E’ stata finalmente pubblicata la sentenza con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse nel ritenere colpevole di peculato il gestore di apparecchi da gioco,
E’ stata finalmente pubblicata la sentenza con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse nel ritenere colpevole di peculato il gestore di apparecchi da gioco, slot machine e vlt, che omette il versamento del Preu.
Di seguito la sentenza integrale:
La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite è la seguente:
“se l’omesso versamento del prelievo unico erariale (PREU), dovuto sull’importo
delle giocate al netto delle vincite erogate, da parte del “gestore” degli apparecchi
da gioco con vincita in denaro o del “concessionario” per l’attivazione e la
conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito,
costituisca il delitto di peculato”.
interesse ai fini della decisione, illustrare sinteticamente la disciplina della tipologia
degli apparecchi da gioco lecito cui è applicato il PREU, un settore relativo
all’ambito di esercizio del monopolio fiscale su giochi e scommesse, destinato a
fornire risorse finanziarie allo Stato, in cui le finalità del controllo pubblico
comprendono il contrasto alla ludopatia, la gestione dei flussi di denaro derivanti
dal gioco, in maggiore parte destinati all’erario, i sistemi di controllo per evitare
frodi ed evasione fiscale.
Nella vicenda sottesa alle condotte oggetto di giudizio viene in rilievo
l’utilizzazione di giochi tipo slot-machine, ovvero quegli apparecchi
“autosufficienti” che, con varie forme di automatismo, interagendo direttamente
con il soggetto scommettitore, consentono la giocata previo inserimento di denaro,
elaborano il meccanismo di vincita e, se del caso, consegnano immediatamente il
premio al giocatore.
La legge 27 dicembre 2002, n. 289 ha modificato l’art. 110 R.D. 18 giugno
1931 n.773, disciplinando la installazione di apparecchi automatici “leciti” nei
seguenti termini:
– si è previsto che la installazione degli «apparecchi automatici di cui ai
commi 6 e 7, lettera b), dell’articolo in esame è consentita negli esercizi
assoggettati ad autorizzazione ai sensi degli articoli 86 o 88» (comma 3);
– sono state regolamentate le macchine “autosufficienti” che prevedono la
scommessa in denaro ed il gioco gestito esclusivamente dalla macchina locale
(comma 6);
– sono state previste altre tipologie di macchine che non offrono la vincita
diretta in denaro, ma per le quali si introduce un controllo diretto (anche) alla
verifica del pagamento delle imposte che gravano sulle stesse (comma 7).
Con riferimento alle macchine “autosufficienti” (che qui maggiormente
interessano) la norma prevede precise condizioni per l’esercizio del gioco (si fa
riferimento alla previsione attuale, essendo intervenute varie modifiche delle
percentuali di destinazione dell’incasso delle giocate):
– gli apparecchi, di proprietà privata, sono leciti a condizione che siano
«dotati di attestato di conformità alle disposizioni vigenti rilasciato dal Ministero
dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato»
e siano «obbligatoriamente collegati alla rete telematica di cui all’articolo 14-bis,
comma 4, del DPR 26 ottobre 1972, n. 640»;
– la giocata ammessa non può superare un euro e la durata della partita non
deve essere inferiore a quattro secondi;
– la vincita non può essere superiore a C 100 e deve essere pagata con
denaro erogato direttamente dalla macchina;
– su di un ciclo di 140.000 partite, ogni singola macchina deve restituire in
premi il 75% delle somme inserite.
compresa la gestione degli incassi, previsto da tale normativa si incentra sulla
creazione di una rete telematica per potere avere il controllo diretto ed in tempo
reale dell’utilizzazione di ogni singolo apparecchio: a tale fine è stato modificato il
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640 (imposta sugli spettacoli) e si è previsto che l’AAMS
individui con gare ad evidenza pubblica uno o più concessionari della «rete o delle
reti per la gestione telematica degli apparecchi».
Il successivo d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito, con modificazioni, dalla
legge 24 novembre 2003, n. 326 ha introdotto il sistema di raccolta della quota
destinata all’Erario degli introiti degli apparecchi da gioco, lasciati in esercizio ai
concessionari delle reti ed ai loro gestori ed esercenti. Il citato decreto-legge, all’art.
39, comma 13, dispone che su tali apparecchi «si applica un Prelievo Erariale Unico
fissato in misura del 13,5 per cento delle somme giocate, dovuto dal soggetto al
quale l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ha rilasciato il nulla osta
di cui all’articolo 38, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive
modificazioni. A decorrere dal 26 luglio 2004 il soggetto passivo d’imposta è
identificato nell’ambito dei concessionari individuati ai sensi dell’articolo 14-bis,
comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, e
successive modificazioni, ove in possesso di tale nulla osta rilasciato
dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (…).».
Il PREU è, quindi, configurato come imposta sul consumo. La sua natura
tributaria è stata affermata dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 334 del
2006, che, in sede di conflitto di attribuzione tra la Regione Siciliana e lo Stato, ha
risolto il dubbio su alcuni profili ambigui della disciplina, ritenendo il PREU una
«entrata tributaria erariale», sostitutiva della precedente forma di imposta sugli
intrattenimenti applicata agli apparecchi da gioco.
La natura di imposta di consumo, quindi, porta a ritenere che rispetto al PREU
il giocatore è il contribuente di fatto, mentre il concessionario è il contribuente di
diritto; l’imposta, difatti, è computata sull’importo della giocata e non sul reddito
di impresa del contribuente di diritto.
Le ulteriori norme introdotte con la legge finanziaria del 2006 hanno
completato la specifica disciplina del PREU, per il quale è prevista la riscossione
mediante ruolo.
Per completare la disciplina della destinazione degli introiti degli apparecchi di
gioco lecito, oltre al PREU, determinato per legge, le convenzioni di concessione
delle reti per la gestione telematica degli apparecchi, predisposte dall’AAMS in base
al D.M. 12 marzo 2004 n. 86 del Ministero dell’Economia e delle Finanze
(Regolamento per la gestione telematica di tali apparecchi da divertimento e
intrattenimento), dispongono l’ulteriore destinazione delle somme nette incassate
dagli apparecchi da gioco: canone di concessione, destinato alla AAMS, aggio
destinato al concessionario, quota residua che va divisa tra il concessionario ed il
gestore (o esercente) degli apparecchi.
Le somme costituenti aggio e residuo andranno a formare il ricavo di impresa
del concessionario.
attività nel settore in questione sia affidata con concessione “traslativa”, avente
ad oggetto la gestione della rete di controllo e l’esercizio dei singoli apparecchi che
sono di proprietà privata, ma devono essere muniti dell’apposito nulla osta
rilasciato dall’ente concedente (si tratta dell’attestato di conformità alle
disposizioni vigenti, previsto dall’art. 110, comma 6, T.U.L.P.S.).
Si devono quindi chiarire i ruoli dei singoli soggetti che partecipano in vario
modo all’esercizio di tale concessione.
In particolare, oltre al concessionario, rilevano le figure del “gestore” e
dell’esercente” i quali, pur svolgendo la propria attività nella gestione del gioco
sulla base di un contratto di diritto privato con il concessionario, sono figure che
ricevono una regolamentazione prevalentemente dalla convenzione di concessione.
4.1. Il gestore è il soggetto che esercita un’attività organizzata diretta alla
distribuzione, installazione e gestione economica degli apparecchi da
intrattenimento. In particolare, provvede materialmente a prelevare i proventi,
mediante l’operazione gergalmente denominata di “scassettamento”; quindi è il
gestore che in prima battura ha la disponibilità materiale delle somme contenute
nei singoli apparecchi, al netto delle vincite erogate.
L’esercente è il titolare dell’esercizio ove sono installati gli apparecchi, che
svolge attività simili quando non vi sia un soggetto gestore. Nel prosieguo si farà
riferimento al solo gestore, considerando che comunque le stesse regole valgono
anche per l’esercente.
4.2. La convenzione di concessione con l’AAMS (oggi ADM) prevede che il
concessionario di rete possa avvalersi nell’attività di gestione degli apparecchi di
gioco dei citati ausiliari che devono essere in possesso delle prescritte
autorizzazioni, devono essere iscritti nell’apposito elenco di cui all’art. 1, comma
533, della I. 23.12.2005, n. 266 e successive modifiche e sono legati al
concessionario da appositi contratti di diritto privato il cui contenuto è
predeterminato dall’atto di concessione e dall’AAMS (oggi ADM). Il gestore è tenuto
a rispettare specifici obblighi nello svolgimento dell’attività di interesse
dell’Amministrazione.
dall’ordinanza di rimessione – le decisioni che hanno dato luogo al contrasto
riguardano casi in cui il soggetto gestore che operava per conto del concessionario
nell’effettivo esercizio degli apparecchi si è appropriato di tutte le somme
materialmente raccolte nei dispositivi da gioco non riversandole al concessionario;
è il caso che ricorre anche nel presente processo in cui l’imputazione fa riferimento
non solo all’appropriazione delle somme destinate al pagamento del PREU, ma
anche di quelle destinate a canone di concessione e di quelle destinate al
concessionario.
5.1. Un primo orientamento, in linea con una giurisprudenza incline a
riconoscere la natura pubblica delle somme raccolte da privati abilitati allo
svolgimento di svariate tipologie di giochi autorizzati, qualifica il concessionario
della gestione della rete telematica come “agente contabile” «atteso che il denaro
che riscuote è fin da subito di spettanza della P.A.» come risulta dal decreto 12
marzo 2004 del Ministero dell’Economia e delle Finanze che dispone che il
concessionario «contabilizza, per gli apparecchi collegati alla rete telematica
affidatagli, il prelievo erariale unico ed esegue il versamento del prelievo stesso,
con modalità definite con decreto di AAMS».
In questo senso, Sez. 6, n.49070 del 05/10/2017, Corsino, Rv. 271498,
secondo la quale «riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il subconcessionario
per la gestione dei giochi telematici, trattandosi di un soggetto che,
in virtù di una facoltà riconosciuta al concessionario dall’Amministrazione
Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), è investito contrattualmente
dell’esercizio dell’attività di agente contabile addetto alla riscossione ed al
successivo versamento del prelievo erariale unico sulle giocate previsto dall’art. 2,
lett. g), del d.m. 12 marzo 2004». La Corte argomenta che il concessionario, nel
delegare le proprie attività al “subconcessionario”, ancorché utilizzi lo schema del
contratto di diritto privato, comunque «demanda ad altro soggetto l’esercizio
dell’attività di agente contabile».
Logico corollario di tale impostazione è che la condotta del gestore che si
impossessa degli incassi delle giocate, omettendo di versarli al concessionario,
integra il peculato ex art. 314 cod. pen.
Tale decisione ritiene che ricorra sostanzialmente lo stesso schema del
concessionario dell’attività di raccolta del gioco del lotto, la cui condotta di
appropriazione delle giocate è qualificata in giurisprudenza come peculato.
Questa impostazione risulta condivisa anche da Sez.6, n.15860 del
10/4/2018, Cilli, non mass., che, affrontando la questione in sede cautelare, ha
ritenuto corretta la contestazione di peculato a fronte della condotta appropriativa
del PREU e del canone di concessione posta in essere dal gestore che non aveva
versato la raccolta del gioco esercitato con apparecchi del tipo in questione; questa
decisione sottolinea, altresì, che la configurabilità del reato non è esclusa
dall’eventuale esistenza di contestazioni tra il gestore ed il concessionario circa le
somme da riversare all’Erario. Inoltre, la Corte ha anche precisato che la
sussistenza del reato in capo al gestore non è neppure esclusa per effetto
dell’adempimento dell’obbligo fiscale da parte del concessionario.
Sez. 6 n. 4937 del 30/04/2019, dep. 2020, Defraia, Rv. 278116, è
sostanzialmente adesiva alle argomentazioni della sentenza Corsino; difatti,
ribadisce con argomentazioni simili che il denaro delle giocate è fin da subito di
spettanza della P.A. («il denaro versato dai giocatori diviene ‘pecunia publica’ non
appena entra in possesso del soggetto incaricato di raccogliere tale denaro»).
Considera come la natura privatistica del contratto con cui il concessionario
“demanda” ad altro soggetto l’esercizio dell’attività di agente contabile non esclude
la qualifica di incaricato di pubblico servizio del sub-concessionario/gestore.
Il contratto, difatti, regola comunque l’esercizio di servizi pubblici, in quanto
il gestore viene investito della partecipazione all’attività di agente contabile quale
«addetto alla riscossione ed al successivo versamento del “prelievo erariale unico”
sulle giocate, previsto dall’art. 2 lett. g) del D.M. 12 marzo 2004, poiché il servizio
del gioco è riservato allo Stato».
In definitiva, anche tale sentenza esclude che l’attività del gestore possa
ridursi alla semplice fornitura/assistenza delle macchine e che la sua attività di
raccolta degli incassi delle giocate possa essere qualificata come semplice attività
materiale.
Le sentenze Sez. 6, n. 35373 del 28/05/2008, Bellebono, non mass., e
Sez. 2, n. 18909 del 10/04/2013, Torregrossa, non mass., confermano la
configurabilità del reato di peculato nei confronti del gestore che si appropria delle
somme destinate a PREU ravvisando la originaria proprietà pubblica degli incassi.
5.2. Il diverso orientamento è rappresentato dalla sentenza Sez. 6, n. 21318
del 05/04/2018, Poggianti, Rv. 272951, che è intervenuta in un caso in cui il
gestore degli apparecchi aveva utilizzato un espediente tecnico tale da impedire la
comunicazione dei dati delle giocate all’Amministrazione ed in tal modo aveva
nascosto l’incasso indebito delle somme non contabilizzate.
La sentenza ha considerato che la normativa positiva disciplina il PREU quale
debito tributario. Ha, quindi, affermato che le somme materialmente prelevate
dagli apparecchi da gioco sono in possesso del gestore del gioco il quale è tenuto
al pagamento del PREU quale soggetto passivo d’imposta, sulla base di un’analitica
valutazione di tutte le disposizioni rilevanti di tale normativa che consentono di
qualificare il PREU quale imposta «il denaro incassato all’atto della puntata, e a
causa di questa, deve ritenersi non immediatamente di proprietà, pro quota,
dell’erario (all’epoca dei fatti in misura pari al 12% degli introiti), bensì
interamente della società che dispone del congegno da gioco, anche per la parte
corrispondente all’importo da versare a titolo di prelievo unico erariale. Questo
perché la giocata genera un ricavo di impresa sul quale è calcolato l’importo che
la società deve corrispondere a titolo di debito tributario; quindi, l’impresa che
gestisce il congegno da gioco non incassa neppure in parte denaro già in quel
momento dell’erario, e, di conseguenza, quando non corrisponde le somme
dovute a titolo di prelievo erariale unico, non si appropria di una cosa altrui, ma
omette di versare denaro proprio all’Amministrazione finanziaria in adempimento
di un’obbligazione tributaria».
La sentenza citata giunge a tale conclusione sulla base dell’esegesi del d.l. 24
novembre 2003, n.326 da cui desume che:
– il soggetto passivo di imposta non è individuato nel giocatore, ma nei
concessionari della rete (art.39, commi 13 e 13-bis), con i quali i terzi incaricati
della raccolta (i cd. gestori) sono solidamente responsabili (art.39-sexies);
– l’unità temporale di riferimento per il calcolo finale del PREU è riferita all’anno
solare (art.39, comma 13-bis), mediante un versamento finale a saldo dei
versamenti periodici;
– il PREU è dovuto su tutte le somme giocate tramite apparecchi e congegni
che erogano vincite in denaro, anche se questi siano esercitati al di fuori di
qualunque autorizzazione e non siano collegati alla rete telematica (art.39-
quater).
Secondo la sentenza in esame, la specifica disciplina, dettata per la categoria
di apparecchi da gioco in esame, consentirebbe di affermare che il soggetto
passivo dell’imposta non è il giocatore, bensì il concessionario ed il terzo incaricato
della raccolta, sicché, ove il denaro non venga riversato all’AAMS (oggi ADM), non
si configurerebbe l’appropriazione di somme già appartenenti all’erario, bensì un
tipico caso di omesso versamento di un tributo (nel caso di specie il PREU).
Corollario di tale affermazione è che il denaro raccolto mediante le giocate
altro non è che il ricavo di un’attività commerciale, che a prescindere dal fatto che
sia svolta in forma lecita o illecita, genera in ogni caso l’insorgere dell’obbligazione
tributaria.
Nell’ordinanza di rimessione, oltre a considerare in modo dettagliato gli
argomenti della sentenza Poggianti, si osserva che, in tale prospettiva, «il soggetto
che incassa le somme delle giocate non ha il possesso o la disponibilità di denaro
altrui, ovviamente per la parte da versare all’Amministrazione finanziaria a titolo
di prelievo erariale unico, ma, diversamente, è debitore nei confronti di questa in
relazione ad una obbligazione pecuniaria commisurata all’entità del denaro
percepito».
In definitiva, secondo tale impostazione il denaro incassato non è di proprietà
pubblica, bensì del concessionario della rete il quale, su tale incasso dei “propri”
apparecchi di gioco, assume un’obbligazione tributaria. Per tale ragione, la
condotta di appropriazione non integra il reato di peculato.
sostanzialmente stabile. Va sottolineato che la differenza di ricostruzione, che
porta alla alternativa qualificazione giuridica della condotta di indebito
trattenimento degli incassi delle giocate, non verte sulla natura di obbligazione
tributaria del versamento del PREU, bensì sulla proprietà del denaro versato dai
giocatori negli apparecchi da gioco, al netto di quanto restituito direttamente in
vincite.
Secondo il primo indirizzo, tale denaro è incassato, a prescindere dalla
proprietà dei dispositivi di gioco, nell’esercizio della concessione e per conto della
concedente, e, quindi, appartiene alla Amministrazione; la peculiare modalità di
riversamento del denaro, con il meccanismo tributario per una gran parte (il PREU)
e con il canone di concessione per altra, non incide sulla natura di denaro pubblico,
dato rilevante ai fini che qui interessano.
L’altro indirizzo, invece, accentuando il profilo di natura tributaria e,
qualificando il PREU come imposta sui redditi di impresa (come sembra affermare
quando parametra l’imposta al «ricavo di impresa») anziché come imposta sui
consumi, usa tale argomento per affermare che l’incasso delle somme residuate
dalle giocate, detratte le vincite, rappresenta un “guadagno” privato sottoposto,
appunto, ad imposta (PREU).
le precisazioni di cui appresso. Devono, innanzitutto, essere distinti due diversi
profili, quello riguardante la proprietà delle somme incassate dagli apparecchi da
gioco, di cui (una gran) parte destinata al pagamento del PREU, e quello relativo
all’obbligo di versamento del PREU quale tributo. Tale profilo appare dirimente per
rispondere al quesito posto dalla ordinanza di rimessione quanto alla qualità di
incaricato di pubblico servizio del gestore.
7.1 La soluzione prescelta poggia sulla considerazione che non è dubitabile che
(tutti) i proventi del gioco presenti negli apparecchi, al netto del denaro restituito
quale vincita agli scommettitori, appartengano all’Amministrazione.
La questione della proprietà degli incassi è già stata risolta dalle Sezioni Unite
civili di questa Corte che in più occasioni hanno confermato la giurisdizione della
Corte dei Conti nei confronti dei concessionari di rete, chiamati dal giudice contabile
alla resa del conto giudiziale, ai sensi del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, per la
gestione degli incassi, in quanto originariamente appartenenti alla pubblica
amministrazione concedente e gestiti dai soggetti concessionari nel ruolo di “agente
contabile”.
In tali termini si sono espresse in primo luogo Sez. U. civ. n. 13330
dell’01/06/2010, Rv. 613290, secondo cui «la società contabilizza, per gli
apparecchi collegati alla rete telematica affidatale, il prelievo erariale unico e ne
esegue il versamento; come tale essa riveste la qualifica di agente della riscossione
tenuto al versamento di quanto riscosso e, dunque, al conto giudiziale degli introiti
complessivamente derivanti dalla gestione telematica del gioco lecito, compreso il
compenso del concessionario».
Un’altra decisione ha precisato che la società concessionaria dell’Azienda
Autonoma dei Monopoli dello Stato per la attivazione e la conduzione operativa
della rete per la gestione telematica del gioco lecito assicura che la rete telematica
affidatale contabilizzi le somme giocate, le vincite ed il prelievo erariale unico,
nonché la trasmissione periodica di tali informazioni al sistema centrale, e, inoltre,
provvede a contabilizzare, per gli apparecchi collegati alla rete telematica
affidatale, il prelievo erariale unico, seguendone il versamento (così, Sez. U
civ., ord. n. 14891 del 21/06/2010, Rv. 613822).
Secondo queste decisioni la società concessionaria riveste la qualifica di
agente della riscossione tenuto al versamento di quanto riscosso e, dunque, al
conto giudiziale degli introiti complessivamente derivanti dalla gestione telematica
del gioco lecito, compreso il compenso del concessionario.
Negli stessi termini e con più ampio sviluppo, proprio degli aspetti rilevanti ai
fini della odierna decisione, sono intervenute di recente Sez. U civ., n. 14697 del
29/05/2019, Rv. 653988, che hanno ritenuto espressamente la natura pubblica di
tutti gli incassi degli apparecchi da gioco in questione proprio in considerazione
della funzione del collegamento diretto del sistema centrale dell’Amministrazione
rispetto ai singoli apparecchi da gioco e hanno affermato che questo «sistema di
collegamento diretto, rivolto in particolare al flusso di denaro, riscosso in
conseguenza del gioco lecito, ed alle sue destinazioni (vincite, canone di
concessione, deposito cauzionale, obbligazioni tributarie, compenso del
concessionario) così come previste dalla legge, ne evidenzia la diretta appartenenza
pubblica».
Soprattutto, le Sezioni Unite civili risolvono l’aspetto qui rilevante, escludendo
che vi sia contrasto tra l’essere il concessionario soggetto passivo d’imposta
rispetto al PREU e l’essere gli incassi del gioco di proprietà pubblica: il regime fiscale
previsto dal legislatore non incide sull’obbligo del concessionario di assicurare,
mediante, la conduzione operativa della rete telematica, la contabilizzazione delle
somme giocate, delle vincite e del P.R.E.U. La natura tributaria dell’imposta (Corte
cost. 334 del 2006) e la qualificazione del concessionario come soggetto passivo
d’imposta (ex art. 1, comma 81 della legge n. 296 del 2006) operano
limitatamente al rapporto di natura tributaria, senza incidere sulla funzione di
agente della riscossione di denaro pubblico derivante dalla configurazione
complessiva dell’attività di gioco lecito mediante apparecchi o congegni elettronici,
caratterizzata dalla predeterminazione dettagliata delle modalità di svolgimento
dell’attività e della funzione del concessionario rispetto agli esercenti, in particolare
sotto il profilo del controllo periodico della destinazione delle somme riscosse(Sez.
Un. civ. n. 14697 del 2019, cit.).
7.2. La soluzione recepita dalle Sezioni unite civili è in linea con la consolidata
giurisprudenza della Corte dei Conti, competente ad esercitare il controllo sui
concessionari in virtù della loro qualificazione quali “agenti contabili”.
Il problema sottoposto al Collegio si era già ampiamente posto dinanzi al
giudice contabile, sostanzialmente nei medesimi termini circa l’esatta
qualificazione del PREU come un’entrata erariale qualificabile come tale ab origine,
piuttosto che come un ordinario tributo rispetto al quale il concessionario non
poteva assumere il ruolo di agente contabile, ma solo quello di soggetto passivo
d’imposta.
Nella sentenza resa da Sez. I App., n. 1086 del 18.09. 2014, la Corte dei Conti
ha testualmente affermato: «la società appellata è concessionaria
dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli dello Stato per l’attivazione e la
conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito. Essa
assicura, perciò, che la rete telematica affidatale contabilizzi le somme giocate, le
vincite ed il prelievo erariale unico, nonché la trasmissione periodica di tali
informazioni al sistema centrale. La società – inoltre – contabilizza, per gli
apparecchi collegati alla rete telematica affidatale, il prelievo erariale unico e ne
esegue il versamento. Tanto precisato, essa riveste la qualifica di agente della
riscossione (agente contabile), tenuto al versamento di quanto riscosso e, dunque,
al conto giudiziale degli introiti complessivamente derivanti dalla gestione
telematica del gioco lecito, compreso il compenso del concessionario».
La suddetta pronuncia si confronta espressamente anche con la presunta
incompatibilità tra la qualifica di agente contabile, derivante dalla riscossione di
denaro pubblico, rispetto alla disciplina tributaria del PREU, laddove argomenta
che «la sottoposizione del concessionario al prelievo erariale unico (PREU) non
incide sulla sua natura di agente contabile, stante che tale prelievo è solo la
modalità con cui l’Amministrazione ottiene il versamento da parte del
concessionario di somme dovute da calcolarsi, però, su conti da rendersi da chi
rivesta la qualifica di contabile, per avere maneggio delle somme di denaro su cui
anche il PREU deve calcolarsi».
L’appartenenza del denaro oggetto di PREU all’erario è esplicitata in maniera
ancor più netta da Corte Conti Lazio, sez. reg. giurisd., n. 2110 del 05/11/2010,
secondo cui «è proprio la gestione in via esclusiva di un’attività propria del
soggetto pubblico con attribuzione di poteri pubblici al concessionario ed
imposizione di particolari obblighi a determinare la nascita di un soggetto che ha
la disponibilità materiale di beni, materie e valori di pertinenza pubblica. Lo stesso
denaro raccolto con l’utilizzo di apparecchiature collegate alla rete telematica della
P.A. deve ritenersi, quindi, denaro pubblico e ciò, ovviamente, non tanto in ragione
della sua provenienza, che è squisitamente privata, ma in forza del titolo di
legittimazione alla giocata che rende lecito un gioco d’azzardo altrimenti vietato.
Ed allora, se il privato deve utilizzare l’apposito canale pubblico
rappresentato dalle apparecchiature elettroniche collegate alla rete telematica
della Pubblica Amministrazione per effettuare la sua giocata, ne consegue che il
denaro impiegato diventa denaro pubblico, soggetto alle regole pubbliche di
rendicontazione e il cui maneggio genera ex se l’imprescindibile obbligo dell’agente
a rendere giudiziale ragione della gestione attraverso un documento contabile che
dia contezza della stessa e delle sue risultanze».
Nell’ambito di tale sistema, pertanto, i concessionari gestiscono l’attività di
gioco nell’ambito di un continuo controllo realizzato per il tramite del collegamento
alla rete telematica dei singoli apparecchi. Proprio tale «sistema di collegamento
diretto, rivolto in particolare al flusso di denaro, riscosso in conseguenza del gioco
lecito, ed alle sue destinazioni (vincite, canone di concessione, deposito
cauzionale, obbligazioni tributarie, compenso del concessionario) così come
previste dalla legge, ne evidenzia la diretta appartenenza pubblica».
La tesi secondo cui il denaro provento delle giocate è di immediata
appartenenza pubblica non è contraddetta neppure dal particolare regime fiscale
adottato dal legislatore, lì dove il PREU viene qualificato quale prelievo di natura
tributaria (come riconosciuto anche da Corte cost., n.334 del 2006) ed il
concessionario è indicato quale soggetto passivo di imposta.
Secondo le Sezioni unite civili, infatti, la natura tributaria del PREU non
esclude la «funzione di agente della riscossione di denaro pubblico derivante dalla
configurazione complessiva dell’attività di gioco lecito mediante apparecchi o
congegni elettronici, caratterizzata dalla predeterminazione dettagliata delle
modalità di svolgimento dell’attività e della funzione del concessionario rispetto
agli esercenti, in particolare sotto il profilo del controllo periodico della
destinazione delle somme riscosse».
Sulla base di tali argomentazioni le Sezioni unite civili ritengono che il denaro
provento delle giocate, a prescindere dalla specifica destinazione pro quota dello
stesso, è di «diretta appartenenza pubblica».
7.3. L’interpretazione data dalle SS.UU. civili e dal giudice contabile è univoca
e ne vanno condivisi gli argomenti.
Il privato concessionario gestisce in via esclusiva un’attività propria
dell’Amministrazione, rientrante nell’ambito di un monopolio legale, esercitandone
i medesimi poteri pubblici. In un tale contesto, il concessionario procede alla
raccolta di denaro, tramite gli apparecchi collegati alla rete telematica della
Pubblica Amministrazione, attività che assume carattere pubblico in forza del titolo
di legittimazione alla giocata che rende lecito un gioco d’azzardo che, altrimenti,
integrerebbe un’attività assolutamente vietata dall’art. 110 T.U.L.P.S. e
sanzionata.
7.4. Il soggetto al quale viene affidata dalla Pubblica Amministrazione la
gestione della funzione pubblica del gioco lecito ed, in particolare, deputato
istituzionalmente al maneggio di tale denaro pubblico, riveste obiettivamente il
ruolo di agente contabile ex art. 178, R.D. 23 maggio 1924 n. 827 in virtù delle
regole che gli conferiscono specifici compiti di raccolta, rendicontazione e
riversamento della quota parte della giocata sotto forma di prelievo unico erariale,
secondo quanto previsto testualmente dalla convenzione di concessione in
conformità alle inequivoche disposizioni del D. M. 12 marzo 2004, n. 86
(Regolamento concernente disposizioni per la gestione telematica degli apparecchi
in questione).
ha dato luogo al contrasto: non è in discussione se il PREU in sé sia un’imposta, in
quanto questa natura è pacifica proprio alla luce della normativa inequivoca che
lo disciplina. E’, invece, in questione la natura pubblica degli incassi del gioco
realizzati utilizzando una certa tipologia di apparecchi. L’orientamento minoritario
che ritiene che gli incassi degli apparecchi rappresentino “ricavi” dell’attività
imprenditoriale svolta dalla concessionaria non può essere condiviso per gli
argomenti in precedenza illustrati che dimostrano che la proprietà degli incassi,
proprio per l’attività dalla quale provengono, non può essere attribuita al privato.
Come sopra argomentato, è corretto quanto affermato dal primo indirizzo che,
del resto, non qualifica quale peculato il mancato pagamento del PREU quale
imposta, bensì l’indebita appropriazione dell’intero incasso prelevato dagli
apparecchi di cui una (maggior) parte, ma non il tutto, destinata al pagamento del
PREU. La condanna del Rubbo è stata disposta espressamente per essersi
appropriato anche della quota destinata, come aggio e come ricavo residuo, al
concessionario, nonché delle somme destinate a canone di convenzione come ben
chiarito nel prospetto fatto nel corpo della motivazione della sentenza di primo
grado.
La risposta al quesito, per quanto riguarda il concessionario di rete, è quindi
nel senso che lo stesso è responsabile del reato di peculato lì dove si appropri degli
incassi (anche) per la parte destinata a PREU, perché si tratta di “denaro pubblico”,
che egli gestisce in veste formale di agente contabile indipendentemente dalla
ulteriore considerazione se, nella gestione del gioco lecito, svolga un pubblico
servizio.
quale incaricato di pubblico servizio per la complessiva attività svolta, a prescindere
dal ruolo di agente contabile.
Si tratta di un passaggio necessario per ritenere che tale qualificazione spetti
anche al gestore il cui eventuale ruolo di incaricato di pubblico servizio è
condizionato dall’esserlo il concessionario dal quale, in ipotesi, deriverebbe il
conferimento dei compiti nella conduzione del servizio pubblico.
Il tema, inoltre, va esplicitamente affrontato anche perchè la questione del
ruolo del concessionario, al di là dell’ambito del maneggio di denaro di proprietà
pubblica, è stata posta in termini dubitativi dall’ordinanza di rimessione.
L’ordinanza, dopo avere richiamato i comuni principi secondo i quali il soggetto
“incaricato di pubblico servizio” va individuato sotto il profilo funzionale della attività
effettivamente svolta, ritiene che proprio le Sezioni Unite civili, in particolare con
l’ordinanza n. 14697 del 2019, dubitino che nella attività devoluta al concessionario
di rete vi sia un contenuto di pubblico servizio. Secondo la Sezione rimettente tale
ordinanza espressamente afferma che la società ricorrente è concessionaria di
un’attività che non ha né natura di servizio pubblico, né assolve una funzione
neanche latu sensu’lpubblicistica” (p. 9), evidentemente riferendosi alla intrinseca
estraneità dell’esercizio del gioco d’azzardo da parte dello Stato dal perimetro
proprio ai pubblici servizi, ove si astragga dalle connesse entrate tributarle e dal
vantaggio erariale che ad esse consegue.
Va invero chiarito che questo passaggio della decisione citata va collegato a
quanto sostenuto nella ordinanza delle Sezioni Unite civili che, subito dopo avere
escluso la funzione pubblicistica del gioco d’azzardo in sé, fa riferimento al compito
proprio del concessionario di esercizio della rete telematica deputata al controllo ed
afferma che solo all’interno «di queste rigide maglie» il gioco può ritenersi lecito. Il
“pubblico servizio” è, quindi, rappresentato dal diretto e continuativo controllo di
un’attività che, altrimenti, sarebbe illecita.
L’ambito del pubblico servizio attribuito al concessionario di rete è chiaramente
individuato anche dalla recente giurisprudenza costituzionale. Infatti, la sentenza
costituzionale n. 56 del 2015, proprio con riferimento alla tipologia di concessioni
riferite agli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, T.U.L.P.S., ne ha
rammentato la natura di “concessione traslativa”, in quanto «la materia dei giochi
pubblici è riservata al monopolio dello Stato, che ne può affidare a privati
l’organizzazione e l’esercizio in regime di concessione di servizio, sulla base di una
disciplina che trova origine negli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 14 aprile 1948,
In particolare, ravvisa gli interessi pubblici tutelati dalla normativa che
disciplina tali giochi nella «pubblica fede, l’ordine pubblico e la sicurezza, la salute
dei giocatori, la protezione dei minori e delle fasce di giocatori adulti più deboli, la
protezione degli interessi erariali relativamente ai proventi pubblici derivanti dalla
raccolta del gioco».
Quindi, l’attività di gestione della rete di controllo deve qualificarsi come
pubblico servizio, come del resto chiarisce il decreto ministeriale 12 marzo 2004,
la gestione telematica degli apparecchi da divertimento e intrattenimento in
questione, secondo il quale la Amministrazione «affida in concessione l’attivazione
e la gestione operativa delle reti telematiche» e non l’esercizio del gioco d’azzardo.
È inoltre un pubblico servizio l’esercizio del monopolio fiscale connesso ai
giochi leciti. Nel già citato d.l. n. 269 del 2003, n. 269, istitutivo del PREU, si fa
riferimento più volte a tale monopolio con riferimento alla gestione delle entrate
fiscali (art. 39, comma 13-quinquies: «Al fine di evitare fenomeni di elusione del
monopolio statale dei giuochi …», «attività di giuoco riservato allo Stato»).
In definitiva, non può dubitarsi che il concessionario svolga in regime di
concessione un pubblico servizio, riservato al monopolio statale, che consiste
proprio nel controllo delle attività di gioco sia per il rispetto dei limiti entro quale
può ritenersi lecito, svolgendo quella funzione pubblica, più volte dichiarata nella
normativa, di contrasto alla diffusione della ludopatia e delle attività criminali nel
dato settore, sia per la gestione degli incassi delle giocate, destinati all’Erario.
che il denaro che le figure di supporto dell’attività del concessionario hanno in
gestione non può mai definirsi a loro appartenente.
La stessa questione controversa, verte sul profilo della spettanza degli incassi
allo Stato, concedente dell’esercizio del gioco lecito, o al concessionario. In ogni
caso, il gestore non assume mai il possesso autonomo del denaro, secondo gli
schemi della convenzione di concessione che non consente di “cedere” la
concessione, ma solo di avvalersi di soggetti addetti ai dati compiti, imponendo
contenuti ai contratti di collaborazione per funzioni di garanzia del corretto esercizio
dell’attività.
Quindi, il rapporto del gestore con il denaro che raccoglie dagli apparecchi è di
detenzione nomine alieno, che ai fini dell’art. 314 cod. pen., integra la condizione
di altruità della cosa.
Il gestore, comunque, sicuramente non riveste in proprio il ruolo di agente
contabile. Si è detto come tale ruolo risulti già attribuito al concessionario, né la
convenzione di concessione, che pure disciplina il rapporto dei gestori, assegna loro
alcun ruolo autonomo nel “maneggio” degli incassi, quanto ad autonomia e
responsabilità di gestione. Del resto, un ruolo autonomo di agente contabile del
gestore contrasterebbe con quello, avente lo stesso oggetto, del concessionario, e
vi dovrebbe essere una autonoma relazione, quanto alla resa del conto ex R.D. 23
maggio 1924, n. 827, tra i “subconcessionari” ed il giudice contabile.
Dal punto di vista del Regolamento di contabilità, del resto, la posizione degli
ausiliari rientra agevolmente nell’art. 188 del R.D. 23 maggio 1924 n. 827, che
prevede la responsabilità dell’agente contabile nei confronti dell’Amministrazione
anche per le attività dei propri ausiliari con funzione di cassieri etc. «anche se la
loro assunzione sia stata approvata dalle autorità competenti».
Va ora verificato se il gestore (o l’esercente) svolga, su incarico del
concessionario, solo attività comuni o anche compiti rientranti nel pubblico servizio
quale sopra delineato, in modo da acquisire a sua volta la qualità pubblicistica in
base al quale la sua condotta di appropriazione del denaro altrui integra il peculato:
diversamente, ricorrerebbe l’appropriazione indebita o un diverso reato “comune”,
come nel caso della sentenza Poggianti che, ricorrendo le ulteriori condizioni di
occultamento fraudolento degli incassi, ha qualificato la condotta quale truffa.
La questione si pone poiché, non essendo neanche prevista la figura del
gestore dal citato regolamento di cui al D.M. n. 86 del 2004, le attività previste
dai contratti di collaborazione con il concessionario, quali la collocazione fisica degli
apparecchi, la verifica del loro corretto funzionamento e la necessaria
manutenzione, lo “scassettamento” del denaro e la sua movimentazione,
potrebbero valutarsi quali attività meramente materiali e non di partecipazione
all’esercizio del servizio pubblico.
Invero, il contenuto della convenzione di concessione dimostra che
l’Amministrazione impone che i soggetti delegati all’esercizio dei dati compiti per
conto del concessionario esercitino anche attività proprie del pubblico servizio.
In particolare, pur se non si prevede alcun rapporto diretto ed obbligo di
rendiconto direttamente nei confronti dell’Amministrazione, il gestore (che può
essere anche proprietario delle macchine o può operare con apparecchi altrui)
svolge la sua attività in autonomia, senza il controllo diretto del concessionario,
ed a lui è affidata, tra l’altro, la verifica della funzionalità della rete telematica con
obblighi di segnalazione di anomalie, risultando già solo per questo avere un ruolo
determinante nel profilo che qualifica l’attività data in concessione quale pubblico
servizio.
Inoltre, tali soggetti, pur non essendo loro assegnato un ruolo diretto ed
autonomo nella gestione del denaro per conto dell’ente pubblico proprietario, lì
dove delegati anche alla gestione degli incassi, sono comunque destinatari,
secondo la convenzione di concessione (artt. 6-bis, del contratto con il gestore, e
6, del contratto con l’esercente), di penetranti obblighi di controllo, offerta di
garanzie, tracciabilità; tali obblighi sono evidentemente fondamentali per la
verifica dei corretti flussi finanziari per la prevenzione dell’inserimento di fenomeni
criminali, anche di riciclaggio, così realizzando altri interessi pubblici sottesi alla
gestione monopolistica nei termini di cui si è già detto.
Si può, quindi, affermare che anche il gestore riveste la qualifica di incaricato
di pubblico servizio quando, come nel caso qui in considerazione, abbia la gestione
degli incassi, trovandosi a detenere nomine alieno il denaro per ragione del suo
servizio pubblico.
Difatti partecipa, per la parte delegatagli, all’esercizio delle attività in
concessione e, in particolare, partecipa anche all’esercizio della stessa attività di
agente contabile del concessionario, svolgendo rispetto a questa, pur nell’ambito
del rapporto di dipendenza considerato dal citato art. 188, R.D. 23 maggio 1924
necessarie attività di contabilizzazione e movimentazione che il gestore svolge in
piena autonomia ed al di fuori del diretto controllo del suo committente, condizioni
che, a ben vedere, hanno consentito proprio nella vicenda oggetto di questo
processo la rilevante sottrazione di incassi per un ampio arco temporale.
In definitiva, la condotta del gestore (cui, si rammenta, va equiparato
l’esercente) di appropriazione degli incassi degli apparecchi da gioco, in quanto
denaro “altrui” del quale ha il possesso per ragione del suo ufficio di incaricato di
pubblico servizio, è quindi correttamente qualificata come peculato.
diritto:
“Integra il reato di peculato la condotta del gestore o dell’esercente degli
apparecchi da gioco leciti di cui all’art. 110, sesto e settimo comma, TULPS, che si
impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del
PREU, non versandoli al concessionario competente”.
Rubbo deve essere rigettato.
Con l’unico motivo, difatti, la difesa deduce la non configurabilità del peculato
sulla base della trascrizione delle argomentazioni della sentenza Poggianti, senza
sviluppare alcun altro argomento. Anche nella memoria depositata per l’udienza,
si insiste esclusivamente sulla medesima questione, facendo riferimento al mero
dato della natura tributaria del PREU.
Per quando detto, il motivo è infondato, perché tale natura tributaria
comunque non incide né sulla altruità del denaro affidato al Rubbo ed oggetto di
impossessamento né sul suo ruolo di incaricato di pubblico servizio, dovendo
essere confermata la qualificazione giuridica data dai giudici di merito.
Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese in favore della parte
civile costituita, nella misura determinata in dispositivo avuto riguardo al numero
e alla importanza delle questioni trattate, alla natura ed entità delle singole
prestazioni difensive, ai limiti minimi e massimi della tariffa forense (Sez. U, n.
40288 del 14.07.2011, Tizzi)
L | M | M | G | V | S | D |
---|---|---|---|---|---|---|
28
|
1
|
2
|
3
|
|||
4
|
7
|
8
|
9
|
10
|
||
15
|
16
|
17
|
||||
18
|
19
|
20
|
21
|
22
|
23
|
|
30
|
1
|