23 Novembre 2024 - 20:32

Casinò di Venezia: per la Cassazione i dipendenti hanno diritto alle mance

Calabria: il M5S torna a chiedere interventi sul fronte gioco I dipendenti del Casinò di Venezia hanno diritto alle mance secondo un criterio di “minimo garantito” calcolato sulla totalità degli

09 Agosto 2017

Calabria: il M5S torna a chiedere interventi sul fronte gioco

I dipendenti del Casinò di Venezia hanno diritto alle mance secondo un criterio di “minimo garantito” calcolato sulla totalità degli incassi e non sulla metà. Esattamente come prevede l’accordo aziendale siglato nel 1990. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza (la numero 19698) depositata l’8 agosto, riconoscendo ai croupier il diritto di vedersi corrispondere un plafond doppio rispetto a quello definito dalla Corte di appello di Venezia . Duemilasettecentonovanta lire (la vicenda affonda le proprie radici in una fase ante-euro) per ogni milione incassato dal Casinò, calcolati sul tesoretto complessivo delle mance: questo il quantum riconosciuto dalla Suprema Corte a ogni dipendente.

Una bella differenza rispetto a quanto stabilito nel 2010 dalla Corte di appello che, accogliendo le richieste del Casinò municipale, riduceva della metà il monte da cui attingere, lasciando che il restante 50% delle mance entrasse nelle casse societarie.

 

Il contenzioso tra Ca’ Vendramin e croupier sulle mance non corrisposte a partire dal 1999 si trascina da anni. La clausola del minimo garantito è prevista dall’articolo 48 del contratto aziendale siglato nel 1990- il Casinò era ancora una municipalizzata – l’anno del boom delle slot machine. Fu allora che – a titolo di risarcimento dei mancati introiti (le slot machine non richiedono l’intervento di un croupier) – la categoria ottenne un meccanismo di salvaguardia della mance: 2.790 lire su ogni milione di incasso per ogni impiegato. Un accordo del 2007 abolisce l’articolo, ma non riesce a sedare gli animi; i croupier denunciano un ammanco dal 1999. Il 1999, d’altronde, è un anno cruciale, in cui il Casinò deve barcamenarsi tra l’apertura della nuova sede di Ca’ Noghera e il raddoppio del personale.

 

 

Il primo tentativo di “sbancare il banco” da parte dei croupier va a buon fine nel 2009, quando una sentenza di primo grado condanna la Casa da gioco di Venezia a sborsare 6 milioni di euro, più 4 di interessi e spese legali a favore dei dipendenti in papillon. Contro la sentenza pro-croupier ricorre il Casinò, che mette a segno una vittoria importante: la Corte di appello accoglie i motivi e dimezza il plafond su cui calcolare il minimo.

 

 

Ieri l’ultima parola della Cassazione, che ha nuovamente ribaltato la situazione, assumendo come stella polare le clausole degli accordi aziendali, denunciandone la violazione e falsa applicazione da parte della Corte di appello. Nella sentenza 19698 i giudici si chiedono come si possa attribuire alla famigerata clausola «un significato diverso da quello attribuito dal primo giudice» e stigmatizzano la scelta di un metodo matematico «contrario alla comune intenzione delle parti». «Nel caso di contratti aziendali – concludono – l’interprete deve sempre partire dal senso letterale delle espressioni usate e poi passare, solo in caso di non chiarezza, a ulteriori criteri ermeneutici».
La sentenza è dunque cassata e rinviata alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione.

 

 

PressGiochi

×