Secondo Enrico Bradamante, presidente di iGEN, il settore del gaming ha retto bene la crisi del coronavirus, ma nel prossimo futuro la tentazione dello smartworking «al proprio Paese» potrebbe interessare
Secondo Enrico Bradamante, presidente di iGEN, il settore del gaming ha retto bene la crisi del coronavirus, ma nel prossimo futuro la tentazione dello smartworking «al proprio Paese» potrebbe interessare fino al 20% della forza lavoro.
Non c’è solo il rischio di perdere il posto di lavoro, tra le preoccupazioni del post covid19. Chi non rischia il licenziamento si sta chiedendo se la crisi generale non porterà a una riduzione della retribuzione o, magari, dei benefit.
Il dubbio riguarda anche il settore del gaming che a Malta assorbe ormai una forza lavoro significativa.
Per capire se all’orizzonte si profilano delle nubi o si prevede un “bello stabile”, Il Corriere di Malta tramite Giampiero Moncada ha parlato con Enrico Bradamante che, con l’associazione che presiede, iGEN, iGaming european network, rappresenta buona parte delle aziende che operano qui.
È fondato il timore che anche le aziende del vostro settore pensino di ridurre le spese, a cominciare dai compensi per dipendenti e collaboratori?
In generale, le aziende del gaming non hanno visto crollare i loro fatturati durante il lockdown. Ci sono perfino dei casi in cui si è registrata una crescita. Comprensibile, d’altra parte, pensando che la gente ha incrementato tutte le attività on line, dovendo stare in casa per mesi.
Un contraccolpo ce lo aspettiamo perché inevitabilmente la crisi mondiale che si sta generando porterà ad avere meno soldi anche per il divertimento. Ma a Malta c’è ancora una forte richiesta di personale. Infatti, tutte le persone che hanno perso il lavoro in questo periodo, a volte anche per ragioni completamente diverse dal covid, si sono ricollocate nel giro di un mese. E in piena pandemia.
Quindi, c’è da stare tranquilli?
A breve termine, sì. Quando arriverà l’onda della crisi generale, temiamo un calo della spesa del giocatore. Piuttosto, sono da temere le conseguenze delle fusioni aziendali, come quella recente di Pokerstars con Flutter.
D’altra parte, le aziende fanno queste operazioni anche per abbattere i costi. Ma se si verificherà lo scenario di una crisi economica generale, dovrebbe registrarsi qualche effetto anche sul costo della vita. Per esempio, sugli affitti, che a Malta erano cresciuti in maniera anche preoccupante nel giro di pochi anni.
Questo potrebbe avere, forse, qualche riflesso sulle retribuzioni. Ma solo per le nuove assunzioni. In effetti, molte abitazioni che erano utilizzate come B&B sono rimaste vuote, come tutte le strutture turistiche, e l’offerta sul mercato degli affitti è aumentata improvvisamente. D’altra parte, i prezzi erano aumentati in maniera spropositata. Anche per gli acquisti: un appartamento a St. Julians è arrivato a costare 1,5 milioni! Le richieste per le vendite non sono scese, per adesso, ma il mercato è completamente fermo. Quindi, si tratta di vedere cosa succederà da qui a un anno. I prossimi 12 mesi saranno decisivi per capire cosa succederà con il turismo, con il personale delle aziende e così via.
In effetti, c’è anche un’altra conseguenza del lockdown che potrà incidere anche sul costo della vita: l’abitudine al telelavoro, che a Malta come in Italia si è sperimentato massicciamente durante la quarantena, potrebbe mantenersi anche quando si tornerà alla normalità. Il gaming on line è per definizione un’attività che si svolge al computer: sia per il giocatore che per chi, dall’altra parte, organizza e gestisce il gioco. Le aziende potrebbero chiedere di lavorare da casa e, per gli stranieri, rimanere nel proprio Paese.
Stiamo attraversando una fase di transizione e si parla sicuramente anche di queste possibili innovazioni. Ne parlano i dirigenti così come i dipendenti. Sembra abbastanza chiaro, comunque, che non ci sarà una soluzione uguale per tutti ma tante soluzioni diverse che andranno applicate alle diverse situazioni. Certo, tra i lavoratori c’è anche chi sta pensando di tornare nel proprio Paese continuando a lavorare per l’azienda con la quale lavorano adesso. Ma questo è possibile solo per figure particolarmente qualificate, affidabili. Altrimenti, l’azienda non fa lavorare a distanza.
Cioè, i più validi e brillanti potrebbero ottenere il telelavoro e gli altri no?
No, questo riguarda la possibilità di andare fuori da Malta. Inoltre, dobbiamo considerare che non a tutti è piaciuto lavorare da casa. In queste aziende lavorano soprattutto giovani. E quasi tutti dividono l’appartamento con altre persone. Non vedono l’ora di tornare in ufficio per avere degli spazi adeguati e, perché no, delle relazioni sociali che sono parte integrante di un’attività lavorativa.
Se la sente di fare una stima di quante persone vorranno rientrare in patria?
Penso che tra il 5 e il 20% chiederanno di lavorare dal proprio Paese. E altrettanti chiederanno il telelavoro rimanendo a Malta. Per l’azienda, far lavorare gli stranieri dal proprio Paese può essere un vantaggio perché è più semplice reclutare dei collaboratori scandinavi o spagnoli, per esempio, senza dover chiedere loro di trasferirsi a Malta. Tanto più che il trasloco comporta dei costi che, naturalmente, incidono sulla retribuzione.
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