Con la sentenza n. 43955, depositata il 18 ottobre scorso, la Terza Sezione della Corte di Cassazione, facendo applicazione dei principi dettati dalla Corte di Giustizia Ue, con la sentenza
Con la sentenza n. 43955, depositata il 18 ottobre scorso, la Terza Sezione della Corte di Cassazione, facendo applicazione dei principi dettati dalla Corte di Giustizia Ue, con la sentenza sul caso Laezza del 30 gennaio 2016, si è pronunciata sul ricorso proposto avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Frosinone del 23/09/13, che aveva confermato il sequestro a carico di un centro collegato all’operatore Stanleybet Malta Ltd.
La Terza Sezione della Suprema Corte – commenta l’avv. Chiara Sambaldi – ha accolto il ricorso limitatamente alla lamentata non compatibilità con gli artt. 49 e 56 del TFUE, della previsione contenuta nell’art. 25 dello schema di convenzione di cui al cd Bando di Gara “Monti”, che, in applicazione dell’art. 1, comma 78, lett. b), punto 26, della legge di stabilità 2011 (oggi ormai abrogato per effetto dell’art. 1, comma 948, della legge n. 208 del 2015), impone al concessionario di giochi di cedere a titolo non oneroso, all’atto della cessazione dell’attività, anche solo per scadenza del termine della concessione, l’uso dei beni materiali ed immateriali di proprietà che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco.
In particolare, rileva la Corte, che la valutazione di compatibilità, in quanto dipendente anche da requisiti di fatto, variabili a seconda delle circostanze del caso concreto, non può che essere affidata al giudice del merito il quale è, quindi, chiamato ad effettuare una valutazione del grado di “anti economicità” derivante dalla “virtuale” partecipazione per Stanley alle gare indette ai sensi del cd decreto “Monti”, sulla base, oltre che del valore venale dei beni (parametro indicato dalla stessa CGUE), anche del profitto ragionevolmente ricavabile dall’attività di raccolta delle scommesse, secondo un giudizio di tipo prognostico (considerando tutti i beni materiali ed immateriali di proprietà che costituiscono la rete, compresi nell’inventario e nei suoi successivi aggiornamenti, quali diritti esclusivi di proprietà intellettuale, contratti fornitura, banche dati, software, hardware, punti vendita, ecc.).
Il giudice di merito, dovrà, inoltre, tener conto che la generale applicabilità della clausola a tutti i partecipanti, non esclude l’effetto di deterrenza e che l’eventuale ridotta applicabilità della misura in oggetto, per l’operatività della stessa solo dietro richiesta di ADM, non appare incidere in assoluto sulla idoneità, in astratto, della misura a perseguire l’obiettivo di scoraggiare l’attività illegale (ratio giustificativa della restrizione).
La Suprema Corte, respinge, invece, in quanto infondate, tutte le restanti doglianze, volte a lamentare la persistente incompatibilità con i principi Ue della disciplina nazionale di regolazione dell’attività di raccolta delle scommesse, pur a seguito della normativa di cui al D.L. n. 16 del 2012 e del bando conseguentemente pubblicato, in quanto discriminante, a detta della difesa, sotto vari aspetti, rispetto ai restanti operatori, la posizione di Stanleybet Malta (mancata previa revoca concessioni preesistenti; indeterminatezza previsioni revoca, decadenza e sospensione della concessione; natura esclusiva dell’attività dei nuovi diritti per negozi di gioco rispetto ai precedenti; durata inferiore dei diritti).
Conclusivamente, la Corte, limitatamente al motivo di ricorso fondato sulla non compatibilità Ue dell’art. 25 dello schema di convenzione, ha annullato con rinvio al Tribunale di Frosinone che procederà – potendo sempre utilizzare e valutare, oltre che la documentazione e gli accertamenti tecnici già in atti, anche ulteriori elaborati tecnici sempre producibili dalle parti – ad un nuovo esame, con ampia facoltà di valorizzare, oltre ai parametri indicati a titolo esemplificativo, ogni altro parametro ritenuto necessario e funzionale ad esprimere una valutazione in ordine alla proporzionalità o meno della misura in oggetto, al fine di farne discendere la valutazione sulla concreta natura discriminatoria nei confronti dell’operatore straniero.
Da segnalare che la Corte, indicando i parametri valutativi, indica tra i beni materiali di proprietà del concessionario, che costituiscono la rete di gestione e di raccolta del gioco, anche i “punti di vendita”, trascurando così l’ipotesi, invero, prevalente nella pratica, della raccolta con mezzi di terzi (gestori per conto del concessionario che sono titolari dei contratti di locazione ovvero proprietari degli immobili, datori di lavoro degli addetti alla raccolta di scommesse, oltre che titolari di licenza di ps ex art 88 TULPS).
Il Tribunale di Frosinone, – conclude Sambaldi – così come altri tribunali, ha già applicato la sentenza sul caso Laezza in altre fattispecie pressoché identiche (cfr. ordinanza, 5 maggio 2016), ragion per cui è plausibile una conferma del decisum nel senso di configurare il carattere non proporzionato della previsione in oggetto e disapplicare la norma penale. In tal caso, anche il gestore del centro di cui è causa potrebbe continuare a raccogliere scommesse con le attuali modalità andando esente da sanzione penale.
La valutazione del caso concreto, alla luce dei parametri indicati, salvo se altri, verrà, inoltre, rimessa a ciascun giudice di merito, anche in ordine alla posizione degli altri operatori transfrontalieri, rispetto ai quali è stata anche dedotta e configurata una “discriminazione indiretta”.
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