25 Novembre 2024 - 15:26

Guerreschi (Siipac): “La Sanità italiana non ha gli strumenti adeguati alla cura del Gap; inoltre il proibizionismo non fa che relegare il problema nell’illegalità disincentivando i giocatori dal curarsi”

“Ritengo che ad oggi la Sanità non abbia gli strumenti adeguati alla cura del Gap, ma si stanno facendo dei passi significativi lo fa più il privato sociale che in

20 Gennaio 2016

“Ritengo che ad oggi la Sanità non abbia gli strumenti adeguati alla cura del Gap, ma si stanno facendo dei passi significativi lo fa più il privato sociale che in tutte le forme assistenziali è sempre stato all’avanguardia. Inoltre, un ulteriore passo avanti da fare sarebbe smettere di parlare soltanto di Slot e VLT quando si parla di azzardo, raramente si parla di Gratta e vinci o altre lotterie che sono altrettanto e altamente pericolose. Di grande aiuto sarebbe affiancare gli apparecchi da puro intrattenimento a quelli con vincita in denaro.

Solo con l’unione tra il pubblico e il privato si può intervenire creando una cultura del gioco solida. La politica del proibizionismo non ha mai funzionato e non funzionerà mai, l’unico risultato serio e duraturo può essere ottenuto attraverso una cultura del gioco che dobbiamo diffondere sempre di più facendo prevenzione e informazione”.

Cesare Guerreschi, presidente della Siipac, la Società Italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive, racconta in un’intervista esclusiva rilasciata a PressGiochi quali sono le direttive da seguire sia da un punto di vista sanitario che politico per un corretto approccio al problema del gioco d’azzardo. Per il prof. Guerreschi, che da oltre un ventennio di occupa del problema delle nuove dipendenze, gioco d’azzardo in particolare, la strada del proibizionismo non sarà mai la soluzione: “Le parole chiave per le amministrazione dovrebbero essere: prevenzione, regolamentazione, informazione e mai proibire”.

 

 

Vista la sua esperienza sul fronte del gioco patologico, come si è sviluppata negli ultimi anni questa patologia e soprattutto come è cambiata rispetto a 20 anni fa?

Il gioco d’azzardo non è un fenomeno recente, ha sempre fatto parte della cultura dell’uomo, se ne parla già in testimonianze del 4000-3000 a.C. dove vengono citati “i dadi” come gioco d’azzardo. In Italia si è passati dalla posizione proibizionista degli anni ’30 ad una posizione più “permissiva” negli anni ’90. La legalizzazione di varie forme di gioco d’azzardo e il fortissimo incremento dell’offerta in termini quantitativi (nuove tipologie di gioco, nuovi luoghi in cui giocare, maggiore entità di denaro speso, capillarità del gioco online) e qualitativi (immissione di gioco con caratteristiche sempre più tendenti all’additività creando dipendenza) hanno incrementato i casi di Gioco D’azzardo Patologico. Il proibizionismo incentivava i fenomeni illegali e la criminalità organizzata, mentre legalizzazione non è stata accompagnata da un sistema di Formazione al Gioco Sano, monitoraggio e valutazione dei danni sociali, diretti e indiretti connessi al fenomeno. Oggi parrebbe l’intenzione sia quella di trovare un modello nazionale d’equilibrio.

 

Considerata l’assenza di dati certi sul numero dei giocatori patologici, si può parlare veramente di emergenza sociale? Quanto conta l’incidenza con le altre patologie?

Il Gioco D’azzardo Patologico risultando un comportamenti socialmente accettato che attrae fortemente i giovani, rischia di diventare sempre di più una vera emergenza sociale. L’assenza di momenti Formativi, Informativi e di Monitoraggio Clinico della patologia, lascia spazio al proliferare di comportamenti patologici. Vari studi evidenziano correlazioni tra il gioco d’azzardo ed alcuni tratti fragili della personalità quali la scarsa autostima, l’insicurezza, l’impulsività, la rigidità di pensiero, la bassa tolleranza allo stress, fino ad arrivare a sviluppare vere e proprie patologie come la depressione o il disturbo ossessivo-compulsivo. Si stima che il rischio di sviluppare altre dipendenze nei giocatori patologici sia 3-4 volte più elevato rispetto alla popolazione generale.

 

Come è stato affrontato da un punto di vista sanitario negli ultimi anni questo problema?

Dal punto di vista sanitario sono stati fatti pochi passi avanti, l’unico intervento di un certo rilievo è la legge Balduzzi, che riconosce il Gioco D’azzardo Patologico come malattia inserendola nei LEA, affidandone la cura ai SerD, Servizio per le dipendenze. Nel trattamento del Gioco d’azzardo Patologico risulta fondamentale prendere in carico il paziente in maniera intensiva e per un periodo di tempo prolungato, prassi che non viene utilizzata all’interno dei SerD, ma estremamente funzionale per una terapia efficace.

 

 

La Stabilità ha affidato 50 mln di euro al SSN: Cosa ne pensa? Si parla spesso di carenza/assenza di strutture pubbliche adibite alla cura del gap e di mancanza di protocolli. Ritiene che la sanità italiana abbia gli strumenti per affrontare in maniera adeguata il GAP?

L’ affidamento di fondi al SSN per la cura del Gap può essere un discreto inizio, ma la sua gestione risulta fondamentale, considerando il fatto che il privato sociale è sempre stato antesignano. Ritengo che ad oggi la Sanità non abbia gli strumenti adeguati alla cura del Gap, ma si stanno facendo dei passi significativi, certe regioni di più altre di meno, lo fa più il privato sociale che in tutte le forme assistenziali è sempre stato all’avanguardia. Per quanto riguarda i protocolli si sente moltissimo la loro mancanza, spero un giorno che le prassi terapeutiche possano essere strutturate in modo omogeneo sul tutto il territorio Italiano.

 

Qual è la strada giusta da seguire per affrontare questa dipendenza, sia da un punto di vista sociale che di politica del settore del gioco?

Il gioco d’azzardo non verrà mai debellato completamente, esiste da oltre 6000 anni, eliminarlo del tutto è impossibile, pertanto va monitorato e regolamentato correttamente, tenendo conto degli aspetti economici, ma soprattutto dei risvolti sociali del fenomeno. L’unica arma veramente potente nelle nostre mani è unire le forze per informare, attraverso personale altamente specializzato che possano fare prevenzione e con l’aiuto di politici che si interessino. Solo con l’unione tra il pubblico e il privato si può intervenire creando una cultura del gioco solida. La logica è la stessa delle campagne di prevenzione contro la droga o l’alcool: bisogna partire dalle basi, ovvero dalle scuole elementari e addirittura dagli asili. Un ulteriore passo avanti da fare sarebbe smettere di parlare soltanto di Slot e VLT quando si parla di azzardo, raramente si parla di Gratta e vinci o altre lotterie che, per aggressività dell’informazione mediatica e per capillarità delle modalità di distribuzione (supermercati etc.) sono altrettanto e altamente pericolose.
Un intervento politico a favore degli apparecchi da puro intrattenimento, anche associati a quelli con vincita, potrebbe incidere sulla riduzione della dipendenza?

Potrebbe essere di grande aiuto affiancare gli apparecchi da puro intrattenimento alle Slot o VLT, perché inseriscono la possibilità di scelta di accesso al gioco, cosa che potrebbe distogliere l’attenzione di accedere al gioco d’azzardo, soprattutto nei più giovani. Ma sicuramente questo non risolverebbe il problema nella maggior parte dei casi di patologie, considerando che l’elemento della vincita e del denaro è importante per molti malati patologici.

 

Come giudica l’intervento della politica nazionale che nel futuro tenderà a proporre il gioco in locations dedicate esclusivamente all’azzardo?

Mi sembra un ottimo intervento che ricalca quello attuato in Svizzera, ma deve essere contestualizzato alla nostra cultura.

 

Vista la sua esperienza con la SIIPAC sul territorio di Bolzano che primo fra tutti ha introdotto politiche proibitive del gaming, negli ultimi anni ha riscontrato degli effetti positivi relativamente al fenomeno?

No, purtroppo devo dire di no, in quanto la politica del proibizionismo non ha mai funzionato e non funzionerà mai, l’unico risultato serio e duraturo può essere ottenuto attraverso una cultura del gioco che dobbiamo diffondere sempre di più facendo prevenzione e informazione. Il proibizionismo può soltanto relegare il problema nell’illegalità e quindi nell’oscurità sotterrandolo ulteriormente, disincentivando i giocatori patologici a prendere coscienza della propria condizione e quindi a curarsi. Le parole chiave per le amministrazione dovrebbero essere: prevenzione, regolamentazione, informazione e mai proibire.

 

Cristina Doganini – PressGiochi

 

 

Nevola (La Sentinella) sul caso Verona: “Nel gioco, il proibizionismo non limita la diffusione della dipendenza”

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