L’avvocato Michele Franzoso (Astro) prosegue la discussione lanciata dal vicepresidente Verona sul federalismo sul gioco “Prendendo spunto dalle riflessioni sviluppate dal responsabile AS.TRO per le questioni territoriali- ha commentato- ho
L’avvocato Michele Franzoso (Astro) prosegue la discussione lanciata dal vicepresidente Verona sul federalismo sul gioco
“Prendendo spunto dalle riflessioni sviluppate dal responsabile AS.TRO per le questioni territoriali- ha commentato- ho cercato di comprendere quale contributo apportare al dibattito.
Su un punto preliminare si conviene con Lorenzo Verona:
l’Intesa Governo – EELL (e le successive normative attuative di essa) hanno un limitato ambito di penetrazione nell’ambito delle Leggi Regionali e dei provvedimenti comunali vigenti, in quanto le traduzioni giuridiche delle “intese politiche” non possono che riflettere la medesima “forza” politica che si è messa in campo.
Al netto della complessità di misurazione di detto criterio, pertanto, un’ Intesa siglata in Conferenza Unificata può esplicare o meno la sua funzione solo in presenza di una “continuità” di condivisione. In parole povere, quello che differenzia l’Intesa politica (benché istituzionalizzata nel consesso della C.U.), da un contratto normale (che “è legge tra le parti”) è la sede in cui si stabilisce chi ha ragione o torto nell’invocare il “negozio” stipulato: per i contratti c’è la sede “terza ed imparziale del tribunale”, per le Intese ci sono i “consessi politici”.
Ecco quindi che si può agevolmente rispondere al Dirigente AS.TRO (che peraltro la risposta l’aveva già intuita da solo), laddove rimandava ai tecnici del diritto la disamina dei livelli di vincolatività dell’intesa Governo – EELL. Ciò che la Politica crea solo la politica può gestire.
Da qui in poi, pertanto, il ruolo di giurista diventa inutile e torna invece rilevante quello di osservatore di una situazione italiana che ha tanta dimestichezza con i “voli pindarici”, ma poca pazienza nel ricordarsi la reale piattaforma su cui poggia il Paese, ovvero:
la burocrazia più complicata e più costosa del Continente;
il debito pubblico più “impagabile” del Continente;
un “debito extra-bilancio” determinato dai Comuni, ed in particolare dai dissesti conclamati, dai pre-dissesti già consolidati (che “statisticamente” diventano tutti “dissesti”), e dalle crisi strutturali (che “statisticamente” diventano tutti pre-dissesti e poi dissesti), che vale miliardi di euro,
un “pacchetto” di clausole di salvaguardia (aumento I.V.A. tanto per capirci), congelato sulla fiducia, che vale miliardi di euro,
il sistema di impresa – scuola/università – mercato del lavoro meno performante del Continente,
l’economia “sommersa” più elevata (ma solo per ammontare e non per percentuale rispetto alla “emersa”) del Continente.
In una situazione del genere
la “diatriba” Stato – Periferia sul gioco lecito (ma che in realtà riguarda solo il 29% di esso in termini di raccolta, ovvero gli apparecchi aggrediti dalla percezione mediatica di “calamità”), non può che essere intesa come già l’ha fatta l’operatore: un posizionamento politico finalizzato alla salvaguardia degli Enti e dei rispettivi rappresentanti;
il superamento della “diatriba” si avvia e si consolida solo con la “spartizione” del business;
lo scotto della “diatriba” lo pagano le imprese e i lavoratori di quel settore che da Roma leggono le Leggi, e quando tornano a casa ne trovano la smentita locale.
La soluzione prospettata dall’operatore è corretta, perché in ogni “Paese in cui la politica non risolve i problemi, è l’imprenditore che deve sostituirsi ad essa”. Qualcosa di simile venne fatto dai pionieri della telefonia mobile “appena liberata dal monopolio” per installare i ripetitori.
Da consulente – osservatore pertanto, pur condividendo l’approccio coraggioso proveniente dall’impresa, rimarco un dato rilevante: i “patti locali” stipulati direttamente dalle imprese con delle Istituzioni locali rappresentano un livello di complessità – rischio – criticità, da non essere più – oggigiorno – allineati con gli attuali percorsi politico-amministrativi ed aziendali.
L’utilizzo dell’ente intermedio (l’associazione di categoria) diventa pertanto necessario già da un punto di vista tecnico, in quanto “un patto locale” che dovesse prevedere un protocollo d’intesa volto a subordinare determinate attività a determinate “opere di sicurezza” ovvero determinate “continenze” dell’attività economica stessa, devono presentarsi solo come atti di portata generale e non “individuale”.
“L’auspicio- conclude Franzoso- quindi, è che l’iniziativa ipotizzata possa rientrare nell’ambito di azione della rappresentanza di categoria, con tutti i presupposti che essa richiede”.
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