Così come abbiamo applaudito, qualche tempo fa, alla Luiss e all’Ipsos per la ricerca svolta sul giuoco pubblico, e in particolare per le conclusioni a cui è giunta, così oggi
Così come abbiamo applaudito, qualche tempo fa, alla Luiss e all’Ipsos per la ricerca svolta sul giuoco pubblico, e in particolare per le conclusioni a cui è giunta, così oggi applaudiamo all’Istituto Friedman, che si è cimentato ad elaborare delle proposte per l’ormai celeberrimo Riordino del settore. Perché, quando scendono in campo realtà così autorevoli del mondo accademico e della ricerca, gli assunti e le istanze che l’industria da tutti i suoi lati lancia alle istituzioni e alla politica acquistano più forza e, soprattutto, più rispetto.
Tra l’altro, l’Istituto Friedman si ispira a una idea – frutto del pensiero della sua icona, Milton Friedman per l’appunto, che è stato uno dei più grandi economisti del ‘900, tanto da essere insignito del Premio Nobel nel 1972 – che calza a pennello con la nostra realtà: “le soluzioni che trovano i governi spesso creano più problemi di quanti ne risolvano”.
La premessa ideale per avviare uno studio sul settore, nel momento in cui il tema al centro dei dibattiti è il suo Riordino, allargando il più possibile il raggio delle competenze coinvolte – economisti, politici, imprenditori, rappresentanti di categoria – proprio per arrivare a conclusioni che siano calate nella realtà e non accademicamente astratte come a volte succede.
La proposta-decalogo elaborata dall’Istituto, in realtà, non ha nulla di realmente nuovo rispetto a quanto gli addetti ai lavori, noi compresi, andiamo dicendo da anni. Ma già il fatto stesso che, col rigore analitico e l’imparzialità che lo caratterizza, esso sia giunto alle nostre (nel senso del settore in toto e non personali) stesse conclusioni significa che l’industria del gioco non soltanto è animata dagli ovvi interessi imprenditoriali, ma ha realmente a cuore che si giunga alla costruzione di un eco-sistema sostenibile, equilibrato, e in grado di soddisfare gli interessi pubblici e sociali.
Senza ripetere quanto (ci auguriamo) avete già letto nel nostro articolo che riporta la cronaca del convegno svoltasi questa mattina nell’edificio che fronteggia Palazzo Chigi (un bel messaggio anche questo), vogliamo dedicarci a qualche filo di nota, che non vuole essere una critica tout court bensì una chiave di lettura in vitro di quanto abbiamo ascoltato dai numerosi interventi “di cattedra”.
Tutto veramente bene, ma fino all’ultimo miglio: l’importanza capitale dell’industria del gioco nello scenario economico nazionale; il rispetto della dignità e della libertà di impresa; incrementare la specializzazione e la professionalità dei punti vendita per una più incisiva lotta all’illegalità e al gioco patologico; il concetto del gioco che aiuta a sviluppare il pensiero strategico e la capacità progettuale delle persone; uniformare, in modo ragionevole, le distanze e gli orari a livello nazionale; persino la denuncia (riferita al Piemonte) che vengono rilasciati dati artefatti per dimostrare l’efficacia di una legge regionale contro il gioco e, non da ultimo, porre l’accento sul fatto che bisogna innanzitutto accertare con chiarezza assoluta “chi è autorizzato a fare cosa”, visto che – tanto per dirne una – il comparto online sta prendendo delle “scorciatoie” che creano forti squilibri sul mercato.
L’ultimo miglio, però, è finito sul binario morto. Indovinate un po’ qual è? Quello dei bar e dei poveri, vecchi, cari gestori di apparecchi.
Sembra quasi – ed è un’opinione personale, non una notizia, sia chiaro – che questi ultimi siano destinati a diventare gli agnelli sacrificali sull’altare del Riordino. Nessuno, per carità, disconosce che le tabaccherie, le agenzie scommesse, i corner, le sale bingo, le stesse sale da gioco costituiscano dei “presidi di legalità” irrinunciabili. Ma perché non può esserlo altrettanto il comune bar, così come lo stesso gestore/proprietario degli apparecchi?
Dimenticare, o sottacere, l’esistenza di queste due grandi realtà può dar luogo soltanto alla considerazione di cui sopra, ovvero che di loro si “dovrà” fare a meno affinché l’industria abbia le soddisfazioni che cerca. E’ solo una sensazione, lo ribadiamo, ma il fatto stesso che nel cast dei relatori non ci sia stato alcun rappresentante delle due categorie la dice lunga. Né si può dire, purtroppo, che va dato per scontato che i discorsi fatti valgano implicitamente pure per bar e gestori, perché nel momento in cui si sottolinea che il gioco deve concentrarsi nei luoghi specializzati, si lascia intendere che quelli che non lo sono costituiscono gli anelli deboli della filiera, e come tali mettono a rischio l’integrità e l’immagine “positiva” del sistema-gioco.
Allora, per concludere, siamo noi i primi a schierarci a sostegno dei concessionari, che da tanto tempo, e non solo per colpa del Covid, sono costretti a vivere alla giornata senza alcuna prospettiva certa. E siamo sempre i primi a metterci dalla parte dei consumatori, della loro protezione soprattutto. E siamo anche noi convinti che la riduzione dell’offerta può essere più nociva che “curativa”, visto che il giocatore, se vi è costretto, andrà sempre alla ricerca di una alternativa, legale, grigia o illegale che sia.
Però, se ce lo permettete, vorremmo perlomeno una dedica a tutti quelli che, il mercato degli apparecchi, lo hanno creato, portato avanti, fatto esplodere fra tante difficoltà, interfacciandosi quotidianamente coi giocatori per far si che l’attività di raccolta procedesse, per quanto nelle proprie possibilità, in maniera ordinata e nel pieno rispetto delle regole.
PressGiochi – Marco Cerigioni
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