“La suddivisione di ruoli fra Stato e Regioni è sempre il punto nevralgico di qualsiasi tentativo di accordo anche per la cosiddetta riforma o riordino che dir si voglia. Perché non ci può essere una gara che abbia successo, non ci può essere un riordino, se non si fa chiarezza su quelli che sono i ruoli degli enti locali rispetto allo Stato centrale”.
Paolo Leone è avvocato cassazionista, cresciuto in una famiglia di giuristi. Lo Studio legale Leone è stato fondato a Napoli nel 1905 dal nonno Mauro. Numerose le esperienze internazionali, come quella maturata con la Chase Manhattan Bank per la quale si è occupato di corporate finance. Da più di 10 anni si occupa spesso di gaming e insegna Diritto pubblico di legislazione del gioco all’Università di Salerno.
La sua prima iniziativa sarà uno studio comparato tra la normativa italiana sul gioco pubblico e le legislazioni straniere. Il Centro studi gioco pubblico è di fatto un’associazione della quale fanno parte, tra gli altri, un ex direttore dei Giochi ai Monopoli, Roberto Fanelli; Armando Iaccarino e Pietro Ferrara, anche loro ex dirigenti dell’ente regolatore, Vitaliano Casalone, con un passato in Sogei e nell’allora Aams. Presidente dell’associazione è Paolo Leone, avvocato tra i più noti della capitale e con un’esperienza specifica ultradecennale nel settore dei giochi.
Del vostro centro studi, a poco più di un anno dalla fondazione, non si trovano molte notizie. Una scelta di basso profilo?
“Inizialmente sì perché non volevamo essere visti come in contrapposizione con le associazioni delle varie categorie. Così come abbiamo scelto di essere inizialmente in pochi membri dell’associazione perché vogliamo capire bene quale sarà il prossimo passaggio legislativo e anche di Governo. E poi vogliamo capire bene come sarà affrontato il nodo delle gare per evitare di prendere posizioni partigiane”.
Indipendenti anche economicamente?
“Siamo partiti con le nostre forze e quindi è chiaro che non possiamo bruciare le tappe. Però da qui a un anno faremo un convegno. Stiamo cercando il modo migliore per non essere di parte. Si sta lavorando anche sull’ipotesi di analizzare bene questa suddivisione di ruoli fra Stato e Regioni, che è sempre il punto nevralgico di qualsiasi tentativo di accordo anche per la cosiddetta, riforma o riordino che dir si voglia. Perché non ci può essere una gara che abbia successo, non ci può essere un riordino se non si fa chiarezza su quelli che sono i ruoli degli enti locali rispetto allo Stato centrale.
Questo è il vero tema che nessuno ha il coraggio di affrontare di petto. Per quanto il gioco possa essere stato smarcato da una serie di pregiudizi, regna ancora un certo sospetto nei confronti del settore. Nonostante quello che tutti sappiamo, quello che genera alle casse dello Stato quotidianamente e anche quello che restituisce in vincite a chi si avvicina al mondo del gioco”.
Quando lei dice di volere evitare la partigianeria, a che cosa si riferisce? Che non volete prendere le parti dell’industria del gioco, rispetto a chi la contrasta per principio? O pensa alle contrapposizioni interne al settore del gioco, come le slot contro le scommesse, l’online contro il fisico e così via?
“Quest’ultima. Non vogliamo essere i paladini dell’online, per esempio, oppure delle scommesse e via dicendo. Adesso vogliamo portare avanti uno studio comparativo fra i vari sistemi degli altri Paesi e quello italiano”.
Ci sono Paesi che hanno regolamentato andando perfino in una direzione più severa dell’Italia. Per esempio il Regno Unito, che era il paradiso del liberismo anche nel gaming.
“Io non conosco le ragioni socio politiche di questo cambio di rotta da parte della Gran Bretagna. Debbo ritenere che anche lì succede che se il Governo la pensa in modo A, qualcuno cerca di spingere in modo B. La politica britannica è cambiata molto dai tempi di Churchill Insomma. Anche nella qualità dei protagonisti diciamo. Hanno avuto degli ottimi esponenti, ma oggi non esprimono il meglio di sé stessi. Devo dire che noi, nonostante tutte le nostre critiche nei confronti della pubblica amministrazione, abbiamo creato una struttura come i Monopoli è stata una struttura sempre molto efficiente.
Può piacere o non piacere quello che ha fatto, però è una struttura efficiente. Ed è stata un esempio anche per gli altri Paesi. Perché all’estero una regolamentazione era molto… empirica. Poi hanno cominciato a strutturarsi anche sul nostro esempio. È successo in Francia, per dirne una”.
Abbiamo detto prima che ci sono tante associazioni e non mancano le iniziative di raccolta dati e indagini sul campo. Ma poi, davanti a dati e a cifre, alla fine le decisioni si prendono sulla base delle emozioni.
“Diciamo che in questo settore, i passaggi non sono mai passaggi diretti, anche perché devono seguire una certa tecnica legislativa abbastanza complicata. Bisogna sempre andare al vaglio dei vari uffici legislativi, dei vari uffici studi, sottoposti ai pareri del Consiglio di Stato, della Ragioneria Generale dello Stato. Insomma c’è tutto un complesso di enti statali e politici che devono dire la loro. Quindi, l’indirizzo politico è importante ma perché sia efficace ci vogliono prese di posizione abbastanza forti che finora non ci sono state. A parte il periodo oscurantista dei 5 Stelle, un vero proibizionismo, finora non si è fatto del danno ma non si è fatto nemmeno del bene. È stata una posizione attendista”.
Le ultime elezioni avevano lasciato intravedere un cambio. Quello che sta succedendo, però, sembra comunque ancora molto balbettante. Il riordino, per esempio, si è limitato all’online ed è stato rimandato il gioco fisico.
“Se entriamo nel campo delle valutazioni politiche, non è che si conoscano le posizioni di tutti. Non tutti si scoprono perché comunque è un settore che in passato è stato molto criticato, molto criminalizzato con campagne di stampa assurde. Il politico, chiunque esso sia, ha sempre un po’ di timore. Però questo Governo si è comportato molto bene lasciando fare al legislatore il quale ha messo in piedi una legge delega per il riordino. Quindi il legislatore un indirizzo positivo l’ha dato. È chiaro che poi dagli indirizzi di carattere generale a diventare operativi in Italia passano anni”.
Quali sono gli interlocutori del Centro Studi: politici, media, corpi intermedi?
“Tutti gli operatori. E chiaramente le istituzioni. Una delle proposte concrete che io ho fatto è quella di creare una commissione per un Codice del gioco. Perché per me il problema si risolve quando le linee guida, cioè le normative, sono in qualche modo codificate. Per “codificate” intendo un insieme di regole e di norme che siano organizzate in modo sistematico. Quelli che coprono tutte le materie che riguardano quel settore. Che nel caso del nostro settore sono tante perché si va dalla legislazione amministrativa quella penale a quella fiscale, soprattutto, e via dicendo. Ci vorrebbe un grande raccoglitore che io chiamo codice”.
Come il “codice della strada”? Ma non è il progetto di riordino?
“Si parla di ‘riordino’ ma la parola ‘codice’ non viene menzionata. È un problema di linguaggio. Ma quando si semplifica il linguaggio si semplifica anche la sostanza che sta sotto a tutto. È un grande lavoro da fare, ma in Italia siamo stati capaci di fare il Codice della Navigazione: siamo stati i primi al mondo, nel 1942, a fare un codice della navigazione marittima e aerea che non esisteva in alcun Paese”.
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