Nel 2020 secondo l’Ufficio Studi di Confcommercio ci saranno circa 300mila imprese del commercio non alimentare e dei servizi in meno (saldo tra aperture e chiusure), di cui circa 240mila
Nel 2020 secondo l’Ufficio Studi di Confcommercio ci saranno circa 300mila imprese del commercio non alimentare e dei servizi in meno (saldo tra aperture e chiusure), di cui circa 240mila esclusivamente a causa della pandemia, a cui si devono aggiungere anche 200mila attività professionali sparite dal mercato. Complessivamente, nel 2020 sono andati persi 160 miliardi di euro di Pil e quasi 130 miliardi di consumi (-11,8% rispetto al 2019), circa 2.000 euro a testa considerando anche i mancati acquisti degli stranieri in Italia, e il 10% di ore lavorate. E tre sono le cause del crollo dei consumi dello scorso anno:
Il 2021 si è aperto peggio delle aspettative con un primo quarto dell’anno ancora debole. Molto dipenderà, dunque, dalla capacità di cominciare a riformare la nostra economia con l’accompagnamento dei necessari investimenti. A cominciare dalla revisione al ribasso delle vecchie stime della Nota di Aggiornamento, essendo altamente improbabile raggiungere l’obiettivo del 6% di crescita. A questo proposito, le stime del nostro Ufficio Studi non superano il +3,8% con consumi di poco sopra il 4%, livelli ancora insufficienti a recuperare la metà di quanto perso.
Si prospetta, dunque, una ripresa faticosa che andrà affrontata e costruita con coraggio evitando di tornare a “crescere” ai ritmi con i quali ci siamo mossi negli ultimi venti anni. Servono riforme, a cominciare da quella fiscale per ridurre le tasse su imprese e famiglie e da una maggiore semplificazione di norme e adempimenti, ma servono anche investimenti e più Europa. Abbiamo, infatti, un’opportunità: quella di cominciare a programmare un futuro diverso e migliore grazie alle risorse del programma Next Generation EU.
Per trovare un anno peggiore del 2020 dal punto di vista macroeconomico bisogna andare indietro fino al 1944. L’emergenza Covid si è, infatti, abbattuta in maniera drammatica sul nostro sistema di imprese colpendo, in particolare, le filiere del turismo, della ristorazione e tutto il comparto della cultura e del tempo libero (attività artistiche, sportive e di intrattenimento), ma anche il commercio al dettaglio, soprattutto abbigliamento, con crolli verticali di fatturato e la chiusura definitiva di tantissime imprese.
Solo nel comparto della ristorazione le perdite di fatturato nel 2020 hanno raggiunto i 38 miliardi, con la chiusura di circa 23mila imprese; la filiera del turismo ha registrato una perdita di valore della produzione di 100 miliardi, solo il comparto ricettivo ha perso oltre 13 miliardi di fatturato; nel commercio al dettaglio, il settore abbigliamento e calzature ha perso 20 miliardi di consumi con la chiusura definitiva di 20mila negozi; nel commercio su aree pubbliche si registrano cali fino a circa 10 miliardi e 30mila imprese a rischio chiusura; nel settore degli spettacoli le perdite hanno superato 1 miliardo, in termini di mancati incassi, tra cinema e spettacoli dal vivo (musica, teatro, lirica, danza); nel settore del gioco pubblico da inizio pandemia si sono persi circa 5 miliardi di euro di gettito per lo Stato e circa 4 miliardi di ricavi per il comparto nel quale sono a rischio 70mila imprese.
Le priorità per uscire dal tunnel del Covid-19 e salvare le imprese che rischiano di chiudere sono due: contrasto alla pandemia e difesa del tessuto produttivo fino al momento della ripartenza. Per questo, occorre rafforzare decisamente le risorse dedicate ai ristori che verranno riconosciuti ad imprese e partite IVA a fronte delle perdite di fatturato medio mensile registrate nel 2020 rispetto al 2019. Ma i ristori devono essere anche più inclusivi in termini di parametri d’accesso e più tempestivi in termini di meccanismi operativi.
Una difficoltà specifica della ripresa italiana nell’anno in corso è proprio la concentrazione delle perdite di spesa per consumi – e quindi di valore aggiunto – in pochi importanti settori: commercio non alimentare (in particolare abbigliamento e calzature), trasporti, ricreazione, spettacoli, convivialità e cultura, alberghi, bar, ristoranti e viaggi.
La fortunata dipendenza del nostro PIL dalla filiera turistica ci ha a lungo sostenuto in passato, anche attraverso la voce “servizi” della bilancia dei pagamenti. Adesso ne va ripristinato il pieno funzionamento anche perché il turismo e il terziario di mercato possono e devono essere i protagonisti della ripresa e di una crescita robusta e duratura.
PressGiochi
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