“Tra le misure volte a promuovere il gioco responsabile, negli ultimi anni, hanno assunto rilievo le cosiddette “pause forzate”, o “breaks in play”, che possono essere definite come quelle azioni
“Tra le misure volte a promuovere il gioco responsabile, negli ultimi anni, hanno assunto rilievo le cosiddette “pause forzate”, o “breaks in play”, che possono essere definite come quelle azioni esterne che comportino un’interruzione, sospensione o cessazione temporanea del gioco. Sulla base delle esperienze dei nostri professionisti e degli studi che abbiamo condotto e in cui abbiamo altresì rilevato come le pause forzate nelle sessioni di gioco possano essere uno strumento utile al più per i giocatori sociali, ma non per i giocatori patologici per i quali, al contrario, paiono essere rappresentare un elemento in grado di aumentare il craving e la frustrazione, per via dell’impossibilità di giocare”.
A scriverlo è il professor Cesare Guerreschi, lo psicologo che per primo in Italia, già nel 1990, ha affrontato il problema della dipendenza da gioco e che da anni guida la Siipac, (Società di interventi sulle patologie compulsive) a Bolzano.
Guerreschi scrive una sorta di appello, più propriamente un invito a firmare un documento di due pagine che illustra in modo chiaro e accessibile, ma con riferimenti tecnici, come le interruzioni imposte da diverse normative nelle sale giochi non siano efficaci e, anzi, possano risultare dannose per alcuni giocatori.
“Il disturbo da gioco d’azzardo (D.G.A.) – scrive Guerreschi – è oggi riconosciuto come una dipendenza comportamentale con effetti psicologici e sociali significativi, ed è classificata nel DSM-5-TR tra i disturbi da dipendenza. Secondo il Pathways Model di Blaszczynski e Nower (2002), i fattori che contribuiscono a questa dipendenza includono vulnerabilità psicologica, tratti impulsivi e aspetti ambientali, come la facilità di accesso e la disponibilità di giochi di azzardo.
I numeri del “Libro blu” dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli fotografano con precisione la crescita del gioco d’azzardo negli ultimi anni: nel 2022 il valore totale delle puntate effettuate, ha raggiunto i 136 miliardi di euro, oltre il 290% rispetto al 2006.
Proprio alla luce di tali numeri, il dibattito negli studi di settore si è concentrato sul tema del cosiddetto “Gioco responsabile” (RG) che sta assumendo un ruolo centrale non solo per gli studiosi della materia ma anche per regolatori, decisori politici e per la stessa industria del gioco. Diverse strategie sono state implementate per ridurre i rischi correlati al gioco e allo sviluppo di forme di gioco patologico: campagne educative, limiti di tempo e spesa, restrizioni pubblicitarie, auto-esclusioni e pause obbligatorie. Uno studio di Williams e al. (2012), ha fatto tuttavia notare come, sebbene promettenti, poche di queste strategie abbiano sortito un significativo riscontro empirico a suffragio della loro efficacia.
Tra le misure volte a promuovere il gioco responsabile, negli ultimi anni, hanno assunto rilievo le cosiddette “pause forzate”, o “breaks in play”, che possono essere definite come quelle azioni esterne che comportino un’interruzione, sospensione o cessazione temporanea del gioco, utile a distogliere l’attenzione del giocatore e interrompere lo stato dissociativo. Questa interruzione o sospensione può avvenire con o senza messaggi inerenti al gioco d’azzardo responsabile, che appaiono sullo schermo sul quale si sta giocando, e può essere impostata in modo da seguire un ordine regolare continuo o ad intermittenza oppure in base a dei parametri stabiliti dal giocatore. Le pause forzate rappresentano un intervento volto a interrompere temporaneamente l’attività di gioco che ha come obbiettivo:
– ridurre la dissociazione, ovvero lo stato di immersione in cui i giocatori perdono consapevolezza del tempo e delle somme spese.
– aumentare la probabilità di attirare l’attenzione sul proprio comportamento, ovvero per rendere il giocatore consapevole del tempo e del denaro che ha già speso e per interrompere o modificare il proprio comportamento di gioco al fine di renderlo meno patologico.
Gli studi sull’efficacia delle pause obbligatorie nelle sessioni di gioco sono ancora pochi e hanno prodotto risultati contrastanti. Blaszczynski et al. (2015) hanno infatti osservato come pause lunghe possano aumentare il desiderio di giocare, poiché, generando frustrazione, aumentano la compulsività, evidenziando come le pause risultino più efficaci se accompagnate da messaggi di promemoria sul gioco responsabile. Sulla stessa linea di pensiero, Auer e Griffiths (2014, 2015) hanno riscontrato che messaggi pop-up avanzati possano aiutare a interrompere il gioco, sebbene solo una piccola percentuale di giocatori smetta effettivamente di giocare dopo averli ricevuti. Auer, Hopfgartner e Griffiths (2019) hanno inoltre rilevato come interruzioni forzate su terminali VLT possano in realtà portare a un’intensificazione del gioco successivo.
La letteratura scientifica internazionale sta quindi ancora cercando di valutare se le pause obbligatorie possano rappresentare dei validi strumenti volti a promuovere un gioco responsabile. Ciò su cui c’è accordo è come l’efficacia di queste pause dipenda in gran parte dalla loro durata e dalla presenza di elementi di supporto, come messaggi di avvertimento e opzioni di autovalutazione. Gli studi più recenti hanno dimostrato come più pause per periodi brevi (ad esempio di quindici minuti) possano interrompere più efficacemente i comportamenti compulsivi e stimolare la riflessione sul comportamento di gioco, senza aumentare il craving. Al contrario pause eccessivamente lunghe alimenterebbero la dipendenza e la compulsività.
Ciò è emerso anche sulla base delle esperienze dei nostri professionisti e degli studi che abbiamo condotto e in cui abbiamo altresì rilevato come le pause forzate nelle sessioni di gioco possano essere uno strumento utile al più per i giocatori sociali, ma non per i giocatori patologici per i quali, al contrario, paiono essere rappresentare un elemento in grado di aumentare il craving e la frustrazione, per via dell’impossibilità di giocare.
Sul punto la normativa italiana in materia non ha comunque colto il significato scientifico delle interruzioni e delle pause di gioco intervenendo con disposizioni volte a limitare gli orari di apertura delle sale gioco e non del gioco in sé. Si tratta di una normativa disomogenea tra Regioni e, il più delle volte, anche tra Comuni dello stesso territorio che ha come risultato quello di promuovere una sorta di “pendolarismo del gioco” (i giocatori che sviluppano dipendenze sono disposti a spostarsi di diversi chilometri per accedere al gioco) anche perché fondato su orari specificatamente individuati che consentono al giocatore una programmazione anticipata o comunque il trasferimento del gioco da una sede fisica alle piattaforme online, sempre più in crescita e che non consentono alcun tipo di controllo a tutela del giocatore e della legalità.
In definitiva – conclude lo psicologo – si rileva come l’interruzione oraria non solo, per le circostanze in cui opera, non possa rivelarsi risolutiva, ma come al contrario l’applicazione che ne è stata data dalle normative di settore italiane possa rilevarsi dannosa per i soggetti più vulnerabili”.
PressGiochi
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