Concessioni in scadenza dopo nove anni senza certezze, regole diverse da regione a regione, nessuna visibilità sulla futura distribuzione del network e formazione ridotta all’osso. A queste condizioni non è
Concessioni in scadenza dopo nove anni senza certezze, regole diverse da regione a regione, nessuna visibilità sulla futura distribuzione del network e formazione ridotta all’osso. A queste condizioni non è certo un gioco da ragazzi gestire le lotterie pubbliche, un comparto che dà lavoro a circa 150 mila persone. Ma un’impresa difficile in un settore che è in attesa da anni di un riassetto che potrebbe arrivare con la delega fiscale. Tutto bene quindi. Non proprio perché finora fra governo e aziende del settore non c’è stato un vero e proprio tavolo di discussione sul gioco pubblico. E il rischio è oggi di realizzare una riforma monca. O peggio ancora di danneggiare le aziende del settore e persino le casse pubbliche. Ma andiamo per gradi.
La riforma potrebbe arrivare – si legge su veritaeaffari.it – già per la metà del mese di agosto. Ma fra gli operatori del settore c’è una certa apprensione.
“L’articolo 13 della delega fiscale parla di razionalizzazione, concentrazione e specializzazione dell’offerta dà dei principi magari giusti che però, se letti e definiti male, possono destare la preoccupazione di quella che è la più importante fetta del comparto che è quella della rete generalista, fatta di tabaccai e bar”, spiega Geronimo Cardia, presidente di Acadi, Associazione Concessionari di Giochi Pubblici .
“In quel passaggio si dice che quando sarà ridefinita la distribuzione sul territorio, occorrerà rispondere a questi criteri. Quindi innanzitutto è chiaro che l’intento del legislatore è ridefinire la distribuzione sul territorio. Il punto è come perché il rischio è che con il cambiamento non vi sia una equilibrata distribuzione fra punti generalisti e specializzati”, precisa.
Attualmente esiste infatti un’offerta di prodotti di Stato che viene messa a disposizione da due tipologie di esercenti: da un lato la rete specializzata all’interno della quale si vendono solo ed esclusivamente prodotti di gioco, dall’altro la rete generalista come bar e tabacchi dove sono in vendita anche altri beni. “Per noi è importante che resti questa attuale distribuzione fra punti specializzati e generalisti e che non venga limitata l’offerta a questa seconda tipologia di distributori. Tutto questo nell’interesse pubblico per la tutela dell’utente, il presidio di legalità, l’emersione del gettito sommerso e poi l’occupazione” aggiunge. Del resto la rete generalista, come evidenzia Acadi, arriva su un maggior numero di comuni rispetto alla rete specializzata.
“Abbiamo rappresentato in commissione finanze questo campanello d’allarme, ma abbiamo dovuto prendere atto che per esigenze di celerità legate ai tempi che il governo ha scelto per la delega fiscale, tutti gli emendamenti cui avevamo lavorato sono stati eliminati. Di qui la nostra preoccupazione per evitare errori soprattutto nei decreti legislativi delegati che ci saranno nelle prossime settimane e mesi quando ci si occuperà della distribuzione sul territorio, si abbia la consapevolezza dell’importanza della rete generalista, assicurandole il giusto spazio in rapporto al network specialistico” precisa.
È dal 2011 che si parla di riordino del settore del gioco regolamentato con una dozzina di tentativi finiti nel nulla. Nella riorganizzazione gli obiettivi sono sostanzialmente due: il primo è l’aspetto territoriale, il secondo è dare una stabilità all’esercito degli incaricati di pubblico servizio che sono gli operatori del comparto che è necessaria per continuare a mettere a terra tutti i prodotti di Stato, come spiegano da Acadi. E consentire così alle imprese di fare degli investimenti. “Se non c’è chiarezza, un operatore non può rientrare degli investimenti o programmarne di nuovi” riprende Cardia.
“Il legislatore ha compreso che o si mette a tavolino con le Regioni per sistemare la questione territoriale oppure si finisce in un cortocircuito l’intero sistema concessorio”, riprende Cardia. Ma come funziona esattamente questo settore? In pratica, il comparto del gioco pubblico ha tante tipologie di giochi dal bingo alle scommesse alle lotterie più due diversi canali distributivi (terrestre e online). Le attuali categorie di gioco iniziano ad esserci all’inizio del Duemila quando il legislatore comprende che, oltre al lotto, c’era una domanda di gioco che veniva soddisfatta dalla criminalità organizzata. Quindi lo Stato sviluppa un’offerta regolamentata presidiando il territorio.
Nel 2011 arriva però la prima legge regionale che nell’esercizio del titolo V della costituzione pone il problema di un esagerato numero di punti di gioco sul territorio. Di qui sono partiti i distanziometri dai luoghi sensibili. E qui si è complicata la storia perché regione che vai, legge che trovi con luoghi sensibili diversi che vanno dalle scuole, agli ospedali e perfino ai cimiteri, alle chiese e alle fermate degli autobus. “Per diversi anni c’è stato un proliferare di norme regionali che hanno ampliato il numero dei luoghi diversi” spiega senza alcuna omogeneità.
“Ma il punto è che siccome gli operatori sono tutti incaricati di pubblico servizio, quando sono andati a verificare in quali punti del territorio potevano aprire o sostituire un punto di gioco, hanno constatato l’esistenza di un divieto su oltre il 99% del territorio”, chiarisce. In più una aggravante: le norme locali hanno previsto che le nuove regole valessero da subito per le nuove aperture, mentre venivano lasciati fra i tre e i cinque anni per le attività preesistenti.
Come se non bastasse “allo scadere dei cinque anni di moratoria per le attività preesistenti, nessuna azienda ha potuto dire mi trovo in un posto dove la legge mi consente di stare sull’1% del territorio. Così dal 2011 in poi si è andati avanti a suon di proroghe e rinvii da parte delle Regioni”, aggiunge Cardia. Insomma, un vero caos locale cui ora, dopo dieci anni, dovrebbe mettere mano il legislatore nazionale evitando danni alle imprese con incrementi di tassazione o una distribuzione squilibrata, che fa male anche alle casse pubbliche. Anche perchè le concessioni durano nove anni e sono in buona parte in scadenza.
Il problema è però che non si possono fare le gare. Secondo il Consiglio di Stato bisogna infatti prima definire l’ambito territoriale. E del resto chi parteciperebbe ad un gara in cui la messa a terra dei punti di gioco diventa impossibile per effetto delle norme delle Regioni? Per di più in una situazione in cui anche le banche stanno diventando più ostili chiudendo improvvisamente e senza preavviso i conti correnti di queste attività sulla scia della normativa antiriciclaggio. In sintesi, un giungla di norme, regole poco chiare e anche difficoltà nel rapporto con il credito per via del de-risking bancario, oltre al rischio dietro l’angolo di un aumento della tassazione. Quanto basta, per l’appunto, per capire che il riassetto del comparto non è affatto di un gioco da ragazzi.
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