15 Novembre 2024 - 05:19

Avv. Pedrizzi “Doxa e Corte dei Conti contro i pregiudizi sul gioco pubblico”

Le componenti positive del gioco non riescono a correggere la visione negativa data dall’opinione pubblica

12 Aprile 2022

“La recente indagine prodotta dalla Doxa va subito al cuore della questione, intorno alla quale è nata una vera e propria leggenda nera: “nonostante il settore del gioco abbia diverse componenti positive, queste non riescono a correggere l’attuale visione che spesso permea l’opinione pubblica”…”; Spesso non si conosce infatti la genesi del gioco legale, non arrivato da una situazione di vuoto e assenza di gioco, ma al contrario arrivato per regolamentare quei segmenti spesso già esistenti ma esclusivamente un ambito sommerso e non legale; Fino alla regolamentazione partita nel 2004, i giochi erano in parte nelle mani dell’illegalità. Successivamente vennero finalmente normati e regolamentati, con molteplici benefici di ordine economico e per il giocatore stesso”. – sottolinea in un documento l’avvocato Riccardo Pedrizzi, Giornalista, Scrittore e Presidente Commissione Finanze e Tesoro del Senato (2001-2006).

“In quel periodo infatti si svolse l’Indagine conoscitiva “Sul Settore dei Giochi e delle Scommesse” promossa e condotta da chi scrive che si concluse con un documento votato pressoché all’unanimità e che ancora oggi, a distanza di diciannove anni, mantiene ancora tutta la sua attualità. Dal canto suo la Corte dei Conti ha prodotto la Deliberazione nr. 23/2021 sul “Fondo per il gioco d’azzardo patologico” della Sezione Centrale di Controllo sulla Gestione delle Amministrazioni dello Stato, nella quale tra l’altro constatava che “in relazione al graduale aumento, registrato nel corso degli ultimi anni, del numero dei soggetti che si sono dedicati alle plurime attività del gioco d’azzardo e la contestuale fenomeno emergente del gioco clandestino, quindi illegale, il Legislatore nazionale ha ravvisato un potenziale e specifico rischio sociale”.

“L’obiettivo primario della ricerca Doxa è stato quello di “valutare l’impatto delle misure adottate nelle regioni Piemonte, Emilia Romagna, Lazio e Puglia come modello rappresentativo delle rispettive aree territoriali, per un efficiente contrasto del gioco d’azzardo patologico”…”, per far “emergere, attraverso la narrazione motivazionale, quale è lo status quo attuale rispetto al gioco patologico, quali sono misure attivate ai fini del contrasto di tale situazione e come esse vengono vissute in termini di efficacia/inefficacia” e le conseguenze ritenute rilevanti”.

“E purtroppo le risposte arrivano univocamente non solo da tutte le componenti della filiera del gioco ma anche da tutti gli stakeholders, che manifestano la forte perplessità sull’effettiva efficacia di tali normative, mettendone invece in evidenza una serie di limiti che riverberano su diversi aspetti legali al gioco: l’effettiva capacità di preservare i giocatori a rischio o affetti da GAP…; le conseguenze economiche sul lavoro e gli investimenti…; la preoccupazione per la progressiva perdita di presidio da parte del gioco fisico legale, a vantaggio di componenti più rischiose, in primis l’illegalità”.

“Del resto è quello che si proponeva anche la Corte dei Conti che aveva allargato il suo sguardo complessivo su tutti i riferimenti normativi in tema di contrasto al gioco d’azzardo patologico; sulle statistiche sul consumo di gioco d’azzardo condotte dall’Istituto di fisiologia clinica del Centro nazionale delle ricerche, quelle dell’Istituto Superiore di Sanità; sull’operatività del fondo per il gioco d’azzardo patologico; sull’andamento del mercato dei giochi con il quadro dei flussi finanziari e della disciplina fiscale in vigore; l’attuale contesto delle concessioni nella gestione dei giochi; il sistema dei controlli”.

“Ma, in particolare, aveva concentrato la propria indagine sui profili del giocatore problematico ed i relativi rischi a cui è esposto: l’età anagrafica, la condizione lavorativa, il grado di cultura, il grado di dipendenza, “nell’epidemiologia classica il fattore di rischio (RF) è una specifica condizione che risulta statisticamente associata ad una malattia e che pertanto si ritiene possa concorrere alla sua patogenesi, favorirne lo sviluppo o accelerarne il decorso. Anche gli stili di vita non salutari si confermano come fattori associati positivamente con il comportamento di gioco problematico. In particolare, il comportamento di binge drinking (bere fino al perdere il controllo) ha un’associazione positiva molto forte se praticato 3 volte o più nell’ultimo mese, in quanto espone circa 18 volte di più alla possibilità di sviluppare un comportamento di gioco problematico”.

“Questo conferma quanto da sempre sottolineato anche da chi scrive, che, cioè, spesso la ludopatia è associata ad altri tipi di dipendenze e rappresenta solo uno degli aspetti di un problema complessivo della persona… Seguono una miriade di dati circa le indagini effettuate sulle varie tipologie di giocatori (età, professione, livelli culturali, genere, opinioni, spesa pro capite, capacità ed abilità, aspettative, accessibilità al luogo di gioco, giudizi sulla legalità del gioco, ecc. ecc.)”.

“Ma mette altresì in evidenza la difficoltà a dare cifre precise circa il numero dei giocatori che vengono suddivisi in queste percentuali il 72,8% della popolazione di giocatori pratica gioco d’azzardo senza nessun problema di gioco, l’11,3% è un giocatore a basso rischio, il 7,6% a rischio moderato e l’8,3% dei giocatori evidenzia un profilo di giocatore problematico anche se «Il problema delle difficoltà di rilevazione dei dati è conosciuto da un decennio e allo stato attuale non si ha un quadro reale di quanti malati siano in cura presso le strutture ambulatoriali, quanti presso le strutture residenziali, quanti presso le strutture semiresidenziali”.

“Anche la ricerca Doxa ci conferma che “l’attitudine al gioco patologico, nei suoi fattori di rischio e predisposizione, viene descritta come un insieme ben più articolato di elementi: genetici e afferenti all’individuo stesso, come dimostrano ormai la medicina e la psicologia attraverso la rilevazione della frequente comorbilità con altri tipi di dipendenze; culturali, con una stretta correlazione tra cultura medio bassa e minore capacità di tenere sotto controllo il gioco; contestuali e sociali, ad esempio legati alla precarietà delle condizioni economiche e lavorative e alla concomitante attitudine a considerare il gioco come una possibile soluzione”, lamentando che troppo spesso, tutta la platea dei giocatori viene emotivamente “appiattita” sulla definizione di giocatore patologico, problematico o potenzialmente problematico. Si perde cioè di vista il fatto che il gioco patologico rappresenti, nell’ambito della popolazione dei giocatori, una minoranza sul totale e che, cosa forse ancora più importante, la maggior parte di chi gioca oggi “sia destinata” a rimanere nell’ambito di un gioco sociale anche in futuro. Al contrario, il dibattito e le misure che nel tempo si sono adottate, sembrano più rivolte ad una sedicente salvaguardia dei giocatori tutti (che nella maggioranza dei casi non ne hanno bisogno) che non ad un’efficace azione focalizzata su chi non è in grado di gestire il gioco. Il 2017 viene da molti indicato come il momento culmine di tale deformata visione: il disturbo da gioco d’azzardo entra ufficialmente nell’ambito dei Lea (come già stabilito nell’art. 5 del decreto legge 158/2012), come da decreto pubblicato in Gazzetta il 18 Marzo. Da qui in poi, una parte delle istituzioni e molta dell’opinione pubblica (specialmente tra i non giocatori) vivono il gioco tutto come un autentico problema sociale, amplificandone emotivamente i numeri, le dimensioni e dunque portando a facili strumentalizzazioni della questione”.

“Da ciò deriva che il focus attenzionale si sia spostato dall’effettivo oggetto di interesse – ossia il giocatore affetto da GAP – al fenomeno generico del gioco, che è di per sé oggetto neutro e spesso gestibile in modo aproblematico. La spinta normativa, conseguentemente, non si è concentrata sulla capacità di protezione, recupero e riabilitazione di questo genere di giocatore (che, lo si ricorda, rappresenta attualmente una minoranza della totalità dei giocatori), bensì su una sistematica lotta la gioco, con conseguenze inefficaci o addirittura negative, spesso proprio per quei giocatori che si intendeva proteggere”.

“Questo tipo di approccio al problema ha portato come conseguenza inevitabile di “stroncare l’offerta di gioco in quanto tale”: …“allontanare” l’offerta di gioco tende a disinibire il giocatore sociale, più che quello che ha già sviluppato una relazione problematica o patologica con il gioco; osteggiare, nel tessuto sociale cittadino, il gioco lecito, crea delle aree grigie facilmente colonizzabili dall’illegalità (“dove non c’è gioco legale arriva il gioco illegale”); depauperare il territorio dell’offerta di gioco fisica, può dirottare il giocatore verso forme di gioco online, più difficilmente controllabili e più pericolose dal punto di vista del monitoraggio”. Fenomeno che puntualmente si è verificato in tutto il corso della pandemia”.

“Ad analoghe conclusioni erano arrivati i magistrati della Corte dei Conti, che auspicano che venga riconosciuto il ruolo economico dell’intero comparto, riconoscendogli una rilevante importanza in termini di occupazione, sviluppo tecnologico ecc. ecc. e non solo perché assicura allo Stato consistenti entrate, varando una legislazione che riesca a contemperare i confliggenti interessi pubblici, tesi al contrasto del disturbo da gioco d’azzardo ed al gioco illegale, tutelando altresì sia gli interessi dei conti pubblici sia le esigenze di un’industria, che vede coinvolte numerose aziende che danno occupazione a centinaia di migliaia di addetti, contribuiscono alla ricchezza nazionale, partecipano attivamente al processo di innovazione del nostro apparato tecnologico. E nello stesso tempo presiedono e garantiscono l’ordine e la salute pubblici”.

“Per questo il tema necessita di organiche soluzioni che passino anche attraverso un concreto e proficuo dialogo tra soggetti pubblici e associazioni delle imprese di categoria, per rendere il mercato maggiormente regolato ma anche di tipo concorrenziale. E’ del resto quel bilanciamento tra vari interessi ed esigenze che andiamo auspicando da anni”.

 

 

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