La Corte di Cassazione torna ad esprimersi sull’applicazione dell’imposta unica sulle scommesse ai soggetti privi di concessione in alcune ordinanze emesse ieri nelle quali accoglie le ragioni dell’Agenzia delle Entrate.
La Corte di Cassazione torna ad esprimersi sull’applicazione dell’imposta unica sulle scommesse ai soggetti privi di concessione in alcune ordinanze emesse ieri nelle quali accoglie le ragioni dell’Agenzia delle Entrate.
Come si legge nella sentenza, riportata in maniera integrale di seguito: “Merita di essere specificamente sottolineato, peraltro, che il quadro normativo pertinente è stato sottoposto all’esame della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso, fornendo chiari elementi per la soluzione degli ulteriori dubbi prospettati col il ricorso stesso.
La Corte costituzionale, con riferimento all’ambito soggettivo dell’imposta, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione dell’art. d. Igs. n. 504/1998 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); ma ha riconosciuto che il legislatore, con l’art. 1, co. 66 legge n. 220/2010, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio ed ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni, svolgendo anch’esse una attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione.
A questo riguardo, la Corte ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia il bookmaker) sia irragionevole. L’attività consiste, infatti, nella raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Entrambi i soggetti partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta ad imposizione.
In particolare, il titolare della ricevitoria, benchè non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.
Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori -che, ai fini tributari, sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente- non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte (v. anche Cass. 27.7.2015 n. 15731), neppure attagliandosi al rapporto tra bookmaker e ricevitore lo schema della solidarietà dipendente, che ricorre, invece, quando uno dei coobbligati, pur non avendo realizzato un fatto indice di capacità contributiva, si trova in una posizione collegata con il fatto imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta estraneo (da ultimo, Cass. n. 26480/2020). Né viola il principio della capacità contributiva la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato.
Ciò in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, quest’ultimo ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera, assolvendo la rivalsa funzione applicativa del principio di capacità contributiva. In forza di tale articolato percorso la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 3 del d. Igs. n. 504 del 1998 e dell’art. 1, co. 66, lett. b), della L. n. 220 del 2010, nella sola parte in cui prevedono che nelle annualità precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, restando esclusa la possibilità, per la già cristallizzata determinazione in quel periodo dell’entità delle commissioni tra ricevitore e bookmaker, di poter procedere alla traslazione dell’imposta.
Per le annualità di imposta precedenti al 2011, dunque, non rispondono le ricevitorie ma solamente i bookmaker, con o senza concessione, in base alla combinazione degli artt. 3 del d. Igs. n. 504/98 e 1, co. 66, lett. a), della L. n. 220/2010, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale. La suddetta ragione di incostituzionalità non è stata ravvisata per i “rapporti successivi al 2011” ), quindi non solo per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma.
In entrambi i casi, invero, la disposizione normativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che di rapporti già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce -e tenendo conto proprio – della scelta normativa di assoggettare attributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. La solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate, ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici sono rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della legge n. 220 del 2010, assume, necessariamente, un valore di conformità ed adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto. – 3. Va rilevato, inoltre, ai fini della territorialità dell’imposizione, che non rileva la conclusione del contratto di scommessa poiché il fatto imponibile è la prestazione di servizio consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore e nella raccolta delle scommesse, che consiste, in relazione a ciascuno scommettitore, nella valida registrazione della scommessa, documentata dalla consegna allo scommettitore della relativa ricevuta (così Cass. n. 15731 del 2013, cit.), attività, queste, tutte svolte in Italia.
Il profilo di censura, del resto, postula solo in astratto la circostanza che l’applicazione della disciplina di determinazione del movimento netto sul quale commisurare l’aliquota della imposta unica anche nel caso di scommettitore privo di concessione, avrebbe determinato l’applicazione dell’aliquota massima che diversamente, ove si fossero considerate anche le scommesse fuori sistema, non sarebbe stata applicata. In realtà, rispetto al criterio di commisurazione dell’aliquota secondo quanto previsto dall’art. 4, co. 1, lett. b), n. 3), d. Igs. n. 504 del 1998, valevole per tutti i soggetti che svolgono l’attività di raccolta delle scommesse, in alcun modo parte ricorrente deduce o allega in ordine al fatto che l’eventuale considerazione delle scommesse “fuori sistema” avrebbe potuto incidere diversamente sulla determinazione dell’imponibile e sull’applicazione dell’aliquota operata dall’amministrazione doganale secondo le prescrizioni di legge.
Le considerazioni difensive appena riassunte non possono trovare accoglimento.
Va premesso, invero, che le imposte sui giochi di azzardo non hanno natura armonizzata, sicchè rileva l’art. 56 del TFUE, la Corte di Giustizia (26 febbraio 2020: causa C-788/18) ha preso diretta e specifica cognizione proprio delle medesime questioni sollevate con il ricorso, ed ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio nazionale, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. , in causa C-788/18), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la Stanleybet Malta, nello Stato membro interessato”
Inoltre, nel settore dei giochi di azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di una armonizzazione unionale della normativa sui giochi di azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24.10.2013, causa C-440/12, punto 47; 8.9.2009, causa C-42/07).
Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nel comma 64 dell’art. 1 legge n. 220 del 2010, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “….l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”.
La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1.12.2011, causa C-253/09, punto 83).
Orbene, la Corte di Giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri. Anzi, come pure ha sottolineato la Corte costituzionale (ancora con la sentenza n. 27/18), a seguire la tesi prospettata da parte resistente si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non avere ottenuto la necessaria concessione….” Né vi è incongruenza, poi, come sostenuto nella memoria di parte, tra i punti 17, 26 e 28 della citata sentenza della Corte di Giustizia.
Col punto 17, in relazione al bookmaker, il giudice unionale si limita a stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro; per poi specificare (punto 24), in concreto, che “….la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”; così concludendo nel medesimo punto 24: “….rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la Stanleybet Malta non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”.
Quanto al Centro Trasmissione Dati, il punto 26 si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il CTD, che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma dell’art. 1, comma 66, lett. b) della L. n. 220/2010, ma ciò non toglie -punto 28- che la situazione del CTD che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro. La diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “…un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per fini criminali e fraudolenti” (Corte giust. 19.12.2018, causa C-375/17, Stanley International Betting STanleybet Malta, punto 66, richiamata al punto 18 della sentenza in causa C-788/18, cit.); e ciò in conformità agli obiettivi esplicitamente perseguiti dal legislatore italiano (art. 1, comma 644, L. n. 220/2010) come puntualmente rimarcato dalla Corte di Giustizia.
Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria. Le considerazioni che precedono spiegano, innanzi tutto, la infondatezza dell’asserita assimilazione della imposizione alle sanzioni, stante l’assenza della ipotizzata finalità afflittiva a ragione della riferibilità della pretesa impositiva ad ordinari meccanismi impositivi; le medesime danno poi conto dell’assenza di caratteri discriminatori e della inesistenza di contrasti all’interno della giurisprudenza di legittimità; parte resistente, infatti, è considerata soggetto passivo d’imposta proprio per avere realizzato, per il tramite dei propri centri di trasmissione dati operanti in Italia, il presupposto dell’imposta de qua; la giurisprudenza penale di questa Corte (Cass. pen., 10.9.2020 n. 25439) ha poi escluso la sussistenza del reato di cui all’art. 4, comma 4bis, legge n. 401/1989 sul rilievo che la ricorrente era stata “illegittimamente esclusa dai bandi di gara attributivi delle concessioni… .e la successiva trasmissione di dette scommesse all’allibratore non possono essere punite ai sensi dell’art. 4, comma 4bis, legge n. 401/1989, dovendosi disapplicare la disciplina penale nazionale per contrasto con la normativa dell’Unione Europea”.
Il riconoscimento della natura non illecita dell’attività svolta da parte resistente non comporta, tuttavia, la sottrazione della stessa dall’ambito della disciplina dell’imposta unica, anzi, postula proprio la realizzazione del presupposto d’imposta, secondo la previsione di cui all’art. 1, comma 66, legge n. 220/2010. 6. Non si ravvisa, poi, la necessità -pure invocata da parte resistente in sede di memoria- di promuovere un nuovo rinvio dinanzi alla Corte di Giustizia, neppure ponendosi una questione di interpretazione della precedente statuizione della Corte, esaustiva e completa, risolvendosi le deduzioni in una mera critica della sentenza resa nella causa C-788/18, che si rivela sterile per le ragioni esplicate, e, per altro, sembra postulare che la Corte di Giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi di azzardo in regime di libera prestazione, per il tramite dei centri di
trasmissione dati mentre la stessa Corte “pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi di azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi di azzardo in regime di libera prestazione per il tramite del CTD in quanto tale (Corte giust., in causa C-375/17, cit., punto 67)
PressGiochi
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