In questa tornata votaiola tutti i partiti – eccezion fatta per Italia Viva del “buon” Matteo Renzi, e per Forza Italia di “Lazzaro” Berlusconi, che hanno beccato sonore bocciature –
In questa tornata votaiola tutti i partiti – eccezion fatta per Italia Viva del “buon” Matteo Renzi, e per Forza Italia di “Lazzaro” Berlusconi, che hanno beccato sonore bocciature – hanno almeno un motivo per rallegrarsi (o meglio, per non buttarsi al fiume), che magari è soltanto il poter dire “poteva andare peggio”. Ma a nessuno, di certo, spetta la palma del “nuovo che avanza” sullo scenario nazionale.
La combinazione delle elezioni regionali con quella del referendum costituzionale ha permesso alla maggioranza di governo di consolidarsi, anche se sarebbe più giusto dire che Di Maio si accontenta di aver visto trionfare il suo cavallo di battaglia – il SI alla riduzione degli schieramenti parlamentari – che vale a decretare la sconfitta di quelli che volevano dare una spallata al Governo votando NO, mentre Zingaretti continua a godersi il suo momento magico (cioè ben al di là dei propri meriti) grazie a tutta una serie di alchimie politiche di cui lui è più spettatore che attore. Nella fattispecie, oltretutto, il “fortunello” ha avuto l’invidiabile vantaggio che, delle 7 regioni in cui si è andati a votare, 4 erano sue roccaforti (ne avesse persa anche solo una, avrebbe dovuto andare a nascondersi).
Salvini, dal canto suo, da tanti additato come il vero sconfitto, si arrampica sugli specchi per trovare qualcosa di buono dal voto del 20/21 settembre, ma in realtà passare dal 7-0 da lui pronosticato tempo fa al 3-3 “omologato” da Il Fatto Quotidiano (che in realtà è un 4-3 perché il giornale non considera la Valle d’Aosta, avendo solo 100mila abitanti – sigh!) ben ce ne passa.
Tirala di qua, aggiustala di là, il capo della Lega bypassa il crollo subito rispetto alle Europee dello scorso anno affermando che il suo è il “primo partito in questo Paese e il primo partito del centrodestra sostanzialmente in tutte le Regioni in cui si è votato”. E facciamo finta che vada bene così… Intanto, la Meloni si gode il successo delle Marche, aggiungendo che il suo è l’unico partito che cresce. E diciamo che va bene pure questo… E Berlusconi? Il Cavaliere non si accontenta mai. Dopo aver sconfitto il Covid (e se l’era vista davvero brutta) pensava di risorgere anche a livello politico, ma almeno da questa tornata emerge che Forza Italia è diventata il tender della barca del Centrodestra. Come dire: dopo di lui il nulla.
Torniamo sul M5S. Male, malissimo ovunque; il che è conseguenza sia di quello che è sempre stato il suo limite maggiore, cioè non aver radici nei territori, sia della farraginosità di una politica basata in gran parte sulla lotta a “sprechi e privilegi”, senza apportare alcunché di significativo alla crescita economica e industriale del Paese, a cui si aggiunge la determinazione a non volere amici al suo fianco, ma solo alleati.
Adesso Di Maio, che tornerà a fare il leader del Movimento dopo il periodo sabbatico, dovrà verdersela con le crescenti pretese del PD. Il quale PD rimprovera, a pieno diritto (ma ben felice che le cose siano andate così), al Movimento 5 Stelle di aver fatto corsa a sé alle Regionali, perché, secondo Zingaretti: “se i nostri alleati ci avessero dato retta di più, l’alleanza di governo avrebbe vinto in quasi tutte le regioni italiane” (senza commento).
Qualcuno torna a ipotizzare che, in prospettiva, l’unica ancora di salvezza per i grillini sia passare al Centrodestra. Per il bene che non gli vogliamo, suggeriamo a Di Maio di lasciar perdere. Magari, in vista delle Politiche 2022, i pentastellati potrebbero agganciarsi al carro del premier Conte – l’unico vero vincitore dell’election day – che, statene certi, si presenterà con una propria lista, visto che gli italiani (addirittura il 62% dicono gli ultimi sondaggi) lo amano così tanto.
Insomma, a valle di tutto ciò, l’unica cosa sicura è che adesso il Governo non cadrà. Anche perché nessuno ha l’intenzione (diremmo soprattutto le capacità) di farlo cadere. Giornalisti e opinion leader a parte, viene da dire, che continuano a bersagliare Conte da tutte la parti. Evidentemente, anche per lui vale la “legge del Festival di Sanremo”, ovvero: la canzone bocciata dalla critica non di rado è quella premiata dal pubblico.
E per lui la vittora del SI al referendum costituzionale è un altro bel puntello, perché guadagnerebbe ancora più forza su un Parlamento indebolito. Conti alla mano, la drastica riduzione del numero dei senatori determina la mancanza di rappresentanti provenienti dai territori più piccoli. L’Italia avrà un deputato ogni 151 mila abitanti e un senatore ogni 302 mila abitanti (il testo originario della Costituzione prevedeva un deputato ogni 80 mila abitanti ed un senatore ogni 200 mila), con il numero più basso di parlamentari di tutti i grandi paesi d’Europa.
In chiusura, un filo di nota sui sondaggi. Purtroppo, si conferma drammaticamente il fatto che gli exit-poll sono soltanto “uscite da polli”, su cui ancora tanti ci cascano pensando che gli scienziati della statistica possono sì sbagliare una volta, magari anche due, ma tre proprio no.
Ora, siccome non possiamo sospettare che questi autorevoli istituti siano manovrati da qualcuno, la verità è una sola: anch’essi hanno perso il contatto con la realtà, e non sono stati ancora in grado di aggiornare i propri metodi di rilevazione.
Può darsi pure che su questo incida il fatto che l’affluenza alle urne è stata complessivamente “non eccezionale” e quindi tra gli intervistati può esserci finito anche chi si è guardato bene dal recarsi al seggio.
Marco Cerigioni – PressGiochi