Donald Trump sarà messo sotto accusa? Riuscirà a costruire il suo muro? Riuscirà ad aggiungere la propria faccia a quella dei 4 presidenti scolpiti sul Monte Rushmore? Queste sono
Donald Trump sarà messo sotto accusa? Riuscirà a costruire il suo muro? Riuscirà ad aggiungere la propria faccia a quella dei 4 presidenti scolpiti sul Monte Rushmore?
Queste sono alcune delle scommesse che i giocatori d’azzardo in Gran Bretagna e l’Irlanda stanno facendo sul nuovo presidente degli Stati Uniti. Sono talmente affascinati di lui, infatti, che una delle più grandi società di scommesse, Paddy Power, ha assunto un bookmaker a tempo pieno solo per gestire la mole di puntate che si sta riversando su Trump.
L’azienda ha dedicato un’intera sezione del suo sito web alle scommesse “speciali” sul personaggio. Ad esempio, offre a 3-1 che Trump sarà messo sotto accusa quest’anno, 100-1 che commissionerà il suo volto da aggiungere al Monte Rushmore, 25-1 che il Messico finanzierà la costruzione di un muro che Trump vuole costruire lungo il confine meridionale, e 7-1 che l’FBI confermerà collusione tra i soci di Trump e la Russia per influenzare le elezioni presidenziali degli Stati Uniti 2016.
Così, mentre in terra d’Albione sono già stati impegnati diversi milioni di dollari sulle sorti di Trump, lui gli affari nel gambling sta cercando di farli davvero.
Noto per la tripla bancarotta subita coi casinò che possedeva ad Atlantic City, l’Agent Orange (soprannome che abbina il rosso dei suoi capelli al nome del distruttivo prodotto chimico usato dalle forze militari americani nei bombardamenti in Vietnam) guarda lontano, e precisamente in Giordania. Da lui eletto come roccaforte della guerra contro lo Stato Islamico, nonché mediatore nei rapporti tra Israele ei palestinesi, questo paese incastrato nel cuore del Medio Oriente è avverso al gambling da sempre. Nonostante ciò, il presidente americano ha depositato 4 marchi in Giordania, uno dei quali comprende anche le attività di casinò (“Donald Trump Casino”).
La storia è di vecchia data: nel febbraio 2009 Trump ottenne dal ministeri dell’industria e commercio giordano l’iscrizione dei trademark sotto la proprietà della DTTM Operations LLC, afferenti lo sviluppo commerciale, residenziale e hotel di proprietà, così come la costruzione e gestione di ristoranti, bar, caffè e di un campo da golf. Ma ora per mantenere tutti questi marchi attivi (che scadranno nel 2019), l’Organizzazione Trump avrebbe bisogno di riapplicarli, come ha dichiarato ufficialmente a un organo di stampa.
Passi per le altre attività, ma per il casinò la vicenda è piuttosto complicata: il portavoce del governo si è limitato a una dichiarazione che può apparire sibillina, della serie “se Trump vuole far valere i suoi diritti non è detto che in Giordania il gioco d’azzardo sarà legalizzato”, ma che in realtà sottende una chiusura definitiva, non fosse altro che per evitare un nuovo “Casinogate”, dopo quello che scosse il paese nel 2011.
Nel 2007, Marouf al-Bakhit firmò un accordo segreto con la britannica per Oasis Holding per far costruire un casino nel Mar Morto, in accordo con l’allora ministro del turismo Osama Dabbas. La vicenda fu scoperta e data in pasto al pubblico nel 2011 da Al Jazeera, in una fase di forte sollevazione popolare contro la corruzione che stava opprimendo il Paese. Tanto che Bakhit, da poco eletto primo ministro, fu costretto a dimettersi.
Comunque, anche dal fronte Trump si sta gettando acqua sul fuoco. Stando alle dichiarazioni ufficiali di Alan Garten, vice presidente esecutivo e direttore legale presso la Trump Organization, non sembrerebbe esserci nulla di concreto, avendo descritto la decisione della società come niente altro che una forma di “protezione ampia del trademark” contro chi volesse utilizzare il nome Trump. “E per quanto la registrazione dei marchi comprendesse anche le attività legate casinò – ha detto Garten – l’azienda non ha mai avuto l’intenzione di costruire un casinò”.
Tutta una bolla di sapone? Forse si, ma con Trump le soprese sono sempre dietro l’angolo. Ed oggi, con lo smisurato potere che ha in mano, potrebbe benissimo proporre alla Giordania qualche interessante “merce di scambio”. Anche perché, parlandoci chiaro, non è che in Giordania tutti siano contrari al gaming, che è si vietato dall’Islam, ma altrettanto dovrebbero esserlo i bar e le discoteche, che invece proliferano e attirano gente da tutto il Golfo. In altre parole, ciò che ha dato fastidio è il modo con cui è stato condotto l’affare con la Oasis che per altro, avendo un contratto firmato, valido per 50 anni, si è sobbarcata spese di progettazione non di poco conto, senza parlare delle centinaia di milioni di dollari svaniti in mancati ricavi. E
quindi ha giustamente preteso un congruo risarcimento.
Tornando a Trump va detto che, casino a parte, è da anni che l’uomo d’affari coltiva interessi nel Medio Oriente, vedendolo come uno sbocco interessante il suo redditizio business di progetti di costruzione a proprio nome. Ha chiesto e ottenuto marchi in Egitto, Israele e Arabia Saudita, Turchia e gli Emirati Arabi Uniti.
Diventato presidente, negli States qualcuno si è premurato di ricordargli che questo business è in conflitto coi principi costituzionali, che vietano agli esponenti politici di percepire denaro da governi stranieri.
Però, contrariamente a quanto la maggior parte dei presidenti recenti ha fatto, vendendo le proprie partecipazioni finanziarie per evitare conflitti, Trump ha detto che non è necessario. Anzi, già due anni prima di diventare presidente si era scagliato contro la legge che vieta alle aziende americane di fare affari con “paesi corrotti”. Poi, stretto dalla gogna mediatica, in dicembre ha dovuto abbandonare il progetto, già ben avviato, di costruzione della Trump Tower (hotel e appartamenti privati) a Baku, capitale dell’Azerbaijan.
Per certi affari, Trump ha trasferito il controllo manageriale ai suoi due figli adulti, giurando di non perseguire più offerte dall’estero ed ha appositamente incaricato un avvocato per tutelare il suo business dai conflitti. E i due pargoli, Eric e Donald Jr, hanno avuto subito l’occasione per mettersi in mostra, inaugurando in febbraio a Dubai il Trump International Golf Club, accompagnati dai gorilla dei servizi segreti americani (pagati dai cittadini).
Ora, il fatto che Trump si sia rifiutato di rendere pubblica la sua dichiarazione dei redditi rende oltremodo difficile capire quanto egli sia coinvolto, direttamente o meno, negli affari della Trump Organization, che è composta da una inestricabile rete fatta di centinaia di aziende.
Ma di certo c’è una cosa: che ogni giorno che passa, egli offre un nuovo buon motivo per essere posto all’indice dall’opinione pubblica e dalla stampa del suo amato Paese!
Marco Cerigioni – PressGiochi
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