E’ veramente strano che, sino ad oggi, quasi nessuno nel nostro settore si sia espresso sul referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre. Che si tratti di una materia ostica
E’ veramente strano che, sino ad oggi, quasi nessuno nel nostro settore si sia espresso sul referendum sulla riforma costituzionale del 4 dicembre. Che si tratti di una materia ostica e tutta da interpretare in chiave futura, non c’è dubbio. Tant’è vero che nemmeno i tanti autorevoli autori che hanno scritto interi libri sulla riforma Renzi/Boschi si sono lanciati più di tanto (anzi, quasi niente) nel disegnare gli scenari che si apriranno dopo il voto referendario, in un senso ma anche nell’altro (cioè verso il SI).
Se non andiamo errati, il solo Francesco Pirrello ha reso pubblica la propria posizione, invitando i gestori a votare NO. Ma ne fa solo una questione politica, per quanto condivisibile, accomunando, come fanno tanti, l’esito negativo delle urne ad una bocciatura senza appello del Premier, il quale per altro sin dall’inizio ci ha messo del suo per “personalizzare” il referendum, salvo poi accorgersi di aver fatto una bischerata.
Pirrello dice: votiamo tutti NO per mandarlo a casa, per dimostrare che siamo in tanti e tutti uniti, e che possiamo incidere sulle sorti del Paese. Un voto di protesta, insomma, contro una politica governativa che vuole distruggere il comparto slot ed in particolare i gestori di apparecchi. Su questo non sono ammesse repliche.
Ha ragione, ci mancherebbe altro. Perché leggendo la Proposta che il Governo ha fatto alle Regioni per riordinare il settore, l’obiettivo – primo e ultimo – è soprattutto quello di accorciare la filiera, mettendo nelle mani dei concessionari il dominio assoluto del mercato, sempre ovviamente sotto il bastone della Adm e della politica.
Ciò che riteniamo sia necessario aggiungere a quanto ha detto Pirrello è una riflessione “tecnica” sulla riforma.
In primo luogo, concentrandoci sulla riforma del Titolo V, che è stata voluta per cancellare l’attuale potestà legislativa “concorrente”, per la quale lo Stato è competente a formulare i principi fondamentali della materia e la Regione è competente a varare la normativa di dettaglio; situazione che ha dato luogo al proliferare dei contenziosi innanzi alla Corte Costituzionale.
Obiettivo generalmente condivisibile, ma che è stato di fatto tradito dalle ambizioni “neocentralistiche” del Premier, il quale vorrebbe trasformare le Regioni in scatole vuote o in puri e semplici “passacarte”, ampliando a dismisura le materie su cui lo Stato eserciterebbe una competenza esclusiva.
Facciamo alcuni esempi: disposizioni generali e comuni per la tutela della salute e per le politiche sociali; funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane; disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale. Come vedete, la manovra di accerchiamento ai poteri locali è talmente stringente da rendere a questi ultimi la vita impossibile nel momento in cui volessero stroncare l’attività di raccolta del gioco pubblico.
Né si può prefigurare che il “Nuovo Senato” – di fatto una sorta di “Camera delle Regioni – possa sfruttare ciò che resta del meccanismo bicameralistico per partecipare all’approvazione delle leggi sulla materia di nostro interesse.
A questo punto, però, il rischio che il conflitto con le Regioni possa acuirsi è molto più che latente: c’è da attendersi che gli interventi legislativi regionali tornino a invadere la sfera di competenza statale e vadano ad ampliarsi fino a contrapporsi alle suddette disposizioni generali e comuni, magari agendo tramite le rispettive leggi finanziarie o di stabilità che dir si voglia.
Pertanto, piuttosto che rifugiarsi come al solito sulla disponibilità della Corte Costituzionale a garantire lo spazio normativo statale, il Governo avrà probabilmente la convenienza a rivisitare, se non addirittura a potenziare, lo strumento della Conferenza, ergendolo al rango di “camera di conciliazione”. Il che andrebbe sì in forte contrasto con quanto ha detto la Ministra Boschi, e cioè che le Conferenze dovrebbero perdere peso, se non azzerarsi, proprio in virtù della nuova configurazione del Senato. Ma la “ragion di Stato (o di Renzi)” vien prima di tutto, ci mancherebbe!
In definitiva, anche se con la vittoria del SI l’attuale trattativa con la Conferenza Unificata potrebbe finire in uno stato di congelamento a tempo indeterminato, permettendo a detta Proposta di trasformarsi in una vero e proprio disegno di legge a percorso “monocamerale”, non ci sorprenderebbe che la “questione del gioco” diventasse una delle merci di scambio che servono per rabbonire le autonomie locali a fronte della falcidia operata dalla riforma costituzionale.
Ma allora, ci si domanderà: vinca il SI o vinca il NO, per noi sarà sempre la stessa solfa? Le cose non stanno proprio così. Votare NO comporterà, un vero e proprio sconquasso a Palazzo Chigi, financo ad arrivare alle conseguenze più estreme.
Che poi si possa finire anche peggio non lo si può escludere, in un Paese come l’Italia. Però, come dice Pirrello, un segnale bisogna darlo a chi comanda. E comunque le prospettive, alle condizioni attuali, sono nefaste.
Forse le associazioni avrebbero fatto bene a farsi portavoce di questo fronte contrario, perché solo così avrebbero potuto dimostrare il reale peso, in termini di voti, del comparto della gestione degli apparecchi, con tutti gli annessi e connessi.
Un’altra occasione persa? Questa volta votiamo SI, senza alcun dubbio!
PressGiochi