24 Novembre 2024 - 02:24

Il gestore che omette di versare il Preu è colpevole di peculato: arriva la conferma definitiva dalle Sezioni Unite della Cassazione

E’ stata finalmente pubblicata la sentenza con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse nel ritenere colpevole di peculato il gestore di apparecchi da gioco,

17 Febbraio 2021

E’ stata finalmente pubblicata la sentenza con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse nel ritenere colpevole di peculato il gestore di apparecchi da gioco, slot machine e vlt, che omette il versamento del Preu.

Preu slot e reato di peculato. Avv. Urciuoli a PressGiochi: “La decisione della Cassazione fa bene al settore e va a vantaggio di tutti i gestori corretti”

 

Di seguito la sentenza integrale:

La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite è la seguente:

“se l’omesso versamento del prelievo unico erariale (PREU), dovuto sull’importo

delle giocate al netto delle vincite erogate, da parte del “gestore” degli apparecchi

da gioco con vincita in denaro o del “concessionario” per l’attivazione e la

conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito,

costituisca il delitto di peculato”.

  1. Prima di affrontare il tema in oggetto si ritiene utile, nei limiti di quanto di

interesse ai fini della decisione, illustrare sinteticamente la disciplina della tipologia

degli apparecchi da gioco lecito cui è applicato il PREU, un settore relativo

all’ambito di esercizio del monopolio fiscale su giochi e scommesse, destinato a

fornire risorse finanziarie allo Stato, in cui le finalità del controllo pubblico

comprendono il contrasto alla ludopatia, la gestione dei flussi di denaro derivanti

dal gioco, in maggiore parte destinati all’erario, i sistemi di controllo per evitare

frodi ed evasione fiscale.

Nella vicenda sottesa alle condotte oggetto di giudizio viene in rilievo

l’utilizzazione di giochi tipo slot-machine, ovvero quegli apparecchi

“autosufficienti” che, con varie forme di automatismo, interagendo direttamente

con il soggetto scommettitore, consentono la giocata previo inserimento di denaro,

elaborano il meccanismo di vincita e, se del caso, consegnano immediatamente il

premio al giocatore.

La legge 27 dicembre 2002, n. 289 ha modificato l’art. 110 R.D. 18 giugno

1931 n.773, disciplinando la installazione di apparecchi automatici “leciti” nei

seguenti termini:

– si è previsto che la installazione degli «apparecchi automatici di cui ai

commi 6 e 7, lettera b), dell’articolo in esame è consentita negli esercizi

assoggettati ad autorizzazione ai sensi degli articoli 86 o 88» (comma 3);

– sono state regolamentate le macchine “autosufficienti” che prevedono la

scommessa in denaro ed il gioco gestito esclusivamente dalla macchina locale

(comma 6);

– sono state previste altre tipologie di macchine che non offrono la vincita

diretta in denaro, ma per le quali si introduce un controllo diretto (anche) alla

verifica del pagamento delle imposte che gravano sulle stesse (comma 7).

Con riferimento alle macchine “autosufficienti” (che qui maggiormente

interessano) la norma prevede precise condizioni per l’esercizio del gioco (si fa

riferimento alla previsione attuale, essendo intervenute varie modifiche delle

percentuali di destinazione dell’incasso delle giocate):

– gli apparecchi, di proprietà privata, sono leciti a condizione che siano

«dotati di attestato di conformità alle disposizioni vigenti rilasciato dal Ministero

dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato»

e siano «obbligatoriamente collegati alla rete telematica di cui all’articolo 14-bis,

comma 4, del DPR 26 ottobre 1972, n. 640»;

– la giocata ammessa non può superare un euro e la durata della partita non

deve essere inferiore a quattro secondi;

– la vincita non può essere superiore a C 100 e deve essere pagata con

denaro erogato direttamente dalla macchina;

– su di un ciclo di 140.000 partite, ogni singola macchina deve restituire in

premi il 75% delle somme inserite.

  1. Il sistema essenziale di controllo sul regolare esercizio delle attività di gioco,

compresa la gestione degli incassi, previsto da tale normativa si incentra sulla

creazione di una rete telematica per potere avere il controllo diretto ed in tempo

reale dell’utilizzazione di ogni singolo apparecchio: a tale fine è stato modificato il

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640 (imposta sugli spettacoli) e si è previsto che l’AAMS

individui con gare ad evidenza pubblica uno o più concessionari della «rete o delle

reti per la gestione telematica degli apparecchi».

Il successivo d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito, con modificazioni, dalla

legge 24 novembre 2003, n. 326 ha introdotto il sistema di raccolta della quota

destinata all’Erario degli introiti degli apparecchi da gioco, lasciati in esercizio ai

concessionari delle reti ed ai loro gestori ed esercenti. Il citato decreto-legge, all’art.

39, comma 13, dispone che su tali apparecchi «si applica un Prelievo Erariale Unico

fissato in misura del 13,5 per cento delle somme giocate, dovuto dal soggetto al

quale l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ha rilasciato il nulla osta

di cui all’articolo 38, comma 5, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, e successive

modificazioni. A decorrere dal 26 luglio 2004 il soggetto passivo d’imposta è

identificato nell’ambito dei concessionari individuati ai sensi dell’articolo 14-bis,

comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, e

successive modificazioni, ove in possesso di tale nulla osta rilasciato

dall’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (…).».

Il PREU è, quindi, configurato come imposta sul consumo. La sua natura

tributaria è stata affermata dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 334 del

2006, che, in sede di conflitto di attribuzione tra la Regione Siciliana e lo Stato, ha

risolto il dubbio su alcuni profili ambigui della disciplina, ritenendo il PREU una

«entrata tributaria erariale», sostitutiva della precedente forma di imposta sugli

intrattenimenti applicata agli apparecchi da gioco.

La natura di imposta di consumo, quindi, porta a ritenere che rispetto al PREU

il giocatore è il contribuente di fatto, mentre il concessionario è il contribuente di

diritto; l’imposta, difatti, è computata sull’importo della giocata e non sul reddito

di impresa del contribuente di diritto.

Le ulteriori norme introdotte con la legge finanziaria del 2006 hanno

completato la specifica disciplina del PREU, per il quale è prevista la riscossione

mediante ruolo.

Per completare la disciplina della destinazione degli introiti degli apparecchi di

gioco lecito, oltre al PREU, determinato per legge, le convenzioni di concessione

delle reti per la gestione telematica degli apparecchi, predisposte dall’AAMS in base

al D.M. 12 marzo 2004 n. 86 del Ministero dell’Economia e delle Finanze

(Regolamento per la gestione telematica di tali apparecchi da divertimento e

intrattenimento), dispongono l’ulteriore destinazione delle somme nette incassate

dagli apparecchi da gioco: canone di concessione, destinato alla AAMS, aggio

destinato al concessionario, quota residua che va divisa tra il concessionario ed il

gestore (o esercente) degli apparecchi.

Le somme costituenti aggio e residuo andranno a formare il ricavo di impresa

del concessionario.

  1. Il d.P.R. n. 640 del 1972, come anticipato, prevede che l’esercizio delle

attività nel settore in questione sia affidata con concessione “traslativa”, avente

ad oggetto la gestione della rete di controllo e l’esercizio dei singoli apparecchi che

sono di proprietà privata, ma devono essere muniti dell’apposito nulla osta

rilasciato dall’ente concedente (si tratta dell’attestato di conformità alle

disposizioni vigenti, previsto dall’art. 110, comma 6, T.U.L.P.S.).

Si devono quindi chiarire i ruoli dei singoli soggetti che partecipano in vario

modo all’esercizio di tale concessione.

In particolare, oltre al concessionario, rilevano le figure del “gestore” e

dell’esercente” i quali, pur svolgendo la propria attività nella gestione del gioco

sulla base di un contratto di diritto privato con il concessionario, sono figure che

ricevono una regolamentazione prevalentemente dalla convenzione di concessione.

4.1. Il gestore è il soggetto che esercita un’attività organizzata diretta alla

distribuzione, installazione e gestione economica degli apparecchi da

intrattenimento. In particolare, provvede materialmente a prelevare i proventi,

mediante l’operazione gergalmente denominata di “scassettamento”; quindi è il

gestore che in prima battura ha la disponibilità materiale delle somme contenute

nei singoli apparecchi, al netto delle vincite erogate.

L’esercente è il titolare dell’esercizio ove sono installati gli apparecchi, che

svolge attività simili quando non vi sia un soggetto gestore. Nel prosieguo si farà

riferimento al solo gestore, considerando che comunque le stesse regole valgono

anche per l’esercente.

4.2. La convenzione di concessione con l’AAMS (oggi ADM) prevede che il

concessionario di rete possa avvalersi nell’attività di gestione degli apparecchi di

gioco dei citati ausiliari che devono essere in possesso delle prescritte

autorizzazioni, devono essere iscritti nell’apposito elenco di cui all’art. 1, comma

533, della I. 23.12.2005, n. 266 e successive modifiche e sono legati al

concessionario da appositi contratti di diritto privato il cui contenuto è

predeterminato dall’atto di concessione e dall’AAMS (oggi ADM). Il gestore è tenuto

a rispettare specifici obblighi nello svolgimento dell’attività di interesse

dell’Amministrazione.

  1. Poste queste premesse, va evidenziato che – come sottolineato

dall’ordinanza di rimessione – le decisioni che hanno dato luogo al contrasto

riguardano casi in cui il soggetto gestore che operava per conto del concessionario

nell’effettivo esercizio degli apparecchi si è appropriato di tutte le somme

materialmente raccolte nei dispositivi da gioco non riversandole al concessionario;

è il caso che ricorre anche nel presente processo in cui l’imputazione fa riferimento

non solo all’appropriazione delle somme destinate al pagamento del PREU, ma

anche di quelle destinate a canone di concessione e di quelle destinate al

concessionario.

5.1. Un primo orientamento, in linea con una giurisprudenza incline a

riconoscere la natura pubblica delle somme raccolte da privati abilitati allo

svolgimento di svariate tipologie di giochi autorizzati, qualifica il concessionario

della gestione della rete telematica come “agente contabile” «atteso che il denaro

che riscuote è fin da subito di spettanza della P.A.» come risulta dal decreto 12

marzo 2004 del Ministero dell’Economia e delle Finanze che dispone che il

concessionario «contabilizza, per gli apparecchi collegati alla rete telematica

affidatagli, il prelievo erariale unico ed esegue il versamento del prelievo stesso,

con modalità definite con decreto di AAMS».

In questo senso, Sez. 6, n.49070 del 05/10/2017, Corsino, Rv. 271498,

secondo la quale «riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio il subconcessionario

per la gestione dei giochi telematici, trattandosi di un soggetto che,

in virtù di una facoltà riconosciuta al concessionario dall’Amministrazione

Autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS), è investito contrattualmente

dell’esercizio dell’attività di agente contabile addetto alla riscossione ed al

successivo versamento del prelievo erariale unico sulle giocate previsto dall’art. 2,

lett. g), del d.m. 12 marzo 2004». La Corte argomenta che il concessionario, nel

delegare le proprie attività al “subconcessionario”, ancorché utilizzi lo schema del

contratto di diritto privato, comunque «demanda ad altro soggetto l’esercizio

dell’attività di agente contabile».

Logico corollario di tale impostazione è che la condotta del gestore che si

impossessa degli incassi delle giocate, omettendo di versarli al concessionario,

integra il peculato ex art. 314 cod. pen.

Tale decisione ritiene che ricorra sostanzialmente lo stesso schema del

concessionario dell’attività di raccolta del gioco del lotto, la cui condotta di

appropriazione delle giocate è qualificata in giurisprudenza come peculato.

Questa impostazione risulta condivisa anche da Sez.6, n.15860 del

10/4/2018, Cilli, non mass., che, affrontando la questione in sede cautelare, ha

ritenuto corretta la contestazione di peculato a fronte della condotta appropriativa

del PREU e del canone di concessione posta in essere dal gestore che non aveva

versato la raccolta del gioco esercitato con apparecchi del tipo in questione; questa

decisione sottolinea, altresì, che la configurabilità del reato non è esclusa

dall’eventuale esistenza di contestazioni tra il gestore ed il concessionario circa le

somme da riversare all’Erario. Inoltre, la Corte ha anche precisato che la

sussistenza del reato in capo al gestore non è neppure esclusa per effetto

dell’adempimento dell’obbligo fiscale da parte del concessionario.

Sez. 6 n. 4937 del 30/04/2019, dep. 2020, Defraia, Rv. 278116, è

sostanzialmente adesiva alle argomentazioni della sentenza Corsino; difatti,

ribadisce con argomentazioni simili che il denaro delle giocate è fin da subito di

spettanza della P.A. («il denaro versato dai giocatori diviene ‘pecunia publica’ non

appena entra in possesso del soggetto incaricato di raccogliere tale denaro»).

Considera come la natura privatistica del contratto con cui il concessionario

“demanda” ad altro soggetto l’esercizio dell’attività di agente contabile non esclude

la qualifica di incaricato di pubblico servizio del sub-concessionario/gestore.

Il contratto, difatti, regola comunque l’esercizio di servizi pubblici, in quanto

il gestore viene investito della partecipazione all’attività di agente contabile quale

«addetto alla riscossione ed al successivo versamento del “prelievo erariale unico”

sulle giocate, previsto dall’art. 2 lett. g) del D.M. 12 marzo 2004, poiché il servizio

del gioco è riservato allo Stato».

In definitiva, anche tale sentenza esclude che l’attività del gestore possa

ridursi alla semplice fornitura/assistenza delle macchine e che la sua attività di

raccolta degli incassi delle giocate possa essere qualificata come semplice attività

materiale.

Le sentenze Sez. 6, n. 35373 del 28/05/2008, Bellebono, non mass., e

Sez. 2, n. 18909 del 10/04/2013, Torregrossa, non mass., confermano la

configurabilità del reato di peculato nei confronti del gestore che si appropria delle

somme destinate a PREU ravvisando la originaria proprietà pubblica degli incassi.

5.2. Il diverso orientamento è rappresentato dalla sentenza Sez. 6, n. 21318

del 05/04/2018, Poggianti, Rv. 272951, che è intervenuta in un caso in cui il

gestore degli apparecchi aveva utilizzato un espediente tecnico tale da impedire la

comunicazione dei dati delle giocate all’Amministrazione ed in tal modo aveva

nascosto l’incasso indebito delle somme non contabilizzate.

La sentenza ha considerato che la normativa positiva disciplina il PREU quale

debito tributario. Ha, quindi, affermato che le somme materialmente prelevate

dagli apparecchi da gioco sono in possesso del gestore del gioco il quale è tenuto

al pagamento del PREU quale soggetto passivo d’imposta, sulla base di un’analitica

valutazione di tutte le disposizioni rilevanti di tale normativa che consentono di

qualificare il PREU quale imposta «il denaro incassato all’atto della puntata, e a

causa di questa, deve ritenersi non immediatamente di proprietà, pro quota,

dell’erario (all’epoca dei fatti in misura pari al 12% degli introiti), bensì

interamente della società che dispone del congegno da gioco, anche per la parte

corrispondente all’importo da versare a titolo di prelievo unico erariale. Questo

perché la giocata genera un ricavo di impresa sul quale è calcolato l’importo che

la società deve corrispondere a titolo di debito tributario; quindi, l’impresa che

gestisce il congegno da gioco non incassa neppure in parte denaro già in quel

momento dell’erario, e, di conseguenza, quando non corrisponde le somme

dovute a titolo di prelievo erariale unico, non si appropria di una cosa altrui, ma

omette di versare denaro proprio all’Amministrazione finanziaria in adempimento

di un’obbligazione tributaria».

La sentenza citata giunge a tale conclusione sulla base dell’esegesi del d.l. 24

novembre 2003, n.326 da cui desume che:

– il soggetto passivo di imposta non è individuato nel giocatore, ma nei

concessionari della rete (art.39, commi 13 e 13-bis), con i quali i terzi incaricati

della raccolta (i cd. gestori) sono solidamente responsabili (art.39-sexies);

– l’unità temporale di riferimento per il calcolo finale del PREU è riferita all’anno

solare (art.39, comma 13-bis), mediante un versamento finale a saldo dei

versamenti periodici;

– il PREU è dovuto su tutte le somme giocate tramite apparecchi e congegni

che erogano vincite in denaro, anche se questi siano esercitati al di fuori di

qualunque autorizzazione e non siano collegati alla rete telematica (art.39-

quater).

Secondo la sentenza in esame, la specifica disciplina, dettata per la categoria

di apparecchi da gioco in esame, consentirebbe di affermare che il soggetto

passivo dell’imposta non è il giocatore, bensì il concessionario ed il terzo incaricato

della raccolta, sicché, ove il denaro non venga riversato all’AAMS (oggi ADM), non

si configurerebbe l’appropriazione di somme già appartenenti all’erario, bensì un

tipico caso di omesso versamento di un tributo (nel caso di specie il PREU).

Corollario di tale affermazione è che il denaro raccolto mediante le giocate

altro non è che il ricavo di un’attività commerciale, che a prescindere dal fatto che

sia svolta in forma lecita o illecita, genera in ogni caso l’insorgere dell’obbligazione

tributaria.

Nell’ordinanza di rimessione, oltre a considerare in modo dettagliato gli

argomenti della sentenza Poggianti, si osserva che, in tale prospettiva, «il soggetto

che incassa le somme delle giocate non ha il possesso o la disponibilità di denaro

altrui, ovviamente per la parte da versare all’Amministrazione finanziaria a titolo

di prelievo erariale unico, ma, diversamente, è debitore nei confronti di questa in

relazione ad una obbligazione pecuniaria commisurata all’entità del denaro

percepito».

In definitiva, secondo tale impostazione il denaro incassato non è di proprietà

pubblica, bensì del concessionario della rete il quale, su tale incasso dei “propri”

apparecchi di gioco, assume un’obbligazione tributaria. Per tale ragione, la

condotta di appropriazione non integra il reato di peculato.

  1. Il contrasto scaturisce da un’unica decisione rispetto ad un orientamento

sostanzialmente stabile. Va sottolineato che la differenza di ricostruzione, che

porta alla alternativa qualificazione giuridica della condotta di indebito

trattenimento degli incassi delle giocate, non verte sulla natura di obbligazione

tributaria del versamento del PREU, bensì sulla proprietà del denaro versato dai

giocatori negli apparecchi da gioco, al netto di quanto restituito direttamente in

vincite.

Secondo il primo indirizzo, tale denaro è incassato, a prescindere dalla

proprietà dei dispositivi di gioco, nell’esercizio della concessione e per conto della

concedente, e, quindi, appartiene alla Amministrazione; la peculiare modalità di

riversamento del denaro, con il meccanismo tributario per una gran parte (il PREU)

e con il canone di concessione per altra, non incide sulla natura di denaro pubblico,

dato rilevante ai fini che qui interessano.

L’altro indirizzo, invece, accentuando il profilo di natura tributaria e,

qualificando il PREU come imposta sui redditi di impresa (come sembra affermare

quando parametra l’imposta al «ricavo di impresa») anziché come imposta sui

consumi, usa tale argomento per affermare che l’incasso delle somme residuate

dalle giocate, detratte le vincite, rappresenta un “guadagno” privato sottoposto,

appunto, ad imposta (PREU).

  1. Questo Collegio condivide la conclusione cui giunge il primo indirizzo, con

le precisazioni di cui appresso. Devono, innanzitutto, essere distinti due diversi

profili, quello riguardante la proprietà delle somme incassate dagli apparecchi da

gioco, di cui (una gran) parte destinata al pagamento del PREU, e quello relativo

all’obbligo di versamento del PREU quale tributo. Tale profilo appare dirimente per

rispondere al quesito posto dalla ordinanza di rimessione quanto alla qualità di

incaricato di pubblico servizio del gestore.

7.1 La soluzione prescelta poggia sulla considerazione che non è dubitabile che

(tutti) i proventi del gioco presenti negli apparecchi, al netto del denaro restituito

quale vincita agli scommettitori, appartengano all’Amministrazione.

La questione della proprietà degli incassi è già stata risolta dalle Sezioni Unite

civili di questa Corte che in più occasioni hanno confermato la giurisdizione della

Corte dei Conti nei confronti dei concessionari di rete, chiamati dal giudice contabile

alla resa del conto giudiziale, ai sensi del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, per la

gestione degli incassi, in quanto originariamente appartenenti alla pubblica

amministrazione concedente e gestiti dai soggetti concessionari nel ruolo di “agente

contabile”.

In tali termini si sono espresse in primo luogo Sez. U. civ. n. 13330

dell’01/06/2010, Rv. 613290, secondo cui «la società contabilizza, per gli

apparecchi collegati alla rete telematica affidatale, il prelievo erariale unico e ne

esegue il versamento; come tale essa riveste la qualifica di agente della riscossione

tenuto al versamento di quanto riscosso e, dunque, al conto giudiziale degli introiti

complessivamente derivanti dalla gestione telematica del gioco lecito, compreso il

compenso del concessionario».

Un’altra decisione ha precisato che la società concessionaria dell’Azienda

Autonoma dei Monopoli dello Stato per la attivazione e la conduzione operativa

della rete per la gestione telematica del gioco lecito assicura che la rete telematica

affidatale contabilizzi le somme giocate, le vincite ed il prelievo erariale unico,

nonché la trasmissione periodica di tali informazioni al sistema centrale, e, inoltre,

provvede a contabilizzare, per gli apparecchi collegati alla rete telematica

affidatale, il prelievo erariale unico, seguendone il versamento (così, Sez. U

civ., ord. n. 14891 del 21/06/2010, Rv. 613822).

Secondo queste decisioni la società concessionaria riveste la qualifica di

agente della riscossione tenuto al versamento di quanto riscosso e, dunque, al

conto giudiziale degli introiti complessivamente derivanti dalla gestione telematica

del gioco lecito, compreso il compenso del concessionario.

Negli stessi termini e con più ampio sviluppo, proprio degli aspetti rilevanti ai

fini della odierna decisione, sono intervenute di recente Sez. U civ., n. 14697 del

29/05/2019, Rv. 653988, che hanno ritenuto espressamente la natura pubblica di

tutti gli incassi degli apparecchi da gioco in questione proprio in considerazione

della funzione del collegamento diretto del sistema centrale dell’Amministrazione

rispetto ai singoli apparecchi da gioco e hanno affermato che questo «sistema di

collegamento diretto, rivolto in particolare al flusso di denaro, riscosso in

conseguenza del gioco lecito, ed alle sue destinazioni (vincite, canone di

concessione, deposito cauzionale, obbligazioni tributarie, compenso del

concessionario) così come previste dalla legge, ne evidenzia la diretta appartenenza

pubblica».

Soprattutto, le Sezioni Unite civili risolvono l’aspetto qui rilevante, escludendo

che vi sia contrasto tra l’essere il concessionario soggetto passivo d’imposta

rispetto al PREU e l’essere gli incassi del gioco di proprietà pubblica: il regime fiscale

previsto dal legislatore non incide sull’obbligo del concessionario di assicurare,

mediante, la conduzione operativa della rete telematica, la contabilizzazione delle

somme giocate, delle vincite e del P.R.E.U. La natura tributaria dell’imposta (Corte

cost. 334 del 2006) e la qualificazione del concessionario come soggetto passivo

d’imposta (ex art. 1, comma 81 della legge n. 296 del 2006) operano

limitatamente al rapporto di natura tributaria, senza incidere sulla funzione di

agente della riscossione di denaro pubblico derivante dalla configurazione

complessiva dell’attività di gioco lecito mediante apparecchi o congegni elettronici,

caratterizzata dalla predeterminazione dettagliata delle modalità di svolgimento

dell’attività e della funzione del concessionario rispetto agli esercenti, in particolare

sotto il profilo del controllo periodico della destinazione delle somme riscosse(Sez.

Un. civ. n. 14697 del 2019, cit.).

7.2. La soluzione recepita dalle Sezioni unite civili è in linea con la consolidata

giurisprudenza della Corte dei Conti, competente ad esercitare il controllo sui

concessionari in virtù della loro qualificazione quali “agenti contabili”.

Il problema sottoposto al Collegio si era già ampiamente posto dinanzi al

giudice contabile, sostanzialmente nei medesimi termini circa l’esatta

qualificazione del PREU come un’entrata erariale qualificabile come tale ab origine,

piuttosto che come un ordinario tributo rispetto al quale il concessionario non

poteva assumere il ruolo di agente contabile, ma solo quello di soggetto passivo

d’imposta.

Nella sentenza resa da Sez. I App., n. 1086 del 18.09. 2014, la Corte dei Conti

ha testualmente affermato: «la società appellata è concessionaria

dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli dello Stato per l’attivazione e la

conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito. Essa

assicura, perciò, che la rete telematica affidatale contabilizzi le somme giocate, le

vincite ed il prelievo erariale unico, nonché la trasmissione periodica di tali

informazioni al sistema centrale. La società – inoltre – contabilizza, per gli

apparecchi collegati alla rete telematica affidatale, il prelievo erariale unico e ne

esegue il versamento. Tanto precisato, essa riveste la qualifica di agente della

riscossione (agente contabile), tenuto al versamento di quanto riscosso e, dunque,

al conto giudiziale degli introiti complessivamente derivanti dalla gestione

telematica del gioco lecito, compreso il compenso del concessionario».

La suddetta pronuncia si confronta espressamente anche con la presunta

incompatibilità tra la qualifica di agente contabile, derivante dalla riscossione di

denaro pubblico, rispetto alla disciplina tributaria del PREU, laddove argomenta

che «la sottoposizione del concessionario al prelievo erariale unico (PREU) non

incide sulla sua natura di agente contabile, stante che tale prelievo è solo la

modalità con cui l’Amministrazione ottiene il versamento da parte del

concessionario di somme dovute da calcolarsi, però, su conti da rendersi da chi

rivesta la qualifica di contabile, per avere maneggio delle somme di denaro su cui

anche il PREU deve calcolarsi».

L’appartenenza del denaro oggetto di PREU all’erario è esplicitata in maniera

ancor più netta da Corte Conti Lazio, sez. reg. giurisd., n. 2110 del 05/11/2010,

secondo cui «è proprio la gestione in via esclusiva di un’attività propria del

soggetto pubblico con attribuzione di poteri pubblici al concessionario ed

imposizione di particolari obblighi a determinare la nascita di un soggetto che ha

la disponibilità materiale di beni, materie e valori di pertinenza pubblica. Lo stesso

denaro raccolto con l’utilizzo di apparecchiature collegate alla rete telematica della

P.A. deve ritenersi, quindi, denaro pubblico e ciò, ovviamente, non tanto in ragione

della sua provenienza, che è squisitamente privata, ma in forza del titolo di

legittimazione alla giocata che rende lecito un gioco d’azzardo altrimenti vietato.

Ed allora, se il privato deve utilizzare l’apposito canale pubblico

rappresentato dalle apparecchiature elettroniche collegate alla rete telematica

della Pubblica Amministrazione per effettuare la sua giocata, ne consegue che il

denaro impiegato diventa denaro pubblico, soggetto alle regole pubbliche di

rendicontazione e il cui maneggio genera ex se l’imprescindibile obbligo dell’agente

a rendere giudiziale ragione della gestione attraverso un documento contabile che

dia contezza della stessa e delle sue risultanze».

Nell’ambito di tale sistema, pertanto, i concessionari gestiscono l’attività di

gioco nell’ambito di un continuo controllo realizzato per il tramite del collegamento

alla rete telematica dei singoli apparecchi. Proprio tale «sistema di collegamento

diretto, rivolto in particolare al flusso di denaro, riscosso in conseguenza del gioco

lecito, ed alle sue destinazioni (vincite, canone di concessione, deposito

cauzionale, obbligazioni tributarie, compenso del concessionario) così come

previste dalla legge, ne evidenzia la diretta appartenenza pubblica».

La tesi secondo cui il denaro provento delle giocate è di immediata

appartenenza pubblica non è contraddetta neppure dal particolare regime fiscale

adottato dal legislatore, lì dove il PREU viene qualificato quale prelievo di natura

tributaria (come riconosciuto anche da Corte cost., n.334 del 2006) ed il

concessionario è indicato quale soggetto passivo di imposta.

Secondo le Sezioni unite civili, infatti, la natura tributaria del PREU non

esclude la «funzione di agente della riscossione di denaro pubblico derivante dalla

configurazione complessiva dell’attività di gioco lecito mediante apparecchi o

congegni elettronici, caratterizzata dalla predeterminazione dettagliata delle

modalità di svolgimento dell’attività e della funzione del concessionario rispetto

agli esercenti, in particolare sotto il profilo del controllo periodico della

destinazione delle somme riscosse».

Sulla base di tali argomentazioni le Sezioni unite civili ritengono che il denaro

provento delle giocate, a prescindere dalla specifica destinazione pro quota dello

stesso, è di «diretta appartenenza pubblica».

7.3. L’interpretazione data dalle SS.UU. civili e dal giudice contabile è univoca

e ne vanno condivisi gli argomenti.

Il privato concessionario gestisce in via esclusiva un’attività propria

dell’Amministrazione, rientrante nell’ambito di un monopolio legale, esercitandone

i medesimi poteri pubblici. In un tale contesto, il concessionario procede alla

raccolta di denaro, tramite gli apparecchi collegati alla rete telematica della

Pubblica Amministrazione, attività che assume carattere pubblico in forza del titolo

di legittimazione alla giocata che rende lecito un gioco d’azzardo che, altrimenti,

integrerebbe un’attività assolutamente vietata dall’art. 110 T.U.L.P.S. e

sanzionata.

7.4. Il soggetto al quale viene affidata dalla Pubblica Amministrazione la

gestione della funzione pubblica del gioco lecito ed, in particolare, deputato

istituzionalmente al maneggio di tale denaro pubblico, riveste obiettivamente il

ruolo di agente contabile ex art. 178, R.D. 23 maggio 1924 n. 827 in virtù delle

regole che gli conferiscono specifici compiti di raccolta, rendicontazione e

riversamento della quota parte della giocata sotto forma di prelievo unico erariale,

secondo quanto previsto testualmente dalla convenzione di concessione in

conformità alle inequivoche disposizioni del D. M. 12 marzo 2004, n. 86

(Regolamento concernente disposizioni per la gestione telematica degli apparecchi

in questione).

  1. A questo punto può offrirsi una prima risposta alla questione essenziale che

ha dato luogo al contrasto: non è in discussione se il PREU in sé sia un’imposta, in

quanto questa natura è pacifica proprio alla luce della normativa inequivoca che

lo disciplina. E’, invece, in questione la natura pubblica degli incassi del gioco

realizzati utilizzando una certa tipologia di apparecchi. L’orientamento minoritario

che ritiene che gli incassi degli apparecchi rappresentino “ricavi” dell’attività

imprenditoriale svolta dalla concessionaria non può essere condiviso per gli

argomenti in precedenza illustrati che dimostrano che la proprietà degli incassi,

proprio per l’attività dalla quale provengono, non può essere attribuita al privato.

Come sopra argomentato, è corretto quanto affermato dal primo indirizzo che,

del resto, non qualifica quale peculato il mancato pagamento del PREU quale

imposta, bensì l’indebita appropriazione dell’intero incasso prelevato dagli

apparecchi di cui una (maggior) parte, ma non il tutto, destinata al pagamento del

PREU. La condanna del Rubbo è stata disposta espressamente per essersi

appropriato anche della quota destinata, come aggio e come ricavo residuo, al

concessionario, nonché delle somme destinate a canone di convenzione come ben

chiarito nel prospetto fatto nel corpo della motivazione della sentenza di primo

grado.

La risposta al quesito, per quanto riguarda il concessionario di rete, è quindi

nel senso che lo stesso è responsabile del reato di peculato lì dove si appropri degli

incassi (anche) per la parte destinata a PREU, perché si tratta di “denaro pubblico”,

che egli gestisce in veste formale di agente contabile indipendentemente dalla

ulteriore considerazione se, nella gestione del gioco lecito, svolga un pubblico

servizio.

  1. Ulteriore problema è quello di verificare se il concessionario vada qualificato

quale incaricato di pubblico servizio per la complessiva attività svolta, a prescindere

dal ruolo di agente contabile.

Si tratta di un passaggio necessario per ritenere che tale qualificazione spetti

anche al gestore il cui eventuale ruolo di incaricato di pubblico servizio è

condizionato dall’esserlo il concessionario dal quale, in ipotesi, deriverebbe il

conferimento dei compiti nella conduzione del servizio pubblico.

Il tema, inoltre, va esplicitamente affrontato anche perchè la questione del

ruolo del concessionario, al di là dell’ambito del maneggio di denaro di proprietà

pubblica, è stata posta in termini dubitativi dall’ordinanza di rimessione.

L’ordinanza, dopo avere richiamato i comuni principi secondo i quali il soggetto

“incaricato di pubblico servizio” va individuato sotto il profilo funzionale della attività

effettivamente svolta, ritiene che proprio le Sezioni Unite civili, in particolare con

l’ordinanza n. 14697 del 2019, dubitino che nella attività devoluta al concessionario

di rete vi sia un contenuto di pubblico servizio. Secondo la Sezione rimettente tale

ordinanza espressamente afferma che la società ricorrente è concessionaria di

un’attività che non ha né natura di servizio pubblico, né assolve una funzione

neanche latu sensu’lpubblicistica” (p. 9), evidentemente riferendosi alla intrinseca

estraneità dell’esercizio del gioco d’azzardo da parte dello Stato dal perimetro

proprio ai pubblici servizi, ove si astragga dalle connesse entrate tributarle e dal

vantaggio erariale che ad esse consegue.

Va invero chiarito che questo passaggio della decisione citata va collegato a

quanto sostenuto nella ordinanza delle Sezioni Unite civili che, subito dopo avere

escluso la funzione pubblicistica del gioco d’azzardo in sé, fa riferimento al compito

proprio del concessionario di esercizio della rete telematica deputata al controllo ed

afferma che solo all’interno «di queste rigide maglie» il gioco può ritenersi lecito. Il

“pubblico servizio” è, quindi, rappresentato dal diretto e continuativo controllo di

un’attività che, altrimenti, sarebbe illecita.

L’ambito del pubblico servizio attribuito al concessionario di rete è chiaramente

individuato anche dalla recente giurisprudenza costituzionale. Infatti, la sentenza

costituzionale n. 56 del 2015, proprio con riferimento alla tipologia di concessioni

riferite agli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, T.U.L.P.S., ne ha

rammentato la natura di “concessione traslativa”, in quanto «la materia dei giochi

pubblici è riservata al monopolio dello Stato, che ne può affidare a privati

l’organizzazione e l’esercizio in regime di concessione di servizio, sulla base di una

disciplina che trova origine negli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 14 aprile 1948,

  1. 496 (Disciplina dell’attività di giuoco)».

In particolare, ravvisa gli interessi pubblici tutelati dalla normativa che

disciplina tali giochi nella «pubblica fede, l’ordine pubblico e la sicurezza, la salute

dei giocatori, la protezione dei minori e delle fasce di giocatori adulti più deboli, la

protezione degli interessi erariali relativamente ai proventi pubblici derivanti dalla

raccolta del gioco».

Quindi, l’attività di gestione della rete di controllo deve qualificarsi come

pubblico servizio, come del resto chiarisce il decreto ministeriale 12 marzo 2004,

  1. 86, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, contenente il Regolamento per

la gestione telematica degli apparecchi da divertimento e intrattenimento in

questione, secondo il quale la Amministrazione «affida in concessione l’attivazione

e la gestione operativa delle reti telematiche» e non l’esercizio del gioco d’azzardo.

È inoltre un pubblico servizio l’esercizio del monopolio fiscale connesso ai

giochi leciti. Nel già citato d.l. n. 269 del 2003, n. 269, istitutivo del PREU, si fa

riferimento più volte a tale monopolio con riferimento alla gestione delle entrate

fiscali (art. 39, comma 13-quinquies: «Al fine di evitare fenomeni di elusione del

monopolio statale dei giuochi …», «attività di giuoco riservato allo Stato»).

In definitiva, non può dubitarsi che il concessionario svolga in regime di

concessione un pubblico servizio, riservato al monopolio statale, che consiste

proprio nel controllo delle attività di gioco sia per il rispetto dei limiti entro quale

può ritenersi lecito, svolgendo quella funzione pubblica, più volte dichiarata nella

normativa, di contrasto alla diffusione della ludopatia e delle attività criminali nel

dato settore, sia per la gestione degli incassi delle giocate, destinati all’Erario.

  1. Per quanto riguarda il ruolo del gestore, quanto sinora esposto chiarisce

che il denaro che le figure di supporto dell’attività del concessionario hanno in

gestione non può mai definirsi a loro appartenente.

La stessa questione controversa, verte sul profilo della spettanza degli incassi

allo Stato, concedente dell’esercizio del gioco lecito, o al concessionario. In ogni

caso, il gestore non assume mai il possesso autonomo del denaro, secondo gli

schemi della convenzione di concessione che non consente di “cedere” la

concessione, ma solo di avvalersi di soggetti addetti ai dati compiti, imponendo

contenuti ai contratti di collaborazione per funzioni di garanzia del corretto esercizio

dell’attività.

Quindi, il rapporto del gestore con il denaro che raccoglie dagli apparecchi è di

detenzione nomine alieno, che ai fini dell’art. 314 cod. pen., integra la condizione

di altruità della cosa.

Il gestore, comunque, sicuramente non riveste in proprio il ruolo di agente

contabile. Si è detto come tale ruolo risulti già attribuito al concessionario, né la

convenzione di concessione, che pure disciplina il rapporto dei gestori, assegna loro

alcun ruolo autonomo nel “maneggio” degli incassi, quanto ad autonomia e

responsabilità di gestione. Del resto, un ruolo autonomo di agente contabile del

gestore contrasterebbe con quello, avente lo stesso oggetto, del concessionario, e

vi dovrebbe essere una autonoma relazione, quanto alla resa del conto ex R.D. 23

maggio 1924, n. 827, tra i “subconcessionari” ed il giudice contabile.

Dal punto di vista del Regolamento di contabilità, del resto, la posizione degli

ausiliari rientra agevolmente nell’art. 188 del R.D. 23 maggio 1924 n. 827, che

prevede la responsabilità dell’agente contabile nei confronti dell’Amministrazione

anche per le attività dei propri ausiliari con funzione di cassieri etc. «anche se la

loro assunzione sia stata approvata dalle autorità competenti».

Va ora verificato se il gestore (o l’esercente) svolga, su incarico del

concessionario, solo attività comuni o anche compiti rientranti nel pubblico servizio

quale sopra delineato, in modo da acquisire a sua volta la qualità pubblicistica in

base al quale la sua condotta di appropriazione del denaro altrui integra il peculato:

diversamente, ricorrerebbe l’appropriazione indebita o un diverso reato “comune”,

come nel caso della sentenza Poggianti che, ricorrendo le ulteriori condizioni di

occultamento fraudolento degli incassi, ha qualificato la condotta quale truffa.

La questione si pone poiché, non essendo neanche prevista la figura del

gestore dal citato regolamento di cui al D.M. n. 86 del 2004, le attività previste

dai contratti di collaborazione con il concessionario, quali la collocazione fisica degli

apparecchi, la verifica del loro corretto funzionamento e la necessaria

manutenzione, lo “scassettamento” del denaro e la sua movimentazione,

potrebbero valutarsi quali attività meramente materiali e non di partecipazione

all’esercizio del servizio pubblico.

Invero, il contenuto della convenzione di concessione dimostra che

l’Amministrazione impone che i soggetti delegati all’esercizio dei dati compiti per

conto del concessionario esercitino anche attività proprie del pubblico servizio.

In particolare, pur se non si prevede alcun rapporto diretto ed obbligo di

rendiconto direttamente nei confronti dell’Amministrazione, il gestore (che può

essere anche proprietario delle macchine o può operare con apparecchi altrui)

svolge la sua attività in autonomia, senza il controllo diretto del concessionario,

ed a lui è affidata, tra l’altro, la verifica della funzionalità della rete telematica con

obblighi di segnalazione di anomalie, risultando già solo per questo avere un ruolo

determinante nel profilo che qualifica l’attività data in concessione quale pubblico

servizio.

Inoltre, tali soggetti, pur non essendo loro assegnato un ruolo diretto ed

autonomo nella gestione del denaro per conto dell’ente pubblico proprietario, lì

dove delegati anche alla gestione degli incassi, sono comunque destinatari,

secondo la convenzione di concessione (artt. 6-bis, del contratto con il gestore, e

6, del contratto con l’esercente), di penetranti obblighi di controllo, offerta di

garanzie, tracciabilità; tali obblighi sono evidentemente fondamentali per la

verifica dei corretti flussi finanziari per la prevenzione dell’inserimento di fenomeni

criminali, anche di riciclaggio, così realizzando altri interessi pubblici sottesi alla

gestione monopolistica nei termini di cui si è già detto.

Si può, quindi, affermare che anche il gestore riveste la qualifica di incaricato

di pubblico servizio quando, come nel caso qui in considerazione, abbia la gestione

degli incassi, trovandosi a detenere nomine alieno il denaro per ragione del suo

servizio pubblico.

Difatti partecipa, per la parte delegatagli, all’esercizio delle attività in

concessione e, in particolare, partecipa anche all’esercizio della stessa attività di

agente contabile del concessionario, svolgendo rispetto a questa, pur nell’ambito

del rapporto di dipendenza considerato dal citato art. 188, R.D. 23 maggio 1924

  1. 827, funzioni che non sono di mero concetto, essendogli delegate parte delle

necessarie attività di contabilizzazione e movimentazione che il gestore svolge in

piena autonomia ed al di fuori del diretto controllo del suo committente, condizioni

che, a ben vedere, hanno consentito proprio nella vicenda oggetto di questo

processo la rilevante sottrazione di incassi per un ampio arco temporale.

In definitiva, la condotta del gestore (cui, si rammenta, va equiparato

l’esercente) di appropriazione degli incassi degli apparecchi da gioco, in quanto

denaro “altrui” del quale ha il possesso per ragione del suo ufficio di incaricato di

pubblico servizio, è quindi correttamente qualificata come peculato.

  1. In conclusione, in risposta al quesito va affermato il seguente principio di

diritto:

“Integra il reato di peculato la condotta del gestore o dell’esercente degli

apparecchi da gioco leciti di cui all’art. 110, sesto e settimo comma, TULPS, che si

impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del

PREU, non versandoli al concessionario competente”.

  1. Sulla base di tali conclusioni, il ricorso proposto nell’interesse di Angelo

Rubbo deve essere rigettato.

Con l’unico motivo, difatti, la difesa deduce la non configurabilità del peculato

sulla base della trascrizione delle argomentazioni della sentenza Poggianti, senza

sviluppare alcun altro argomento. Anche nella memoria depositata per l’udienza,

si insiste esclusivamente sulla medesima questione, facendo riferimento al mero

dato della natura tributaria del PREU.

Per quando detto, il motivo è infondato, perché tale natura tributaria

comunque non incide né sulla altruità del denaro affidato al Rubbo ed oggetto di

impossessamento né sul suo ruolo di incaricato di pubblico servizio, dovendo

essere confermata la qualificazione giuridica data dai giudici di merito.

Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese in favore della parte

civile costituita, nella misura determinata in dispositivo avuto riguardo al numero

e alla importanza delle questioni trattate, alla natura ed entità delle singole

prestazioni difensive, ai limiti minimi e massimi della tariffa forense (Sez. U, n.

40288 del 14.07.2011, Tizzi)

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