Insomma, qui c’è davvero poco da interpretare. Mettere in mano a Mario Draghi le chiavi di Palazzo Chigi significa creare un Governo “di scopo”: mettere ordine ai conti pubblici e
Insomma, qui c’è davvero poco da interpretare. Mettere in mano a Mario Draghi le chiavi di Palazzo Chigi significa creare un Governo “di scopo”: mettere ordine ai conti pubblici e a tutta quella ridda di elargizioni (molte delle quali lente, ma proprio lente, ad arrivare…); fare in modo che i famosi 209 miliardi elargiti dalla UE siano impiegati nel migliore dei modi (o il meno peggiore); modernizzare il mondo del lavoro anche investendo sul capitale umano. La macroeconomia al centro del sistema, dunque, con lo Stato a fare da guida, arbitro e giudice, dando corda a chi ci sa fare (di belle aziende in Italia ne abbiamo tante) e gettando a mare chi è oramai sulla strada del fallimento.
Lui che, da direttore della BCE, è stato considerato il salvatore dell’Euro, quando la crisi del debito pubblico dei Paesi “PIGS” (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) seguita alla crisi finanziaria di Wall Street rischiava di contagiare l’intera Europa, oggi si trova di fronte ad un impegno ben più arduo, perché sulle sue spalle grava l’handicap dei disastri combinati dai giallorossi e dal loro bilancino Conte, e davanti a sè si trova una pandemia ancora tutta da sconfiggere.
Come se non bastasse, Draghi ha dovuto per forza di cose accettare la logica del compromesso. Un po’di tecnici scelti da lui (8) e il resto(15) deciso dai maghi della persistente maggioranza. Figuriamoci se Speranza sia davvero il miglior ministro della Sanità possibile e figuriamoci ancor di più se Di Maio – l’uomo delle gaffe storico-geografiche che fanno invidia a quelle di Mike Bongiorno e persino a quelle dello scalcinato Luca Giurato – sia il meglio che l’Italia può proporre agli Esteri, o figuriamoci ancora se alla Cultura non esista una alternativa più valida di Franceschini, che è lì da anni a fare tante belle cose sperimentali che finiscono puntualmente nel cestino ed è quello che in tempi di Covid ha massacrato cinema, teatri e musei, senza nemmeno tentare di trovare per essi una qualche alternativa? Ma tant’è (così è se vi pare…) Intanto, Patuanelli, grande artefice del disastro economico della fase 2 insieme a Conte e Gualtieri, guidando (si fa per dire) il ministero dello Sviluppo Economico (preso dal “moderato” della Lega Giorgetti), se ne va… in campagna a seguire le Politiche Agricole.
Nella giostra delle poltrone, tra alcune conferme (vedi Lamogese agli Interni in primis) e tante novità, troviamo pure tre ormai impolverati personaggi di Forza Italia, due dei quali persino a dispetto di Berlusconi, e perlopiù “amici” di Gianni Letta: gli “eretici” Renato Brunetta, vero incubo dei dipendenti pubblici “fannulloni” (e infatti è stato messo a capo della Funzione Pubblica) e la paladina delle pari opportunità Mara Carfagna, che in questo era stata brava, niente da dire, ma adesso che c’azzecca con il “rilancio del Sud e la coesione territoriale”? Il Cavaliere è stato comunque parzialmente accontentato col recupero della sua pupilla Maria Stella Gelmini, già ministra dell’Istruzione più di un decennio fa, che ora si occuperà di autonomie locali e regioni (ne riparliamo fra poco).
E adesso veniamo a noi. Draghi ha messo all’Economia un suo fedelissimo, e ci mancherebbe altro. Direttore generale della Banca d’Italia da inizio 2020, ha alle spalle un curriculum così lungo e prestigioso da fare concorrenza a quello del premier stesso, anche per i suoi trascorsi europei (per 3 anni è stato consigliere agli affari economici della Commissione europea). E non si è mai piegato ai politici. A Berlusconi contestò l’abolizione dell’ICI; poi, una volta divenuto capo della Ragioneria di Stato nel 2013, pose l’indice sugli errori di calcolo fatto da Renzi col famoso Bonus da 80 euro, che in pratica non aveva copertura; con Casalino e Conte ha avuto terribili scontri sul Reddito di Cittadinanza, subendo dal primo minacce e dal secondo offese. Alla fin dei conti, si può dire che Franco ha sempre rispettato il suo mandato istituzionale, che risponde allo Stato e non al governo di turno.
Ora sarà lui a gestire il Recovery Fund. Ma non solo: con Draghi forma una coppia pragmatica, di grande e variegata esperienza, che la pensa alla stessa maniera e ha in testa solo gli interessi dello Stato; “whatever it takes” (costi quello che costi), per riprendere una celebre frase dello stesso Draghi.
Da loro, dunque, ci attendiamo una politica che rivaluti il settore del gioco come strumento di finanza pubblica, mettendo un po’ il bavaglio ai puritani del proibizionismo oltranzista, perché le perdite erariali su questo fronte sono tali da richiedere un riequilibrio immediato. Chiaramente, ci sarà sempre da fare i conti con le Regioni, ma la appena citata Gelmini non è così morbida come è stato l’ex ministro Boccia – anzi, è famosa per il pugno duro usato nell’imporre la sua riforma della scuola, a fronte di un mare di contestazioni da parte di studenti, docenti e personale amministrativo – perciò ci viene da pensare che è stata scelta non per competenze specifiche (che non ha) bensì per richiamare un po’ all’ordine i governatori e imporre la linea di Governo. Di certo non è donna di Draghi (dal punto di vista politico, per carità!), ma a quanto pare ha fatto prevalere la logica del “meno peggio”. Del resto, alla fin dei conti fa comodo pure a lui avere in squadra una che non guarda in faccia a nessuno e che ce l’ha su coi grillini. Bresciana, già consigliera regionale, nel 2018 di lei si parlava come possibile successore di Maroni, dimenticando il burrascoso inizio di carriera come presidente del consiglio comunale di Desenzano. Volete chiamarla “una Brunetta al femminile”? Fate pure…
Marco Cerigioni – PressGiochi
Fonte immagine: ilmessaggero.it
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