiamata sentenza emessa il 28 gennaio 2016 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in esito alla causa n. C-375/14 Laezza c. Italia (caso per molti versi analogo a quello che ne occupa), ci si poneva, fra l’altro, il problema di esaminare «se la restrizione in questione nel procedimento principale sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per raggiungere detto obiettivo» (§ 36); in relazione a ciò, la Corte di Lussemburgo ha affermato che «spetta al giudice del rinvio, sempre tenendo conto delle indicazioni fornite dalla Corte, verificare, all’atto di una valutazione globale delle circostanze proprie del rilascio delle nuove concessioni, se la restrizione in questione nel procedimento principale soddisfi i requisiti rícavabili dalla giurisprudenza della Corte per quanto concerne la loro proporzionalità» (§ 37).

Con precipuo riguardo alla clausola della cessione non onerosa dei beni materiali e immateriali alla data di scadenza della concessione, e alla questione circa la proporzionalità o meno di tale clausola in rapporto agli obiettivi perseguiti dal legislatore nazionale, nella sentenza Laezza la Corte di Giustizia ha precisato

(§ 41) che «nell’ipotesi in cui il contratto di concessione, concluso per una durata sensibilmente più breve di quella dei contratti conclusi prima dell’adozione del decreto legge del 2012, giunga alla sua scadenza naturale, il carattere non oneroso di una siffatta cessione forzata pare contrastare con il requisito di proporzionalità,

in particolare quando l’obiettivo di continuità dell’attività autorizzata di raccolta di scommesse potrebbe essere conseguito con misure meno vincolanti, quali la cessione forzata, ma a titolo oneroso a prezzi di mercato, dei beni in questione».

In tale quadro, la valutazione circa la proporzionalità della misura in esame spetterà al giudice del rinvio, il quale dovrà all’uopo «tenere anche conto del valore venale dei beni oggetto della cessione forzata» (§ 42).

Nella vicenda che interessa direttamente l’odierna ricorrente, la pronunzia della Terza Sezione, al punto 5, pag. 4, della parte in diritto, richiama altresì gli analoghi principi affermati dalla CGUE con la sentenza Laezza; e soprattutto richiama i parametri del giudizio di economicità/antieconomicità demandato al giudice del rinvio, costituiti, come si é detto, dal valore venale dei beni da impiegare e dal profitto ricavabile dall’attività di raccolta delle scommesse, specificando che tale valutazione dovrà essere effettuata secondo un giudizio di tipo prognostico ricavabile da criteri legati all’id quod plerumque accidit.

Venendo ora al provvedimento impugnato, deve in primo luogo constatarsi che é errato quanto affermato a pag. 5 in ordine al fatto che l’onere probatorio relativo ai motivi che possano far ritenere la disposizione normativa in

esame non proporzionata allo scopo incomberebbe sulla parte che deduce tale condizione. Tale onere incombe, viceversa, sull’organo d’accusa, che afferma la natura delittuosa della condotta contestata; diversamente opinando ci si porrebbe in contrasto con il principio in base al quale, ai fini dell’emissione del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi

forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria, e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato, pur senza sindacare la fondatezza dell’accusa (Sez. 5,

Sentenza n. 49596 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677; e, più specificamente, Sez. 4, n. 15225 del 16/01/2018, Liguori, non mass.).

 

Nella specie, risulta che gli unici elementi probatori in ordine alla valutazione in concreto della proporzionalità o meno della clausola di cessione a titolo non oneroso dei beni allo scadere della concessione, utilizzati dal concessionario nella gestione e nella raccolta di scommesse, sono stati forniti dall’odierno ricorrente,

attraverso le tre consulenze (dei proff. Bini, Onesti e Latella) richiamate sommariamente nell’ordinanza impugnata e, più ampiamente, nel ricorso. A fronte di tali elementi, non risulta che l’onere della prova da parte dell’ufficio

requirente – strettamente collegato, nella specie, all’esigenza di provare il fumus commissi delicti – sia stato assolto nei termini in precedenza indicati. Dal canto suo, per quanto é dato ricavare dalla lettura dell’ordinanza impugnata, il Tribunale del Riesame ha sostanzialmente eluso la questione della disamina del giudizio di  conomicità/antieconomicità della gestione, formante oggetto del giudizio rescissorio, sull’erroneo presupposto dell’attribuzione del relativo onus probandi al ricorrente; e non si é specificamente confrontato con la questione riguardante la necessaria valutazione dei beni materiali e immateriali suscettibili di cessione nel caso di che trattasi: una valutazione affatto indispensabile per stabilire compiutamente l’effettiva onerosità, nel caso di specie,

della clausola inserita nel bando “Monti” e la proporzionalità degli effetti di tale clausola rispetto alle finalità perseguite dal legislatore.

Sotto tale profilo, la valutazione compiuta dal Tribunale tarantino in sede di rinvio si mostra incompleta, in quanto inidonea a chiarire, nel caso specifico, se possa parlarsi o meno di rispetto del suddetto criterio di proporzionalità alla stregua dell’interpretazione, da parte della Corte di Giustizia U.E., della normativa nazionale all’epoca vigente (e del bando di gara 2012 emanato in conformità ad essa) alla luce dell’ordinamento dell’Unione Europea.

  1. L’ordinanza impugnata, pertanto, non risolve sul punto la questione della violazione di legge denunciata dal ricorrente; e va per l’effetto annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Taranto, Sezione Riesame.”.

 

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