24 Novembre 2024 - 22:49

Azzardo di Stato e limiti orari. Di Marilisa Bombi

Compie vent’anni la normativa sul gioco con vincita in denaro; portava la firma dei deputati Gasparri, Rositani, La Russa, D’Onofrio, Cardiello, Mascone, Tagini, Del Noce e Pezzoli, la proposta di

11 Agosto 2015

Compie vent’anni la normativa sul gioco con vincita in denaro; portava la firma dei deputati Gasparri, Rositani, La Russa, D’Onofrio, Cardiello, Mascone, Tagini, Del Noce e Pezzoli, la proposta di legge presentata il 15 aprile 1994 che attraverso la modifica dell’art. 110 del Tulps ha rivoluzionato il concetto stesso del trattenimento.

 

Gli intenti – scrive Marilisa Bombi in un approfondimento pubblicato su Dirittoegiustizia.it – potevano essere lodevoli. Come risulta dai lavori parlamentari: «scopo delle modifiche è di rendere giustizia ad un settore troppo dimenticato e di consentire che, oltre alla tipologia universalmente riconosciuta di apparecchi da trattenimento (videogiochi, flipper, elettrogrammofoni) il settore possa finalmente accedere all’utilizzo di questi apparecchi che consentano, come di fatto già consentono nei luna park e nei parchi attrezzati (vedi l. n. 337/1968 e decreto interministeriale 23 aprile 1969), la vincita di piccoli premi. Se ne ricaverebbe, continuava la relazione alla proposta di legge, un beneficio enorme sotto il profilo morale: le modestissime vincite in natura scoraggerebbero la pratica del gioco d’azzardo in quanto la gratificazione viene raggiunta appunto mediante il premio consentito; premio in natura che certamente devierebbe dal premio in denaro, con beneficio sia dei gestori che dei fruitori.

 

Il CdS conferma l’ordinanza di Salerno su limiti orari a sale giochi ed esercizi con slot machine

 

La vincita, in sostanza, appaga; quando essa rimane circoscritta nel modo da noi indicato, non è socialmente pericolosa ma soddisfa semplicemente quella parte di vanità che è in ogni essere umano». Il d.d.l., nella seduta dell’11 luglio 1995, venne approvato all’unanimità dalla X Commissione della Camera dei Deputati. Il 2 agosto dello stesso anno, il testo licenziato fu preso in esame dalla corrispondente Commissione del Senato che dopo la pausa estiva lo approvò nella seduta del 13 settembre 1995 non senza aver attentamente valutato i rischi che avrebbero potuto conseguire alla diffusione di questi apparecchi. Oggi, a distanza di vent’anni, si è davanti ad un tira e molla tra i vari poteri e autorità dello Stato ma mentre a livello parlamentare si fa sempre più forte il pressing nei confronti del Governo per una azione incisiva al fine di contrastare la massiccia diffusione del gioco con vincita in denaro, a livello locale i Sindaci sono sempre più in prima linea per porre un freno, se non all’apertura di nuove sale giochi, che risulta praticamente impossibile laddove le regioni non hanno introdotto specifici vincoli, perlomeno a porre un limite alla possibilità di gioco. La questione relativa ai limiti orari per il gioco è stata presa in esame dal Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n.3558 depositata il 1° agosto che ha respinto l’appello di Lottomatica, uno dei concessionari che operano in Italia.

 

Una normativa complessa. Il quadro di riferimento normativo è stato un anno fa delineato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 220/2014, intervento che si è pronunciato in ordine a tre ordinanze di rimessione del TAR Piemonte, con le quali, tra l’altro, era stata sollevata, in riferimento agli artt. 32 e 118 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 7, d.lgs. n. 267/2000, nella parte in cui tale disposizione non prevede la competenza dei Comuni ad adottare provvedimenti per limitare l’uso degli apparecchi da gioco di cui al comma 6 dell’art. 110 r.d. n. 773/1931 (TULPS), negli esercizi autorizzati ai sensi dell’art. 86 dello stesso r.d., ovvero bar e ristoranti.

 

La Corte aveva dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità postale non per escludere la sussistenza di tale potere in base al tenore letterale di tale statuizione normativa, ma rilevando invece «la non adeguata utilizzazione dei poteri interpretativi che la legge riconosce al giudice rimettente e la mancata esplorazione di diverse, pur praticabili, soluzioni ermeneutiche». Al riguardo, la Corte aveva evidenziato l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa, sia di merito che di legittimità secondo cui l’art. 50, comma 7, d.lgs. n. 267/2000 è una statuizione di carattere generale, nel cui ambito non vi sono ragioni preclusive a ritenere rientrante anche il potere sindacale di determinazione degli orari delle sale da gioco o di accensione e spegnimento degli apparecchi durante l’orario di apertura degli esercizi, in cui i medesimi sono installati.

Anzi la Corte Costituzionale aveva riconosciuto una maggiore estensione a tale potere anche in ordine alle limitazioni della distribuzione sul territorio delle sale da gioco attraverso l’imposizione di distanze minime rispetto ai cosiddetti luoghi sensibili, rilevando la sua riconducibilità alla potestà degli enti locali in materia di pianificazione e governo del territorio, rispetto alla quale la Costituzione e la legge ordinaria conferiscono al Comune le relative funzioni.

 

Urbanistica in senso lato. A tal fine aveva richiamato la giurisprudenza amministrativa (CdS n. 2710/2012), secondo cui l’esercizio del potere di pianificazione non può essere inteso solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma deve essere ricostruito come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo, che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti. A fronte di un tale ampliamento di prospettiva, a ben maggior ragione non può disconoscersi quindi la sussistenza del potere sindacale in un ambito più limitato quale quello del gioco, in cui oggetto del giudizio sono semplicemente gli orari di apertura delle sale da gioco o di accensione e spegnimento degli apparecchi durante l’orario di apertura degli esercizi, in cui i medesimi sono installati.

 

Il potere del Sindaco. Il Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 3778/15 non si è discostato dalla linea interpretativa della Corte, seppur con alcune rilevanti precisazioni connesse al fatto che in tali ipotesi non si è in presenza di un’ordinanza contingibile ed urgente peraltro respingendo la tesi di Lottomatica secondo cui non sussisterebbe una competenza sindacale, trattandosi di materia di competenza statale e, nel caso specifico, del Questore ai sensi dell’art. 88 TULPS e dell’art. 2, comma 2 quater d.l. n. 40/2010, convertito con l. n.73/2010, in quanto la competenza del Questore ha ad oggetto rilevanti aspetti di pubblica sicurezza, mentre quella del Sindaco concerne in senso lato gli interessi della comunità locale e quindi le rispettive competenze operano su piani diversi e con è configurabile alcuna violazione dell’art. 117, comma 2, lett. h) Cost.. Tale conclusione ha trovato ulteriore conferma nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 56/2015, che proprio in tema di rapporti di concessione di servizio pubblico, ha riconosciuto connaturata al rapporto la possibilità di un intervento pubblico modificativo delle condizioni originarie «ancor più, allorché si verta in un ambito così delicato come quello dei giochi pubblici, nel quale i valori e gli interessi coinvolti appaiono meritevoli di speciale e continua attenzione da parte del legislatore. Proprio in ragione dell’esigenza di garantire un livello di tutela dei consumatori particolarmente elevato e di padroneggiare i rischi connessi a questo settore, la giurisprudenza europea ha ritenuto legittime restrizioni all’attività (anche contrattuale) di organizzazione e gestione dei giochi pubblici affidati in concessione, purché ispirate da motivi imperativi di interesse generale, quali sono certamente quelli evocati dall’art. 1, comma 77, della legge n. 220 del 2010 (contrasto della diffusione del gioco irregolare o illegale in Italia; tutela della sicurezza, dell’ordine pubblico e dei consumatori, specie minori d’età; lotta contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore), e a condizione che esse siano proporzionate (sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, 30 giugno 2011, in causa C-212/08)».

 

Sale giochi off limits durante l’orario delle lezioni. La stessa giurisprudenza della medesima Sezione (sentenza n. 3271/14), peraltro, ha riconosciuto che il regime di liberalizzazione degli orari dei pubblici esercizi, applicabile indistintamente agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, non preclude all’amministrazione comunale la possibilità di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività, per comprovate esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica; con la precisazione, tuttavia, che ciò è consentito dal legislatore solo in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati quali quelli richiamati dall’art. 31, comma 2, d.l. n. 201/2011, convertito in l. n. 214/2011 (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute).

La sez. V ha respinto anche il motivo di ricorso per violazione dell’art. 41 Cost. per lesione della libertà costituzionale di iniziativa economica ed imprenditoriale, ribadita ed ampliata anche con il d.l. n. 138/2011, convertito in l. n. 148/2011 e, sotto un diverso profilo, quelle in riferimento all’asserita competenza esclusiva statale in materia di «tutela della concorrenza» (art. 117, comma 2, lett. e, Cost.).

In realtà, ha precisato il Collegio, la formulazione dell’art. 50, comma 7, d.lgs. n. 267/2000, preordinato ad «armonizzare l’espletamento dei servizi con le esigenze complessive e generali degli utenti» consente un intervento ad ampio spettro da parte del Sindaco anche in ordine alla disciplina degli orari di apertura delle sale da gioco a tutela delle fasce più deboli della popolazione, ivi compresi in primis gli adolescenti, in funzione di prevenzione della c.d. ludopatia, i quali, anche se non espressamente indicati negli impugnati provvedimenti, sono i destinatari principali tutelati, ed il Collegio ha recepito e fatto proprio il suggerimento della Corte Costituzionale di un’interpretazione estensiva per una «adeguata utilizzazione dei poteri interpretativi che la legge riconosce al giudice» – dalla disamina dell’articolazione dell’orario di apertura delle sale giochi, ripartito in due categorie, periodo scolastico e non scolastico e con la fissazione di un orario di apertura più ristretto a partire dalle ore 13 durante l’anno scolastico con l’evidente e condivisibile finalità di arginare il fenomeno dell’evasione scolastica e di tutelare concretamente la salute delle fasce più deboli o più esposte della popolazione locale, cui sono tenuti anche i Comuni, ai sensi del combinato disposto dell’art. 50, comma 7, d.lgs. n. 267/2000, quale interpretato dalla sentenza n. 220/2014 della Consulta.

 

L’intervento facoltativo del Consiglio comunale. Nel caso specifico, il Consiglio comunale non aveva espresso alcun atto di indirizzo; ma, a tale proposito, la sezione ha ricordato il riparto di competenze nell’ambito dell’amministrazione comunale tra i vari organi e nel caso di specie tra sindaco e consiglio comunale, che –a differenza della Giunta- non è presieduto dal Sindaco. A fronte del comportamento omissivo dell’organo consiliare, afferma la sentenza, non può condividersi l’assunto di Lottomatica, secondo cui tale carenza avrebbe precluso al Sindaco di provvedere in subiecta materia. In realtà, l’approvazione di indirizzi espressi da parte del consiglio comunale avrebbe determinato soltanto una limitazione dell’ambito di discrezionalità sindacale in ordine all’adozione di tale tipologia di provvedimenti, dovendo tener conto anche delle indicazioni fornite dall’organo collegiale. Invece, la loro mancata approvazione, lungi dal paralizzare l’attività del Sindaco, titolare del relativo potere di ordinanza, evenienza tale da configurare una palese violazione del principio costituzionale ex art. 97 Cost. di buon andamento della pubblica amministrazione, ha semplicemente comportato per l’organo monocratico un legittimo e più ampio esercizio della propria discrezionalità nell’individuazione delle misure ritenute più efficaci per il perseguimento delle suindicate finalità senza la fissazione di alcun vincolo da parte del Consiglio.

Questo ampliamento comunque era soggetto al limite, rappresentato dalla proporzionalità del pregiudizio arrecato all’imprenditore, tenuto anche conto delle statuizioni di liberalizzazione ex art. 31 d.l. n. 201/2011, convertito nella l. n. 214/2011 (c.d. decreto “salva Italia”), che ha riformato l’art. 3 d.l. n. 223/2006, rispetto alla finalità di tutela degli interesse collettivi salvaguardati con i provvedimenti impugnati, estensivamente interpretati per le ragioni sopraevidenziate.

 

Tali interessi, la cui individuazione è stata ampliata e precisata con la seconda ordinanza, avente un carattere integrativo rispetto alla prima ordinanza sospesa dal giudice di primo grado, sono finalizzati a limitare l’afflusso notevole di utenza in prossimità dei locali di gioco-scommesse con conseguenti problemi anche in ordine al traffico ed alla viabilità ed a consentire una più ordinata frequentazione del pubblico in relazione al calendario scolastico. Diversa sarebbe stata la situazione se il consiglio comunale avesse fornito degli indirizzi, disattesi dal sindaco ed in tal caso sarebbe stato necessario accertare le conseguenze della violazione delle statuizioni consiliari da parte del Sindaco e la loro incidenza in ordine alla legittimità degli atti eventualmente adottati.

 

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