Giovedì – ha dichiarato l’ing. Giovanni Carboni – è stata pubblicata l’attesa sentenza della Corte Suprema Europea relativa ai quesiti ad essa rimessi dal Consiglio di Stato, riguardanti l’eventuale violazione dei principi di parità di trattamento
Giovedì – ha dichiarato l’ing. Giovanni Carboni – è stata pubblicata l’attesa sentenza della Corte Suprema Europea relativa ai quesiti ad essa rimessi dal Consiglio di Stato, riguardanti l’eventuale violazione dei principi di parità di trattamento e di effettività di taluni aspetti del bando scommesse “Monti” del 2012.
Si pongono ora diverse domande. Qual è l’effetto diretto della sentenza? Quale diviene ora il quadro giurisprudenziale complessivo? In che modo la sentenza influenzerà la dinamica del settore italiano delle scommesse?
La risposta alla prima domanda è facile solo apparentemente. La sentenza è piuttosto semplice, a differenza delle precedenti. La Coste Suprema afferma che il Trattato dell’UE non osta all’indizione di una gara per l’assegnazione di concessioni di durata inferiore rispetto a quella delle concessioni rilasciate con i precedenti bandi, ai fini di un riordino volto al perseguimento di legittimi obiettivi. La durata del bando pari a tre anni non è, di per sé, motivo di censura.
Curiosamente la Suprema Corte si pronuncia in modo espresso solo sul secondo dei due distinti quesiti che erano stati posti dal Consiglio di Stato, ritenendo di fatto assorbibile in esso il primo quesito, con il quale Le era chiesto se la durata limitata del bando fosse atta a “rimediare alle conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’esclusione di un certo numero di operatori dalle gare”.
Nel comunicato pubblicato subito dopo la sentenza della Corte Stanley si appella a tale “lacuna”. Evidenzia altresì che è ancora pendente una richiesta di pronuncia della Corte Suprema, avanzata dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza del 3 aprile 2014, che ripresenta i quesiti posti dal Consiglio di Stato, incluso quello riguardante il requisito rimediale richiesto al bando Monti, e chiede inoltre se l’“inedito obbligo, previsto dal bando Monti, di cessione dei beni costituenti la rete di gestione dell’attività, si traduca in un ingiustificato svantaggio competitivo dei nuovi “entranti” rispetto ai concessionari esistenti”. Stanley, secondo quanto emerge dalle prime dichiarazioni, pare intenzionata a resistere sulla base di tali argomenti.
Riguardo alla generalità dei bookmaker senza concessione che avessero iniziato l’attività dopo il bando “Bersani” e che quindi non possono pretendere di avere subito discriminazioni dai bandi precedenti il 2012, la negazione del carattere discriminatorio del bando Monti può portare a valutazioni diverse. Al riguardo ci sono segnali che la propensione all’adesione alla regolarizzazione introdotta dalla Legge di Stabilità sia aumentata.
È peraltro generalmente sottovalutato l’interesse dei bookmaker alla regolarizzazione che, va osservato, è condizione per rendere effettivo il valore dell’impresa sul mercato. La difficoltà a pervenire a una risoluzione delle anomalie del settore potrebbe essere riconducibile anche a una difficoltà di comunicazione e di comprensione di esigenze e obiettivi perseguiti.
Riguardo alla sanatoria, – conclude carboni – tra i diversi aspetti che rallentano il processo decisionale dei bookmaker non deve essere sottovalutata la questione, sollevata da alcuni bookmaker, del rischio di vedersi negata dalla Questura il rilascio della licenza articolo 88 del TULPS per la violazione dell’articolo 4, comma 4bis, della legge 401/1989, in relazione proprio all’esercizio non autorizzato delle scommesse, tenuto conto che la regolarizzazione costituisce una sanatoria fiscale e amministrativa, ma non penale. Pare necessaria una risposta tempestiva ed esaustiva dell’ADM e del Governo su questo punto.
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