Pesante il grido di allarme lanciato da Domenico Distante, Presidente di Sapar – l’Associazione Nazionale Servizi Apparecchi per Pubbliche Autorizzazioni Ricreative che rappresenta 5.000 piccole e medie imprese di gestione
Pesante il grido di allarme lanciato da Domenico Distante, Presidente di Sapar – l’Associazione Nazionale Servizi Apparecchi per Pubbliche Autorizzazioni Ricreative che rappresenta 5.000 piccole e medie imprese di gestione degli apparecchi da intrattenimento, tutte con sede legale in Italia, che generano un indotto di circa 150.000 lavoratori. I gestori, infatti, sono coloro che curano la funzionalità degli apparecchi e che materialmente raccolgono e versano con cadenza quindicinale il PREU – il Prelievo Unico fiscale il cui valore è determinato dallo Stato.
“Vogliamo denunciare la lucida volontà di distruggere una parte importante della micro imprenditorialità italiana – spiega Distante -. Ci ritroviamo, a distanza di otto mesi dall’ultima conferenza stampa Sapar, a doverci ancora una volta difendere da soli, a denunciare la gravità della crisi occupazionale che stiamo affrontando, senza che il governo si curi minimamente delle sorti di 150.000 lavoratori. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma qui di democratico non c’è nulla visto che per alcune attività industriali si smuovono ministri di tutte le correnti, magari per salvare il sacrosanto posto di lavoro di 10 persone, mentre dei nostri dipendenti, considerati alla stregua dei criminali, nessuno muove un dito, siamo arrivati al punto tale che ormai ai nostri dipendenti non vengono concessi nemmeno i mutui dalle banche per l’acquisto della prima casa, perché il nostro è considerato un settore a rischio. Le banche stanno chiudendo i conti correnti, non solo alle aziende, ma anche ai nostri dipendenti: e allora io mi chiedo, come si comporterebbero altri settori industriali se venisse usata loro la stessa condotta che gli istituti di credito stanno utilizzando nei nostri confronti? In che misura interverrebbero i nostri Ministri? e la Banca d’Italia?
Se siamo un settore a rischio, lo siamo solo a livello di disoccupazione, se non si interverrà subito: e il governo si ritroverà altre 150.000 persone da mantenere con il reddito di cittadinanza, che però guarda caso, è stato finanziato con i soldi che noi gestori abbiamo versato allo Stato tramite prelievo erariale unico.
La situazione è al collasso, e forse l’unico modo per farci ascoltare seriamente dal governo è quello di non far arrivare più benzina nelle casse dello Stato. Forse allora anche il Ministro Di Maio capirà, contrariamente a quanto continua ancora a dichiarare, che noi siamo il settore più tassato d’Europa proprio perché non facciamo parte di alcuna lobby dell’azzardo.
Forse, quando verrà meno la copertura economica del reddito di cittadinanza, con la quale il Ministro ha costruito il suo consenso popolare, allora forse capirà chi siamo e che esistiamo.
Invito le associazioni di categoria, compresi i concessionari, a fare fronte comune e dare un segnale forte al governo, spegnendo tutti gli apparecchi, perché il tempo che ci rimane è davvero poco. E il fallimento sarà di tutti”.
Il presidente Sapar ha quindi ricordato: “Il continuo cambio di regolamentazione che abbiamo subito e i 4 aumenti di Prelievo Erariale sugli apparecchi da intrattenimento solo nell’ultimo anno, con una tassazione effettiva che ha raggiunto il 71,5%, rendono impossibile qualsiasi programmazione aziendale a medio termine, figuriamoci nel lungo periodo. Non possiamo continuare ad essere considerati il bancomat dello Stato”.
“In ogni manovra finanziaria il prelievo sul gioco legale è l’escamotage per raggiungere l’equilibrio – spiega l’On. Mauro D’Attis, membro della Commissione Bilancio della Camera -. Molti miei Colleghi però ancora non hanno capito di cosa stiamo parlando; autorevoli rappresentanti del Governo non hanno neppure letto le relazioni collegate a questa attività. È folle immaginare di perseguitare un settore pubblico vessandolo ulteriormente e sapendo già di creare una crisi nella filiera. Ci sarà da fare battaglia in manovra, come sempre fatto garantiremo l’equità nell’imposizione fiscale: non possiamo favorire la crisi della filiera perché in questo modo ci si assume la consapevole responsabilità dell’aumento dell’illegalità”.
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