Salvatore Carai, direttore del SerD di Olbia, interviene analizzando le problematiche relative al gioco d’azzardo patologico nell’isola sarda. “Il comportamento dei giocatori – prosegue il direttore del SerD – persistente,
Salvatore Carai, direttore del SerD di Olbia, interviene analizzando le problematiche relative al gioco d’azzardo patologico nell’isola sarda. “Il comportamento dei giocatori – prosegue il direttore del SerD – persistente, ricorrente, ossessivo e compulsivo, che compromette le attività personali, familiari e lavorative. Da attività piacevole ed eccitante, può diventare una dipendenza grave e distruttiva (tossicomania legale senza sostanze stupefacenti). Può irrompere nella vita delle persone alterando il loro normale stile di vita, con gravi ripercussioni nell’ambito delle relazioni personali e familiari, e nel lavoro, determinando pericolose conseguenze economiche e legali”. La Sardegna è la prima regione d’Italia per numero di slot machine in relazione alla densità della popolazione (22 ogni 10mila abitanti) e la Gallura si piazza al secondo posto (dopo la provincia di Nuoro) in classifica (29 macchinette ogni 10mila abitanti). Questo, solo per quanto riguarda le slot machine, ma l’isola è anche fra le quattro regioni in cui le famiglie arrivano ad investire il 10 per cento del proprio reddito nel gioco d’azzardo: si stima una spesa media di 1.500 euro a persona. A quanto sembra state oltre 380 le richieste di aiuto arrivate fino a oggi al SerD da quando, nel 2004, sono stati istituiti al suo interno i gruppi terapeutici rivolti a pazienti con disturbo da gioco d’azzardo patologico. Da allora sono state prese in carico 176 famiglie, coinvolte, insieme al giocatore, nel programma terapeutico. Attualmente sono una cinquantina i giocatori seguiti dai gruppi di terapia: hanno un’età tra i 20 ed i 65 anni, sono prevalentemente maschi, e fanno lavori estremamente diversi (dipendenti, liberi professionisti, artigiani e commercianti). Vengono seguiti da tre gruppi che si riuniscono due volte la settimana, condotti da medici e psichiatri psicoterapeuti, psicologi psicoterapeuti e assistenti sociali. “Il giocatore patologico- continua Carai- ritiene, erroneamente, di poter smettere in qualsiasi momento. Sono invece quasi sempre i familiari dei ‘giocatori patologici’ che, per primi, colgono i segni della patologia in atto e si rivolgono, dopo numerosi e vani tentativi di dissuasione, ad uno specialista come l’unica, e spesso l’ultima spiaggia, per riuscire a modificare un comportamento che ha portato la famiglia al dissesto economico, con un accumulo di ipoteche e debiti che, in alcuni casi, non potranno mai essere onorati”. Per lo psicoterapeuta l’azione fondamentale per combattere la patologia è la terapia di gruppo. Formulata la diagnosi ed un programma terapeutico mirato, comincia per il paziente e la sua famiglia un percorso che cerca di portare ad un profondo cambiamento nello stile di vita. Tra gli interventi viene anche formulato un vero e proprio piano di rientro finanziario con una nuova gestione dei soldi attraverso la nomina di un tutor finanziario. «È essenziale – conclude Carai – la consapevolezza della malattia e la totale adesione al programma terapeutico».