I gestori di slot machine di Mantova rivendicano la loro onestà di commercianti che rischiano in proprio, lavorano e danno lavoro, pagano le tasse pure. «E il 90% dei proventi
I gestori di slot machine di Mantova rivendicano la loro onestà di commercianti che rischiano in proprio, lavorano e danno lavoro, pagano le tasse pure. «E il 90% dei proventi è dello Stato». Mettono in dubbio il fondamento clinico della ludopatia, la febbre che brucia i giocatori compulsivi (mille mantovani secondo l’Asl), ma loro i corsi per individuare i malati d’azzardo li devono frequentare lo stesso, pagandoli di tasca propria, e non possono nemmeno incitare al gioco.
Così un gruppo di gestori di sale slot, bar e tabaccherie, replicano all’attivismo del Coordinamento No Slot. Gruppo largo una cinquantina di commercianti – riferisce un gestore per tutti – che da un anno stanno organizzando il proprio scontento per come vengono additati. Nonostante svolgano un’attività lecita.
«La ludopatia, se esiste, è pari al cancro ai polmoni provocato dal fumo? Ha conseguenze pari alle patologie innumerevoli derivanti dall’uso di alcol? – domandano i gestori – No. Nessuna morte. Semplici decisioni personali, discutibili o meno, ma pur sempre personali e autonome». Ruvido, il contrattacco è nelle prime righe: «A parte articoli di giornale sollecitati da comitati anonimi (che grazie alla presunta ludopatia pare cerchino anche di creare una nuova “attività” per professionisti) o uscite di propaganda elettorale (pro o contro a seconda del momento), nulla e nessuno certifica l’esistenza di tale patologia, nessuno è in grado di dichiarare un numero di soggetti asseritamente colpiti da questo nuovo “male sociale”».
Che poi, se di male sociale si tratta, perché lor signori “al lupo! al lupo!” – come vengono ribattezzati gli attivisti no slot – «non si dedicano ad organizzare incontri gratuiti e anonimi per spiegare le loro ragioni ai giocatori e convincerli della negatività del loro comportamento?». Il mondo è pieno di ex alcolisti ed ex fumatori, guariti dal viziaccio senza che fossero chiusi bar e tabaccherie – argomentano i gestori – o venisse impedito ai loro amici di tirare qualche boccata e bersi l’aperitivo. Portato all’eccesso logico, il ragionamento suona così: per la stessa ragione per cui titolari e dipendenti di sale slot devono seguire dei corsi anti-ludopatia, allora panettieri, pasticcieri o ristoratori dovrebbero frequentare corsi anti-obesità. Alla fine si torna sempre alla sfera delle libertà individuali.
E poi c’è tutto l’universo parallelo e sotterraneo dell’azzardo virtuale: «Come mai lor signori non urlano “al lupo! al lupo!” contro il gioco online? Non sanno forse, o fingono di non sapere, che si acquistano tessere per giocare da casa al computer e in quel caso non esistono orari né limiti di età e possono giocare i minori ad ogni ora del giorno e della notte?». Così come esistono bische clandestine, viaggi organizzati in pullman nei casinò oltreconfine («i nostri soldi all’estero e i presunti ludopatici a carico della nostra sanità»), tombole d’azzardo per anziani incalliti.
La chiusa ha il sapore aspro dell’invettiva morale: «La colpa delle azioni di ciascuno non è necessariamente da ricercare in comportamenti o azioni altrui per scaricare le proprie responsabilità e avere la coscienza pulita, lavandosi le mani o cercando scuse».
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