24 Novembre 2024 - 19:54

Addizionale apparecchi: la contromossa del Governo per il 2015 è legittima?

Tra le tante brutte notizie che abbiamo letto nella nuova stesura degli articoli dedicati ai giochi nell’ambito della Stabilità 2016, sempre e solo per quel che riguarda gli apparecchi (inciso

14 Dicembre 2015

Tra le tante brutte notizie che abbiamo letto nella nuova stesura degli articoli dedicati ai giochi nell’ambito della Stabilità 2016, sempre e solo per quel che riguarda gli apparecchi (inciso superfluo, ma pur sempre da ribadire), c’è anche quella dell’articolo 525-ter, che rileggiamo integralmente.

 

Il comma 649 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, si interpreta nel senso che la riduzione su base annua delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, si applica a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015.

 

Mentre sul versante della legittimità della cosiddetta addizionale introdotta l’anno scorso, il Governo si è ormai rassegnato ad attendere la pronuncia di illegittimità che ne darà la Corte Costituzionale, tanto da aver previsto un inusitato aumento del Preu anche al fine di recuperare il mezzo miliardo annuo messo in preventivo, mai e poi mai è intenzionato a perdere anche un solo centesimo dei 500 milioni preventivati per l’anno in corso.

 

Ebbene, rilevato che una delle contestazioni mosse dal Tar al famigerato comma 649 riguardava il mancato rispetto principio di proporzionalità, a Palazzo Chigi hanno escogitato una contromossa che appare sì furba ma non del tutto convincente: introdurre una norma interpretativa ad effetto retroattivo, per la quale il calcolo procapite dell’addizionale deve essere effettuato non più sulla base del numero di apparecchi autorizzati all’esercizio, bensì “in misura proporzionale alla partecipazione (dell’operatore) alla distribuzione del compenso; in una parola, si terrà conto del coin-in.

 

Che così vada meglio, sul piano meramente concettuale, non vi è dubbio, anche perché in tal modo si abbatte l’ingiustizia di esigere il medesimo contributo ad operatori che, per diversa collocazione geografica o per altre cause facilmente individuabili, hanno ottenuto risultati ben diversi tra loro sul piano della raccolta.

Però, ci chiediamo in primo luogo: per gli sventurati che hanno già pagato tutto o quasi, si profila la beffa che il ricalcolo possa ulteriormente penalizzarli? Sarebbe un paradosso inaccettabile! Di converso, chi ha versato in eccesso, avrà diritto a rimborso, o quantomeno a una compensazione? Figuriamoci!

 

Intanto, è necessario riflettere sulla natura tributaria del balzello. Già considerarlo una addizionale in senso stretto non è corretto, perché esso non si aggiunge ad un tributo preesistente – vedi il Preu, da cui è totalmente svincolato, e non ha avuto carattere straordinario. Né ci sembra calzante considerarlo una sovrimposta, che è sì un tributo autonomo, ma anch’esso va ad aggiungersi alla base imponibile di un’altra imposta; ovvero, consiste in un’aliquota applicata all’imponibile dell’imposta ordinaria.

 

Oltre tutto, nel dettato del comma 649 non solo non si ravvisano situazioni di particolare urgenza – che sono appunto necessarie per giustificare l’introduzione di una addizionale straordinaria – (infatti l’obiettivo era genericamente quello del “miglioramento degli obiettivi di finanza pubblica”, a cui di fatto concorre qualsiasi intervento normativo a carattere tributario). Ma il guaio maggiore è che esso era stato concepito “in anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell’ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell’articolo 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23”, vale a dire la famosa delega fiscale che poi non avrebbe più visto la luce.

 

Come si fa, dunque, a validare una non meglio identificabile “addizionale”che era nata in funzione di una norma mai emanata?

Viene da pensare che sia stato un astuto artifizio quello di configurare quei 500 milioni come una “riduzione di compensi”. A memoria non abbiamo esempi analoghi, ma così agendo il legislatore ha maldestramente mascherato l’imbarazzo incontrato nel dare un sostegno giuridico al balzello in oggetto, tanto da definirlo, asetticamente, una “somma”.

 

A prescindere da questo, il vero dramma è che il nostro ordinamento non ha ancora chiarito, anzi, mantiene volutamente nebulosi, due principi di base: la non applicabilità (o meno) di una doppia imposizione sul medesimo presupposto di fatto; l’esistenza (o meno) di un limite massimo per l’applicazione dell’imposta.

Le tesi dottrinali a favore dei due presupposti si vanno via via sgretolando – soprattutto la seconda sembra proprio non sussistere – a tutto vantaggio dello Stato, che in materia tributaria continua a fare il bello e il cattivo tempo, dovendo rispettare soltanto i principi, molto generici, dettati dalla Costituzione.

 

Andiamo oltre. E’ davvero convinto il Governo che in tal modo potrà superare anche la pregiudiziale posta dal Tar riferendosi all’art. 3 della Costituzione, il cui fine è quello di evitare che “una generalizzata esigenza di contenimento della finanza pubblica possa risultare, sempre e comunque, e quasi pregiudizialmente, legittimata a determinare la compromissione di diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di interessi, sia individuali, sia anche collettivi”?

E ci sarebbe dell’altro, ma è inutile andare oltre, perché la pronuncia del Tribunale amministrativo è ormai ben conosciuta da tutti.

In definitiva, la morale è: sono tanti e di più i motivi per cui il Tar ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale, che non il puro e semplice mancato rispetto del principio di proporzionalità da parte del comma 649.

 

Per quanto attiene alla retroattività del 525-ter, bisogna chiedersi se esso sia realmente una norma di natura interpretativa – perché in tal caso sarebbe inattaccabile, o per meglio dire, non sarebbe in contrasto con i principi costituzionali – o se non vada, come noi riteniamo, a modificare retroattivamente il contenuto del comma 649, e qui ci sarebbe molto da discutere.

Insomma, in parole povere, dire che il comma 649 “si interpreta” è una presa in giro bella e buona, in quando la lettera b) dice espressamente che i concessionari versano annualmente i 500 milioni “ciascuno in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014”.

Che è un po’ come affermare, scusateci la battuta impropria: una fantomatica (e impossibile) la legge che da ieri ci ha obbligato ad andare tutti in giro in bicicletta, oggi viene interpretata da un’altra legge che intende per bicicletta, non anche, ma solo il motorino!

 

Pure qui, però, c’è il famoso “arcano”. Non sarebbe certo la prima volta che il legislatore faccia ricorso alla cosiddetta norma pseudo-interpretativa, che è sostanzialmente innovativa, ma qualificata come interpretativa al solo fine di conferirle efficacia retroattiva, nonostante non abbia nulla di interpretativo. Purtroppo, pure su questo tema la Costituzione è lacunosa e la Corte Costituzionale nei singoli casi ha assunto, inevitabilmente, posizioni dalle quali non è possibile evincere una massima di valore assoluto. Tra l’altro, visto che nel 649 e nell’emanando 525-ter vi è identità tra l’autore della legge interpretata e l’autore della legge interpretante, la cosiddetta “interpretazione autentica” – che a dispetto dell’etichetta è un meccanismo normativo ed è fonte del diritto – sarebbe legittimata. Contro ogni logica, ci permettiamo di aggiungere, perché laddove fossimo in presenza di una norma troppo stringata, scritta male, oggetto di interpretazioni difformi, ben venga. Ma tutto si può imputare al 649 che non di essere poco chiaro, scritto male o suscettibile di svariate interpretazioni.

 

Le conclusioni traetele voi, e non abbiate paura di essere troppo severi…

 

 

Marco Cerigioni – PressGiochi

×