Con grande dose di malinconia, dobbiamo constatare che la Legge della Regione Veneto contro gli apparecchi da gioco (n. 38, del 10 settembre 2019) non ha fatto altro che calcare
Con grande dose di malinconia, dobbiamo constatare che la Legge della Regione Veneto contro gli apparecchi da gioco (n. 38, del 10 settembre 2019) non ha fatto altro che calcare le orme delle precedenti, ovvero ne ha ripreso tutto il peggio, guardandola dal punti di vista del settore, filtrandolo con l’esperienza fatta dagli altri enti omologhi.
Però, il gran parlare che si fa in questi giorni, nel nostro ambiente, del regolamento d’attuazione che indirizza tutti i Comuni della Regione ad adottare un comune orario di spegnimento delle AWP e delle VLT, sembra essere a volte dettato più dall’impeto che dal raziocinio.
Atteggiamento, sia chiaro, che non biasimiamo ma al contrario giustifichiamo, perché ormai, e non da oggi, i giocatori, gli esercenti e le imprese che operano nel settore EGM, con le relative rappresentanze, sono ridotti allo stato della segregazione razziale, che gli amministratori locali mascherano con uno stucchevole paternalismo. E’ la beffa che si aggiunge al danno!
E sì, perché tutte le figure coinvolte hanno meno diritti non solo di chi non gioca o non offre gioco, ma anche di chi convoglia il proprio denaro verso altri prodotti e, naturalmente, di chi lo raccoglie. E il Veneto lo conferma. Andate a leggerla con attenzione, questa legge, e che il cielo vi dia la forza d’animo (e di stomaco) per arrivare fino in fondo. L’unica concessione, persino contestata dai soliti castratori dell’opposizione (5 Stelle in testa, neanche a dirlo) è che i diritti acquisiti non si toccano, per cui il nuovo distanziometro a loro non si applica. E ci mancherebbe altro!!!
In tema di orari, sta di fatto che il problema non è tanto se un Comune qualsiasi preferisce adottare timing leggermente diversi per le tre fasce stabilite, oppure se, molto goffamente a dire il vero, un Comune come Venezia parla di orari di accensione e non di interruzione, mettendo in mezzo pure i “poveri” comma 7.
La cosa di cui dobbiamo davvero preoccuparci, e contestare all’infinito, è il “peccato originale” della legge veneta (e non solo di essa) di lasciare alle amministrazioni comunali la facoltà di stabilire ulteriori vincoli di orario, a piena discrezione dei sindaci. Disposizione che non è assolutamente nello spirito dell’accordo in Conferenza Unificata (a cui l’assessora regionale alla Sanità fa, sin troppo orgogliosamente, riferimento), in quanto esso non pone condizioni o specifiche aggiuntive alla sottoscritta interruzione di 6 ore massime giornaliere di attivazione degli apparecchi.
D’altra parte, ci viene da pensare che una norma così “nuda e cruda” dovrà trovare, nel decreto che recepirà i contenuti dell’Accordo, una definizione più dettagliata, anche perché vanno considerati i diversi regimi a cui sottostanno le sale slot e gli esercizi con somministrazione di alimenti e bevande. Per questi ultimi, è arcinoto, sono i rispettivi Comuni a stabilire gli orari di apertura, di modo che, se un bar è vincolato all’orario 6-22, ad esempio, il triplice blocco di orario di 6 ore complessive imposto alle macchine da gioco porterebbe a 14 ore complessive l’inattività forzata delle stesse. Invece, una sala slot aperta h24 sopporta la chiusura effettiva di “solo” 6 ore.
Fuori dall’inciso, va pure detto che è la stessa Circolare degli Interni del 6 novembre – che pur avevamo elogiato per la fermezza con cui è stata scritta, tanto da assumere i toni di un vero e proprio atto di imperio per riattribuire al Ministero le prerogative che gli spettano – a rendere la situazione meno limpida di quanto si vorrebbe.
Inizialmente, ben contesta il provvedimento del Comune di Anzio, poi esaminato dal Tar Lazio, proprio perché “l’ente locale aveva limitato l’orario di funzionamento ad 8 ore – con un “blocco”, quindi, di 16 ore (…)”, mentre l’intesa Stato-Regioni-E.L. “fissa la durata massima del blocco degli apparecchi in 6 ore giornaliere.” Poi, ben afferma che un Comune può disattendere le indicazioni dell’Intesa “solo laddove dimostri, in sede di motivazione, l’esistenza di particolari situazioni o fenomeni, legati nello specifico contesto del proprio territorio”. Infine, però, fa presente che “l’Intesa del 7 settembre 2017 subordina la definizione della distribuzione giornaliera dell’orario di gioco ad una previa intesa con l’Agenzia Dogane e Monopoli, portatore dell’interesse a salvaguardare le ragioni erariali connesse al gioco lecito.” E quest’ultima affermazione sembrerebbe lasciare la porta aperta ad un’interpretazione contraria allo spirito della Circolare stessa. Vale a dire: se per definire i limiti d’orario è necessaria l’intesa con ADM, in assenza di questa il cosiddetto “atto di indirizzo” diventa un cumulo di parole scritte nell’acqua.
Al che, paradossalmente, le Regioni e i Comuni potrebbero continuare ad andare avanti sulla propria strada, a meno che non siano i Prefetti, destinatari in primis della Circolare, a imporne d’autorità l’applicazione pedissequa.
Comunque, nel caso della Regione Veneto, tolto il fatto che la Legge in oggetto, risalendo al 10 settembre 2019, è uscita prima della Circolare degli Interni, abbiamo la quasi convinzione che la Giunta Regionale, con la Deliberazione n. 2006 del 30 dicembre 2019 – quella che per l’appunto ha dettagliato le tre fasce orarie giornaliere di blocco, valide per tutto il territorio regionale – abbia voluto sfruttare a proprio vantaggio la pronuncia del Ministero isolandone i passaggi che più le fanno comodo, o se preferite da paravento.
In conclusione, ci permettiamo di dare un paio di consigli alle associazioni che rappresentano gli operatori. Primo, oltre a rincorrere le singole situazioni locali, si dovrebbe andare a monte per verificare, ed eventualmente contestare ai massimi livelli, tutto ciò che nelle leggi regionali è anticostituzionale. Un esempio soltanto: è ammissibile che il Veneto (e altri) possa maggiorare l’Irap a chi installa gli apparecchi?
Secondo: sarebbe il caso di recuperare la strategia cara al decano dei presidenti Sapar, Lorenzo Musicco, di muoversi a suon di interpellanze parlamentari, perché con esse si può andare al cuore di qualsiasi questione, anche di principio. Una risposta sono obbligati a dartela e, in passato, di risposte “interessanti” ne abbiamo avute, eccome! Allora, la domanda che faremmo noi, innanzitutto, è questa: alla luce della confusione che si sta creando attorno all’Intesa di cui sopra, quando si degnerà il Governo, o chi per lui, di tradurlo in norma, possibilmente fatta bene?
Marco Cerigioni
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