All’indomani della castrazione della pubblicità dei giochi, per il M5S-Lega si pone ora il più beffardo dei contrappassi. Dover affrontare la questione del fallimento del Casino di Campione d’Italia significa
All’indomani della castrazione della pubblicità dei giochi, per il M5S-Lega si pone ora il più beffardo dei contrappassi. Dover affrontare la questione del fallimento del Casino di Campione d’Italia significa dover prendere una decisione che sarà comunque scomoda per qualcuno (e sappiamo già chi è).
E’ vero che l’enclave italiano in terra elvetica ha una realtà del tutto atipica rispetto a quella che circonda le altre tre case da gioco nazionali. Non ci sono, tanto per dirne una, le eccellenti sinergie turistiche di cui godono Sanremo, S.Vincent e Venezia. A Campione ci vai per un solo motivo: giocare d’azzardo. Per quanto gradevole, pulito e ordinato, il paesino è meta vacanziera solo per qualche aficionado e niente più. E, anche volendo, gli spazi (oltre agli immancabili vincoli ambientali) non consentono interventi strutturali di espansione delle attrazioni turistiche. In altre parole, mai e poi mai sarà possibile trasformare la casa da gioco in un resort onnicomprensivo come oggi la clientela (soprattutto internazionale) richiede.
Il vanto di essere il più grande Casino d’Europa, insomma, è diventato un boomerang mortale. Quando devi pagare lo stipendio a oltre 500 dipendenti tutti i mesi e hai a che fare con tutte le problematiche della conformazione verticale dell’edificio (con ben 9 piani, più 3 di parcheggio), la gestione è sempre legata al filo del rasoio delle mode. Ovvero, alla presenza dei Vip. Che una volta venivano, ma pian piano hanno scelto altre mete lasciando Campione con un palmo di naso.
Poi, hai voglia a dire che la colpa è della crisi economica, della gestione dissennata del penultimo amministratore, della concorrenza delle sale Vlt (lo dice Di Maio) e dell’eliminazione del tetto al tasso di cambio euro/franco svizzero avvenuta nel 2015, che ha provocato una forte impennata dei costi annui del casino. Il fatto è che se alle spalle non hai un grande gruppo di investimento, dotato di tutte le professionalità del caso, finisci col lasciarti vivere, nella convinzione o nella speranza che la gente continui a venirci camminando dietro al pifferaio magico della tradizione.
Così, chi viene dal bacino Como-Varese-Lecco-Bergamo-Milano preferisce ormai fermarsi a Mendrisio, che è Svizzera ma poco importa, al casino oggi gestito da Admiral, che è grande il giusto, lussuoso e confortevole, ed ha un centro commerciale annesso. Più su ci sono i casino di Lugano e Locarno; niente di eccezionale ma carini, a misura, accoglienti e dotati di ottimi servizi. Insomma, al confronto la casa da gioco di Campione è un mastodonte dove tutti si aspettano il massimo, come se si andasse a Las Vegas.
Ma questa ormai è storia. L’attualità ci dice che il Casinò di Campione è ormai avviato alla chiusura definitiva. Si cercano appigli per un’improbabile gestione provvisoria e intanto da Roma fanno sapere che non esiste una strada politica percorribile. Come dire, non aspettatevi provvedimenti speciali: 500 persone a spasso sono il male minore rispetto a quelli che provocherebbe – secondo il Governo – un provvedimento normativo per forza di cose ad ampio raggio, a sostegno di un’industria che più di nicchia non si può… e che tale deve rimanere (sempre secondo il governo)!
Altrimenti, il Governo giallo-verde dovrebbe spiegare perché da un lato si va in soccorso dei dipendenti delle case da gioco e dall’altro si sta facendo del tutto per mandare a casa i tanti bravi lavoratori delle sale slot, delle sale bingo, delle agenzie scommesse e quelli delle aziende di gestione delle macchine. E non si venga a dire – come qualcuno del settore spesso fa – che i casino sono il lato luminoso della luna, mentre tutto il resto fa parte del lato oscuro. Se parliamo di professionalità, di rispetto e tutela del consumatore, di contrasto all’illegalità, i livelli sono gli stessi, se vogliamo non tanto per meriti propri delle imprese quanto per i tanti vincoli via via imposti, che hanno forzato la loro crescita sotto tutti i punti di vista.
E’ vero che, in tutto il mondo, i casino hanno sempre costituito un mondo a sé. Ma nella realtà italiana forse sarebbe stato meglio incontrarsi, per tempo, per studiare strategie comuni, perché alla fine comune è il problema di valorizzare l’immagine del settore del gioco come comparto industriale vero e proprio, di smitizzare certi assurdi preconcetti riguardo l’intrinseca debolezza del giocatore, di instaurare programmi d’avanguardia per la protezione del giocatore stesso e di promuovere le location di gioco come reali luoghi di intrattenimento.Poi, ognuno continuerà ad avere la propria specificità e anche a farsi una sana concorrenza. Ci mancherebbe altro!
D’altra parte, non ci illudiamo che questa sinergia possa essere la panacea di tutti i mali. A monte, c’è il problema ben più grande che tutti i casino sono gestiti da società a totale partecipazione pubblica, laddove sarebbe invece necessaria la presenza di un operatore specializzato, solido e con forti capacità di investimento. E ancora più su c’è la farraginosità di un apparato legislativo creato ad arte nelle trascorse epoche, sul quale mai nessuno ha avuto poi il coraggio di mettere mano, proprio per confermare che i 4 casinò italiani costituiscono eccezioni assolute e inderogabili.
Aspettarsi una svolta da questo governo antitutto è come pretendere di spostare il Natale a Ferragosto. L’aria che tira, a Palazzo Chigi e dintorni, è che se Campione chiude è il male minore, e lo stesso vale se analoga sorte subiranno anche gli altri casino. Stiamo parlando di neanche 1800 dipendenti in tutto. Che vuoi che sia, rispetto agli 8000 posti di lavoro che si perderanno col decreto dignità?
MC-PressGiochi
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