di Chiara Sambaldi e Andrea Strata
In attesa che la stagione del riordino entri nel vivo con la pubblicazione delle gare per l’assegnazione delle concessioni, vale la pena ricordare quanto sia delicata, dal punto di vista giuridico e per la reale tenuta di un mercato concorrenziale, la fase di redazione della documentazione tecnica, amministrativa e contrattuale che disegna il perimetro operativo dei concessionari.
Come più volte ricordato anche in questa rubrica- scrivono su PressGiochi MAG Chiara Sambaldi e Andrea Strata –, il Giudice dell’Unione Europea ha sanzionato l’operato del nostro legislatore e del nostro regolatore per aver introdotto previsioni e clausole convenzionali restrittive dei principi europei di libera prestazione dei servizi e libero stabilimento. Ne è derivato un impatto significativo anche sulle scelte regolative che hanno portato alla configurazione del mercato del betting retail per come lo conosciamo oggi.
Ci sembrano, quindi, di attuale interesse alcune considerazioni generali sulle caratteristiche dell’attività esercitata dai concessionari e sul ruolo dell’amministrazione pubblica concedente.
Lo spunto viene dalla recentissima sentenza n. 26110 del 7 ottobre 2024, emessa dalla Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, in merito ad un capitolo di una più ampia vicenda contenziosa che da molti anni vede contrapposti i concessionari ippici e sportivi al Ministero dell’Economia e delle Finanze, al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e all’ADM.
A partire dai primi anni duemila, dopo l’assegnazione delle concessioni a seguito dei bandi di gara del 1999, i concessionari hanno contestato alle amministrazioni concedenti alcuni ritardi e inadempimenti che avevano determinato uno squilibrio alla luce degli impegni contrattuali assunti.
Tra le contestazioni sollevate vi era quella relativa alla responsabilità per non aver adottato misure correttive adeguate al mutamento del mercato, in quanto il contesto operativo risultava profondamente alterato dall’espansione delle reti di raccolta di scommesse illegali che sottraeva risorse alle reti dei concessionari.
In sostanza, lo squilibrio determinato dalla concorrenza delle reti illegali provocava, per stessa ammissione delle amministrazioni concedenti, una significativa alterazione dell’equilibrio contrattuale posto alla base della convenzione di concessione.
Nel caso esaminato, la Corte d’Appello di Roma aveva riconosciuto la fondatezza delle richieste risarcitorie dei concessionari i quali richiamavano l’obbligo dell’amministrazione di preservare la stabilità del quadro di riferimento.
Nel proporre ricorso, le amministrazioni hanno sottolineato il rischio di impresa (ben noto al momento della conclusione del contratto) quale elemento qualificante della concessione di servizio pubblico, evidenziando come lo Stato italiano avesse assunto ogni utile iniziativa per contrastare il fenomeno delle scommesse clandestine e/o non autorizzate.
Inoltre, secondo le ricorrenti, non sussisteva alcun obbligo di garantire ai concessionari che l’attività svolta fosse indenne da effetti distorsivi o di disturbo come la diffusione di reti clandestine o la raccolta illegale delle scommesse.
La Prima Sezione della Suprema Corte ha accolto l’interpretazione dell’assetto regolamentare proposta dalle amministrazioni rilevando come lo squilibrio delle prestazioni doveva essere letto alla luce dell’assunzione del rischio di impresa da parte del concessionario, ragion per cui, nel caso di specie, avrebbe potuto trovare applicazione il rimedio previsto dall’art. 1467 cc e ss. (risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione).
Un aspetto interessante è rilevato dal Procuratore Generale che ha sottolineato come nel giudizio in questione è emersa la sovrapposizione di ruoli fra lo Stato, regolatore del mercato, e lo Stato, monopolista concedente e parte contrattuale. Infatti, i concessionari hanno chiamato in causa l’amministrazione statale in veste di monopolista concedente per cui, secondo la Corte, non si può configurare in capo alla stessa un dovere di protezione e di salvaguardia del mercato da elementi distorsivi (come la diffusione di fenomeni illeciti).
Tuttavia, esaminando le motivazioni della sentenza salta all’occhio un passaggio dal sapore amaro per gli addetti ai lavori che, al di là del singolo giudizio, sono stati spettatori dell’evoluzione del mercato in questo ventennio. Al punto 13.6 si legge “Infine non si può dimenticare che l’invasione del mercato da parte degli allibratori abusivi, con conseguente distorsione del quadro economico coevo alla sottoscrizione dell’accordo concessorio, è stata, almeno in parte, ritenuta non abusiva da parte della Corte Europea di Giustizia nella sentenza Cifone-Costa del 2012 (cause riunite C-72/10 e C-77/10) che ha affermato che il Governo italiano aveva posto limiti non conformi alla normativa UE all’ingresso di soggetti esteri nel mercato nazionale delle scommesse, limiti che apparivano in aperta violazione degli artt. 43 e 49 del Trattato”.
Quindi, se la responsabilità delle amministrazioni concedenti non è configurabile sul piano dell’inadempimento contrattuale e per l’inesistenza di una esclusiva territoriale per la raccolta delle scommesse, risulta invece delinearsi sul piano dell’intervento dello Stato “regolatore”.
Infatti, dall’analisi della giurisprudenza del giudice dell’Unione e di quella nazionale emerge che, con riguardo al mercato del betting, sono state le restrizioni e le barriere illegittime introdotte dal legislatore e dal regolatore ad aver determinato un’espansione così consistente delle reti “parallele” da andare oltre l’evoluzione fisiologica dei fenomeni illeciti. Tanto che la stessa Corte parla di “invasione”.
Senza addentrarsi in questioni giuridiche complesse e dibattute, una breve considerazione merita il tema della responsabilità dell’amministrazione statale, nella vicenda in questione, partendo dal principio espresso dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato per cui il diritto dell’Unione Europea non riguarda le singole fonti del diritto, ma anche la c.d. “law in action” ovvero le decisioni della Corte di giustizia che costituiscono un “diritto vivente” vincolante per tutti gli Stati membri.
Ne deriva che l’amministrazione, in sede di redazione della normativa di gara, era tenuta alla necessaria e ponderata valutazione dell’applicazione dei principi europei come interpretati dal Giudice dell’Unione. Infatti, al momento della pubblicazione delle gare “Bersani” del 2006 (contenenti le clausole poi giudicate illegittime) la Corte di giustizia Ue si era già espressa in materia con la nota sentenza Gambelli del 2003, che aveva affermato la piena applicazione delle libertà europee in materia di raccolta delle scommesse anche attraverso la modalità dei c.d. centri trasmissione dati collegati a bookmaker europei.
Attualizzando il tema connesso agli squilibri di mercato, il primo decreto di riordino del settore (D. lgs n. 41/2024), in attuazione della delega fiscale, ha espressamente previsto l’introduzione, nelle convenzioni di concessione, di clausole finalizzate alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali e la possibilità di concordare una scadenza anticipata e la risoluzione consensuale della convenzione in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta.
D’altra parte, il rischio operativo fa capo al concessionario e come ha ricordato la Suprema Corte il rischio di impresa è insito nelle concessioni di servizio pubblico.
Se l’esperienza insegna, è comprensibile l’aspettativa degli operatori interessati al mercato del betting italiano a che la normativa di gara sia redatta nel più rigoroso rispetto dei principi europei come interpretati dalla Corte di giustizia.
Pressgiochi
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