23 Novembre 2024 - 09:48

Delega fiscale. Quartini: “Porre come base della riforma dei giochi l’espansione dei consumi, non è accettabile”

“Pensare di porre come premessa intoccabile il mantenimento delle entrate, dunque un’ulteriore espansione dei consumi di gioco, non è ricevibile sotto ogni punto di vista che sia compatibile con il

12 Luglio 2023

“Pensare di porre come premessa intoccabile il mantenimento delle entrate, dunque un’ulteriore espansione dei consumi di gioco, non è ricevibile sotto ogni punto di vista che sia compatibile con il bene pubblico”.

Lo ha dichiarato nel suo intervento in Aula alla Camera Andrea Quartini del M5S intervenendo sull’articolo 13 che contiene la riforma del gioco pubblico.

Come afferma Quartini “Si fa cassa, ancora, mantenendo il ruolo di biscazziere allo Stato nello stesso gioco d’azzardo, promuovendolo ogni volta che c’è da far cassa, senza far niente per scoraggiarlo. Anzi, si mantiene l’invarianza di gettito, per garantire entrate allo Stato e ai concessionari. In passato e attualmente, anche con il “decreto Alluvioni”, addirittura lo si è incoraggiato con lo scopo di finanziare le ricostruzioni. È scandaloso far cassa per ricostruire attraverso il gioco d’azzardo o attraverso l’aumento del biglietto per entrare ai musei, penalizzando le fasce più povere e la scuola. È una misura che a noi non convince. Chiariamoci: coloro che azzardano perdono sempre. Dobbiamo aver chiaro che si è deciso di lasciare tutto com’è, si è deciso di far pagare a chi soffre. Questo è fuori discussione. Del resto, è una questione di algoritmi e di previsioni pregiudizievoli: chi vince è sempre il banco. Di ogni 100 euro giocati, per esempio, al Gratta e vinci o alle slot, a prescindere, 25 euro vanno in profitto per i concessionari o per lo Stato che, poi, alle vincite sopra i 500 euro applica una tassazione aggiuntiva. Vorrei che quest’Aula potesse avere l’occasione di essere più sensibile al tema, quindi, lo approfondisco in maniera più dettagliata. La stessa semantica sull’azzardo, Presidente, andrebbe meglio chiarita. Non si dovrebbe più parlare – non lo dice Andrea Quartini ma lo dicono tutte le società scientifiche che si occupano di gioco d’azzardo – di azzardopatia, di ludopatia, di gioco d’azzardo patologico, concetti che circoscrivono a pochi soggetti malati il problema, ammesso che 1,5 milioni di famiglie coinvolte nel disturbo da gioco d’azzardo grave siano poche; e non sono solo le famiglie ma, a volte, intere comunità. Si dovrebbe parlare di disturbo da gioco d’azzardo, con passaggio progressivo dalla cosiddetta normalità alla patologia grave e conclamata.

Questo concetto, – continua – ormai consacrato dalla letteratura scientifica, ci suggerisce che l’azzardo, il disturbo da gioco d’azzardo, può riguardare ciascuno di noi: nessuno si può considerare al riparo dal rischio di sviluppare un problema serio. Preoccupa in tal senso molto – ma molto – l’iniziazione all’azzardo tra i giovani perché, come sappiamo, prima si comincia più c’è il rischio di una dipendenza. Si sta parlando di 1,5 milioni di dipendenti da gioco, di 2,5 milioni di giocatori problematici, che ancora non hanno le caratteristiche diagnostiche della dipendenza, di 6 miliardi che lo Stato spende per le patologie correlate, di 3 miliardi 800 milioni di sottrazione IVA sui consumi delle famiglie. Veramente allo Stato conviene? Recupera grosso modo 8-10 miliardi ma perde 3,8 miliardi di sottrazione IVA sui consumi delle famiglie e 6 miliardi per curarli. Ancora siamo fermi a questo ragionamento, che è un ragionamento folle. Come si può pensare che lo Stato possa far cassa su una patologia come questa, che ci costa di più della cassa che si ottiene? Gli unici che ci guadagnano sono i concessionari, non altri, e in questo decreto Fiscale si va avanti con l’idea del mantenimento dell’invarianza di bilancio sul gioco d’azzardo. Il disturbo da gioco d’azzardo, più che alle perdite nette dei giocatori, si correla al tempo dedicato: ogni anno, oltre 100 milioni di giornate lavorative sono impiegate, da chi gioca d’azzardo, per il gioco.

La raccolta dal gioco d’azzardo ha toccato il record nel 2019, con 110 miliardi, nel 2021 ha recuperato la flessione dovuta alla pandemia e nel 2022 ha sfondato tale livello, con un valore stimato fra i 130 e 140 miliardi. Recentissimi studi denunciano la ripresa di gioco d’azzardo fra i minori. Il fenomeno porta a prevedere, negli anni immediatamente a venire, una recrudescenza dei fenomeni sociali di patologia e disagio tra adulti, giovani e minorenni.

Va considerato che la precoce iniziazione al gioco d’azzardo è correlata a un maggior rischio di sviluppare dipendenza e forme più gravi e difficili da curare. È erroneo limitarsi a considerare unicamente le entrate derivanti da azzardo e non anche le alternative in termini di opportunità nell’orientamento della spesa, nonché le esternalità negative derivanti dal gioco d’azzardo di massa. Anche prescindendo da tutto ciò, sul piano costituzionale e ordinamentale, i principi di tutela della salute, della famiglia, del risparmio e della sicurezza debbono intendersi sovraordinati agli interessi fiscali, come hanno ben riportato svariate sentenze della Corte costituzionale, dei TAR, del Consiglio di Stato ma anche della Corte dei conti.

Sempre in chiave semantica, dovremmo smetterla di chiamarlo gioco. Scusate, ma la parola “gioco” evoca un divertimento. La parola “azzardo” evoca stress, evoca paura, evoca rischio, evoca pericolo, non evoca divertimento. Pensate alle famiglie in cui c’è un giocatore d’azzardo, dove i figli sviluppano, a livelli drammatici, patologie psicosomatiche. Loro stessi sono a rischio di sviluppare una dipendenza da alcol, da droghe, da tabacco e dallo stesso gioco d’azzardo. Come si fa a parlare di gioco? Sarebbe ora di cambiare da un punto di vista semantico, sarebbe un messaggio importante anche a livello culturale.

Chiamiamolo semplicemente “azzardo”, non chiamiamole “sale giochi” ma chiamiamole “sale scommesse”, “sale del rischio”, come volete, chiamiamole come vogliamo, ma non chiamiamole “sale giochi”, è una truffa semantica, è un rischio grosso che trasferiamo soprattutto alle giovani generazioni. L’ambiguità semantica resta, inoltre, nel conciliare il codice penale, che ancora oggi proibisce il gioco d’azzardo, con la prevenzione e tutela dello stesso indotto dai giochi cosiddetti leciti per aggirare l’ostacolo del codice penale. Tanto è vero che si continua a parlare di giochi leciti, sapendo che il codice penale ancora oggi proibisce il gioco d’azzardo.

Quale ipocrisia ci può essere dietro a questo nostro modo di legiferare? Sappiamo bene che il gioco d’azzardo è illegale e, allora, ci siamo inventati la formula del gioco lecito per far cassa. Che cassa è, se poi ci si rimette il doppio? Ora esagero, forse non è il doppio, ma senz’altro gli stessi soldi che si guadagnano facendo cassa si spendono per la cura delle patologie derivanti. Fino alla fine degli anni Novanta, il gioco d’azzardo era confinato in luoghi e tempi predefiniti.

Nel 2003, viene liberalizzato in maniera molto consistente, con l’idea del machine gambling, che è la forma più pericolosa, capace di ingegnerizzare la dipendenza. Si concede all’industria dell’azzardo di accedere ai luoghi primari di socialità, rompendo le barriere di confinamento logistico e temporale – bar, circoli ricreativi, ristoranti – senza alcun vincolo né di luogo né di orario. In particolare, fino al 1996 avevamo solo il Totip, il Totocalcio e il Lotto; nel 1997, le prime sale scommesse e poi le sale Bingo; nel 2003, anno di svolta, la legge finanziaria introduce le slot machine, fino ad allora vietate; nel 2009-2010, con il decreto per il terremoto Abruzzo, nuove lotterie, estrazioni istantanee e le famose VLT; nel 2012-2013, alcune regioni italiane cominciano a preoccuparsi e si ribellano con leggi regionali, volte a contrastare la diffusione incontrollata del gioco sul territorio.

Come non ricordare lo scandalo del 2012: dopo 5 anni di battaglie, la Corte dei conti attribuì una multa di 2,5 miliardi di euro a 10 concessionari di slot machine. In primo grado, venne dimostrata la colpa delle suddette concessionarie di non aver collegato le macchine alla rete dei Monopoli, che ne poteva e doveva controllare l’attività; la sanzione in caso di non rispetto degli obblighi prevedeva multe pari a 50 euro per ogni ora di attività non collegata. Secondo la Guardia di finanza c’erano da saldare 90 miliardi di euro. La Corte dei conti non la pensava così e decise di accogliere la richiesta subordinata, di appena 2,5 miliardi. Tuttavia, il Governo Letta, d’accordo con Berlusconi, trovò una soluzione ancora più favorevole ai concessionari: sconto di tre quarti. Se avessero pagato rapidamente, un modo per trovare le coperture per l’abolizione dell’IMU sulla prima casa, secondo il Governo, si sarebbe potuto ridurre di tre quarti quella multa di 2,5 miliardi. E’ evidente che, all’epoca, il Governo si inginocchiò di fronte a signori del gioco d’azzardo, con uno scandaloso condono che ridusse le sanzioni per le concessionarie di slot e videopoker.

Date tutte le premesse che ho fatto, porre come obiettivo prioritario della riforma del gioco d’azzardo il mantenimento dei ricavi per lo Stato è un’illusione sciagurata che dilata i rischi e i danni sociali. La tassazione sui giochi d’azzardo è doverosa, ma deve andare nella fiscalità generale, non essere usata per coperture specifiche; è come finanziare le cure oncologiche promuovendo il gettito da sigarette.

Ricordiamo il decreto L’Aquila? Proviamo a rammentare quel decreto L’Aquila che è simile al decreto Alluvioni di oggi; introdusse nuovi giochi d’azzardo per finanziare la ricostruzione de L’Aquila; la città non è stata ricostruita e la sua provincia è diventata il territorio più martoriato dall’azzardo, perché il sistema ha indotto il gioco; un Paese che è al dodicesimo posto per reddito non può sostenere il primo mercato d’azzardo d’Europa; l’Italia è quarta al mondo in gioco d’azzardo, ha un triste primato: prima in Europa; è quarta, dopo USA, Cina e Giappone. La spesa per il gioco d’azzardo è, di fatto, un prelievo sulle famiglie e sui territori a minor reddito. E’ confermato da svariate analisi che la propensione a giocare d’azzardo aumenta al diminuire del reddito, al Nord come al Sud; nella provincia di Rovigo, unica in Veneto con redditi sotto la media nazionale, si azzarda il 40 per cento in più. Si può, quindi, considerare un prelievo erariale implicito, in contrasto con il principio costituzionale per il quale chi è meno abbiente deve pagare meno tasse e con la necessità di coesione territoriale.

Circa la metà della spesa per il gioco d’azzardo è sostenuta da comportamenti patologici e problematici; lo denunciano da tempo associazioni di studio come Alea e, cosa abbastanza sorprendente, è confermato implicitamente dalle dichiarazioni dell’ex direttore Minenna, dall’allora direttore del comparto giochi, Saracchi e dal Sottosegretario Freni, rese in audizioni nelle Commissioni parlamentari di inchiesta, oltre che da diversi esponenti del settore; essi affermano, infatti, che i servizi di gioco d’azzardo denotano una domanda anelastica; ebbene, la domanda anelastica è tipica per i beni di prima necessità o per consumi che hanno alla base una componente di dipendenza. I trend in atto mostrano un continuo spostamento dei consumi d’azzardo dalla rete fisica (bingo, gratta e vinci, slot, sale scommesse) verso i canali di offerta online, dove la percentuale di tassazione è nettamente inferiore, per esempio nel cosiddetto betting exchange arriviamo a prelievi inferiori all’1 per cento. Va da sé che, pur aumentando il consumo totale, le entrate erariali, dopo anni di lenta crescita vanno e andranno a ridursi. Confrontando i dati dell’ultimo decennio, si nota già che, dal 2011 al 2021, le entrate erariali sono scese da 8,8 a 8,4 miliardi, mentre la raccolta, ovvero il volume totale di giocate si è impennato da 79 miliardi a 111 miliardi.

È importante sapere che i danni psicologici, sociali e familiari non sono correlati alle entrate fiscali, ma al tempo trascorso, come ho già detto precedentemente, nel praticare o a pensare al gioco d’azzardo. Ne deriva che, a fronte di un gettito erariale inferiore si è aumentato un fattore di rischio ambientale di oltre il 40 per cento. Mantenere il gettito fiscale oggi significa lasciare esplodere la situazione sul piano sociale.

Lo Stato offre condizioni di favore per incentivare l’adesione spontanea al circuito legale, non disponendo dei mezzi per eradicare l’illegalità. Sul medio periodo la possibilità di garantire l’invarianza di gettito, allineando il sistema di prelievo online alla raccolta fisica, appare, dunque, illusoria. Noi sappiamo, per esempio, che, durante il lockdown, durante le chiusure per la pandemia, c’è stato un calo di gettito di oltre 4 miliardi nel 2020, che sono stati assorbiti nel bilancio statale senza traumi, pur concorrendo alle necessità di scostamento. Va considerato, peraltro, che la diminuzione del gettito è strettamente correlata a una diminuzione delle perdite e delle sofferenze per le famiglie. I giocatori patologici nei colloqui presso i centri di cura riferiscono che, durante il lockdown, hanno ridotto o smesso di giocare e stiamo parlando di persone che, in apparenza, ci si aspettava sarebbero transitate su consumi online durante la pandemia o verso circuiti illegali. Invece, il fenomeno, molto conosciuto, chiamato craving, l’appetizione patologica, il desiderio di bere che si è osservato nei problemi alcool-correlati (è stato studiato in quell’ambito) e che si è riscontrato anche nei giocatori d’azzardo patologici, ossia questo desiderio importante, il desiderio irrefrenabile di giocare, il desiderio impulsivo scompare o si attenua fortemente quando la sostanza o il comportamento non sono disponibili.

Le chiusure hanno migliorato il potere d’acquisto e la qualità della vita nelle famiglie fragili; sono stati miliardi spesi diversamente, a vantaggio di altre filiere produttive e commerciali, peraltro a maggior assorbimento di manodopera, che hanno portato gettito e contribuzione alternativa e hanno ridotto la necessità di assistenza pubblica a moltissime famiglie in difficoltà.

Con tutta la comprensione che noi abbiamo nei confronti dei dipendenti del settore, il lockdown e le chiusure non hanno favorito enormemente le mafie, come alcuni sostengono; lo stesso Procuratore nazionale antimafia ha chiarito, in sede ufficiale, che il fatto che potessero favorire il gioco illegale è frutto di ipotesi meramente presuntive.

Nel 2019, del resto, sono stati chiusi più di 1.000 siti illegali, mentre nel 2020, a fronte di un’asserita esplosione, ne sono stati chiusi meno di 300. Analogamente, nei primi 5 anni in cui è stata in vigore la legge regionale del Piemonte cha ha calmierato l’offerta d’azzardo sono diminuiti sia i consumi d’azzardo che i malati, mentre non risultano aumentati i casi di illegalità. Giova ancora ricordare che l’infiltrazione mafiosa nell’offerta legale ha raggiunto livelli che finalmente vengono riconosciuti dai Monopoli; una trentina di concessioni sono state revocate per la vicinanza dei titolari alle consorterie mafiose; in Sicilia sono state scoperte reti che controllavano qualcosa come 400 ricevitorie di scommesse regolarmente autorizzate che, però, giravano sottobanco le puntate sui siti illegali, promuovendo tali canali anche per un consumo diretto, da casa; la rete legale faceva dunque da procacciatore d’affari per quelle illegali; nel territorio della provincia di Bari la gestione delle slot machine legali era condizionata dalla criminalità organizzata al punto che il procuratore capo, Roberto Rossi, ha recentemente denunciato che non si può più parlare di infiltrazione: la mafia ha assunto il controllo. Tutto questo è stato riportato ampiamente nella relazione della Commissione antimafia uscente.

In definitiva, – conclude l’onorevole del M5S – pur riconoscendo che su una simile riforma si debba procedere con prudenza, con cautele, senza scompensi, pensare di porre come premessa intoccabile il mantenimento delle entrate, dunque un’ulteriore espansione dei consumi, non è ricevibile sotto ogni punto di vista che sia compatibile con il bene pubblico. Per questo abbiamo presentato alcuni emendamenti – anche questi ovviamente respinti – in sede di Commissione; una parte di questi proveremo a riproporli in Aula e speriamo che ci sia una maggiore sensibilità da parte della maggioranza e del Governo”.

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