La Corte di Cassazione Sez. Civile N° 5 ha respinto il ricorso di una società di videogiochi contro l’Amministrazione Autonoma Monopoli dello Stato, ufficio della Liguria per la riforma della
La Corte di Cassazione Sez. Civile N° 5 ha respinto il ricorso di una società di videogiochi contro l’Amministrazione Autonoma Monopoli dello Stato, ufficio della Liguria per la riforma della sentenza della Commissione Tributaria Regionale.
Come spiega la Cassazione: “L’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, Ufficio della Liguria notificava alla società. due avvisi di comunicazione di irregolare liquidazione della imposta sugli intrattenimenti, in relazione all’utilizzo di apparecchi e congegni per il gioco lecito previsti dall’art.14 bis d.P.R. n.640 del 1972., determinando la maggiore imposta dovuta per l’anno 2004, oltre sanzioni e interessi. Contro gli avvisi la società proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Genova che lo accoglieva con sentenza n.320 del 2008. L’Amministrazione dei Monopoli di Stato proponeva appello alla Commissione tributaria regionale che, con sentenza del 30.3.2010, riformava la sentenza appellata confermando gli atti impositivi impugnati. Il giudice di appello, premesso che gli apparecchi di intrattenimento in oggetto erano stati pacificamente utilizzati per un periodo limitato di tempo, avendo cessato di essere leciti ed essendo stati rimossi a decorrere dal 31.5.2004, osservava che l’applicazione dell’imposta nella misura forfettaria di euro 2.500, stabilita dall’art.14 bis del d.P.R.n.640 del 1972 in luogo della imposta fissata per gli anni antecedenti nella misura di euro 4.100, già teneva conto del periodo limitato di utilizzazione dell’apparecchio. Contro la sentenza di appello la società ricorre per cassazione sulla base di due motivi L’Amministrazione dei Monopoli di Stato resiste con controricorso”.
La Cassazione ha respinto il ricorso in quanto: “I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati. Con riferimento alla specifica categoria degli apparecchi e congegni per il gioco previsti dall’art.110 comma 7 lett.b) del T.U.L.P.S, l’art.14 bis comma 3 bis lett.b) del d.P.R. n.640 del 1972, inserito dall’art.39 comma 11 d.l.n.269 del 2003, convertito nella legge n.326 del 2003, ha determinato l’imponibile medio forfettario, ai fini dell’imposta sugli intrattenimenti per l’anno 2004, nella misura di euro 2.500, in luogo del maggiore imponibile medio forfettario di euro 4.100 stabilito per gli anni precedenti (dal 2001 al 2003) dal comma 3 lett.b) dell’art.14. L’imponibile medio forfettario, determinato in misura ridotta per l’anno 2004, non deve essere ulteriormente frazionato in base al limitato periodo di utilizzazione consentita degli apparecchi in oggetto, poiché esso già ingloba la circostanza che gli apparecchi da gioco che consentono la ripetizione della partita, previsti dal citato art.110 comma 7 lett.b)T.U.L.P.S., potevano essere utilizzati per un periodo limitato dell’anno, dovendo essere convertiti oppure rimossi e demoliti entro il 31.5.2004, come stabilito dall’art. art.39 comma 7 d.l.n.269 del 2003, convertito nella legge n.326 del 2003. A comprova della correttezza di tale interpretazione, dal raffronto dei commi 3 e 3 bis dell’art.14 bis del d.P.R.n.640 del 1972, si rileva che, nell’anno 2004, la misura dell’imponibile medio forfettario ai fini dell’imposta è stato ridotto (da euro 4.100 ad euro 2.500) soltanto per gli apparecchi di cui all’art.110 comma 7 lett.b) del T.U.L.P.S., soggetti alla dismissione forzosa entro il 31.5.2004, mentre per gli apparecchi da gioco di cui all’art.110 comma 7 lett.a) e c), utilizzabili per l’intero anno, l’imponibile medio forfettario ha subito un significativo incremento rispetto all’imponibile medio degli anni precedenti”.
Per quanto riguarda la “violazione di cui all’art.360 n.5 cod.proc.civ. con riferimento agli artt.35 e 36 decreto legislativo 31 dicembre 1992 n.546, dell’art.112 cod.proc.civ. sulla corrispondenza tra chiesto e pronunciato e sui contenuti della sentenza, dell’art.112 cod.proc.civ. e 118 disp.att. cod.proc.civ. per omessa o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. Prosegue la Corte “Il motivo è inammissibile per mancanza del requisito di specificità e per mescolanza di censure relative a presunte violazione di norme di diritto, di norme processuali e di vizi della motivazione, tutte indistintamente prospettate quale ragione di ricorso ricondotta alla fattispecie prevista dall’art.360 comma primo n.5 cod.proc.civ.”.
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