23 Novembre 2024 - 23:50

Tar Emilia Romagna: la legge sulle distanze dal gioco d’azzardo non è retroattiva

Rigettato dal Tar Emilia Romagna il ricorso di alcune sale giochi cui il Comune di Parma aveva ordinato la cessazione dell’attività in applicazione a quanto disposto dalla legge regionale sul

10 Febbraio 2022

Rigettato dal Tar Emilia Romagna il ricorso di alcune sale giochi cui il Comune di Parma aveva ordinato la cessazione dell’attività in applicazione a quanto disposto dalla legge regionale sul gioco (L.R 5/2013 come modificata dall’art. 48 L.R. 18/16)” e dalle deliberazioni comunali di mappatura dei c.d. luoghi sensibili presenti sul territorio comunale, con successiva elencazione degli esercizi posti a distanza inferiore di 500 metri da essi.

Come ha chiarito il giudice intervenendo sulla questione ‘distanziometro’: “il principio di irretroattività ha valore assoluto solo in ambito penale, attesa l’importanza ed inderogabilità degli interessi coinvolti, mentre in materia civile tale principio non ha mai assunto, nel nostro ordinamento, la dignità di norma costituzionale.

Secondo il Tar, infatti, né la legge regionale né le delibere comunali sarebbero retroattive.

Si legge: “In ogni caso, né la L.R. n. 5 del 2013, né le successive Determinazioni regionali attuative (in particolare la Deliberazione di G.R. n. 831/2017), possono dirsi ad avviso del Collegio retroattive.

Invero, secondo la Corte di Cassazione, una norma può ritenersi retroattiva “quando la nuova disciplina disconosca gli effetti già esauriti del fatto passato e tolga efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di essi; per contro la nuova legge è priva di carattere retroattivo e deve essere applicata ai fatti, agli status ed alle situazioni esistenti o sopravvenuti alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto disciplinato dalla legge precedente, ove essi, ai fini della disciplina posta dalla nuova legge, debbano essere considerati in se stessi, indipendentemente dal loro collegamento col fatto generatore, in modo che resti escluso che attraverso tale applicazione sia modificata la disciplina del fatto medesimo: il che si verifica mediante la sopravvenuta introduzione di nuovi presupposti, condizioni o facoltà per il riconoscimento di diritti od obblighi” (Cass. civ., 29 aprile 1982, n. 2705).

E anche il Tribunale di Bologna, in una fattispecie analoga a quella qui in discussione, ha così concluso: “Sembra evidente che, se, per l’esigenza di contemperare la prevenzione delle ludopatie con la salvaguardia delle attività economiche in essere, la norma sulle distanze minima non è retroattiva (nel senso che non incide sulle autorizzazioni in essere, ma soltanto su quelle richieste successivamente alla sua entrata in vigore) non per questo l’esistenza di un’autorizzazione pregressa giustifica una deroga permanente, che sottragga l’operatore all’applicazione della disciplina regolamentare a tutela della salute, quale che siano le vicende e le ubicazioni future del suo esercizio commerciale. Altrimenti, oltre a vanificare la portata della disciplina di tutela, si determinerebbe nel settore, attraverso la sorta di contingentamento o comunque la forte valorizzazione delle autorizzazioni preesistenti che ne conseguirebbero, una distorsione della concorrenza maggiore di quella che potrebbe essere imputata alle distanze minime (Consiglio di Stato, sez. III, 10 febbraio 2016, n. 579)” (T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. I, n. 703/2020).

Pertanto, i provvedimenti amministrativi che dispongono la decadenza di una preesistente autorizzazione all’esercizio di una attività di gioco lecito, per la sopravvenuta contrarietà della stessa ad una norma entrata in vigore in seguito, riguardando solo il diritto del titolare dell’autorizzazione a mantenere in vita l’esercizio anche dopo l’entrata in vigore della norma ostativa successiva, non possono dirsi retroattivi, né lesivi di un affidamento legittimo tutelabile in favore del privato, prevalendo comunque le esigenze pubblicistiche sottese alla normativa sopravvenuta”.

Per il Tar la norma va applicata anche ai corner:

“Invero, l’art. 1 comma 2 della L.R. n. 5/13, detta così l’ambito di applicazione della normativa regionale: “ai fini della presente legge si intende per sala da gioco un luogo pubblico o aperto al pubblico o un circolo privato in cui siano presenti o comunque accessibili slot machine o videolottery e tutte le forme di gioco lecito previste dalla normativa vigente”, quindi l’attività di raccolta di scommesse, come quella di parte ricorrente, vi ricade senz’altro, anche letteralmente, trattandosi di forma di gioco lecita.

Né può addivenirsi a conclusioni diverse facendosi leva sul c.d. “corner” richiamato dalla ricorrente, atteso che come replicato dalla Regione, tale termine si riferisce ad un esercizio commerciale che ha come attività principale un’attività non connessa con il gioco lecito e/o la raccolta di scommesse (ad esempio un bar o una tabaccheria), ma nella quale viene esercitata in via secondaria anche l’attività lecita di raccolta di scommesse (“corner” sta infatti per l’angolo di quei locali commerciali riservato all’attività secondaria di raccolta scommesse), ipotesi diversa e quindi inconferente rispetto a quella in esame, esercitando la ricorrente in via principale l’attività di raccolta di scommesse sportive.

In ogni caso, questo Collegio condivide quanto già ritenuto dalla prevalente giurisprudenza amministrativa in ordine all’applicabilità del c.d. distanziometro anche ai CTD sanati”.

 

Dal distanziometro, nessun effetto espulsivo:

“Nel caso in esame, valutandosi l’eventuale effetto espulsivo, non solo a livello regionale o provinciale, ma anche strettamente comunale, dalla perizia di parte ricorrente emerge che esistono altri luoghi del territorio comunale in cui è possibile delocalizzazione l’attività della ricorrente nel rispetto del criterio distanziometrico, né possano rilevare a dimostrazione del lamentato effetto espulsivo, le eventuali valutazioni imprenditoriali circa l’economicità dello spostamento (vedi Consiglio di Stato, sez. V, 4-12-2019, n. 8298: “in presenza della astratta possibilità di delocalizzazione in altre aree del territorio comunale, la sua difficile attuazione in concreto, in ragione del fatto che non risultano esistenti locali commerciali liberi, è elemento irrilevante, in quanto non si tratta di una conseguenza imputabile alla misura restrittiva oggetto di contestazione e, dunque, di una barriera all’ingresso di carattere normativo, ma piuttosto di un impedimento meramente fattuale, dipendente dallo stato di fatto dei luoghi. Trattasi nella specie di una situazione non dissimile da quella in cui viene a trovarsi un qualsiasi operatore economico che intenda reperire un locale commerciale idoneo per avviare una nuova attività commerciale e si trovi di fronte ad un panorama immobiliare in cui tutti i locali commerciali sono già occupati, con la sola differenza che in questo caso la cerchia degli immobili disponibili è più ristretta; osservandosi, altresì, che la limitazione prospettata si presenta come temporanea, per essere lo scenario cittadino continuamente mutevole”).

 

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