24 Novembre 2024 - 04:16

Cardia a PressGiochi: “Dobbiamo uscire dalla dinamica di combattere il virus chiudendo le attività”

Ad affermarlo nello speciale ’15 Minuti con PressGiochi’ è l’avvocato Geronimo Cardia, presidente di Acadi – Confcommercio che interviene sulla richiesta di tutta l’industria del gioco pubblico di riapertura delle

25 Gennaio 2021

Ad affermarlo nello speciale ’15 Minuti con PressGiochi’ è l’avvocato Geronimo Cardia, presidente di Acadi – Confcommercio che interviene sulla richiesta di tutta l’industria del gioco pubblico di riapertura delle attività.

“Se questa riflessione l’avessimo fatta già a marzo del 2020, probabilmente avremmo potuto fare una programmazione diversa. Cosa vuol dire convivere con il virus? Togliamo il fatto che stiamo parlando del gioco pubblico, le sembra che abbiamo tutto chiuso? Le sembra che in Lombardia sia tutto chiuso? E faccio riferimento a una regione importantissima per il nostro Paese; alla quale siamo tutti molto vicini.

Gli uffici non sono chiusi ma aperti. Le attività vengono svolte. Le industrie non sono chiuse ma sono aperte. E non solo l’industria che produce per esempio energia elettrica, che è sicuramente un bene essenziale altrimenti rimaniamo tutti al buio. Ma anche l’industria che produce… faccia lei l’esempio di un bene che ritiene non essenziale: anche quella è aperta. L’essenzialità non deve riguardare il prodotto realizzato o distribuito per decidere se quella realtà deve restare aperta o meno.

Bisogna fare un’analisi di protezione; di messa in sicurezza di chi sta dentro i locali dedicati al lavoro e di chi accede al locale dedicato a un lavoro.

Allora o cominciamo a ragionare così per tutti i comparti, anche per la scuola. Lei ha fatto un bellissimo esempio: la scuola soffre meno di valutazioni discriminatorie rispetto al nostro settore, bene, la scuola parte con l’idea di fare i banchi con le rotelle. Oggi qualcuno prende in giro chi ha fatto quella proposta. Ma chi l’ha fatta aveva in animo un obiettivo nobile. Qual è? Quello di rimanere aperti.

Dobbiamo infischiarcene che il settore sia essenziale o meno punto. Se facciamo una discriminazione, allora questo è incostituzionale, non giusto, non corretto, non comprensibile, e in malafede probabilmente… quindi togliamo il discorso dell’essenzialità.

Lei dice che ormai il virus dobbiamo affrontarlo. Anche perché stiamo parlando di un periodo che è di quasi un anno dal primo lockdown e abbiamo ancora il fantasma: se non abbiamo un lockdown è perché lo facciamo un pezzo per volta. Quindi dobbiamo comunque trovare delle soluzioni che ci consentano di andare avanti.

Noi dobbiamo uscire dalla dinamica dello “stai chiuso se no si diffonde il virus”. Perché il ragionamento è un altro. Dato che devo convivere con il virus, e questo è inequivocabile, dato che l’arco temporale che ho davanti ai miei occhi non è un arco temporale ristretto in cui il virus circola, in tutte le sue manifestazioni, quelle più pigre, quelle più gestibili oppure quelle più aggressive che vengono dall’altra parte dell’oceano… non pensiamo che tra 25 minuti sia finito tutto. L’arco temporale di convivenza è molto ampio.

Se è ampio, io ci devo convivere. Allora sto chiuso? La politica fino a qualche tempo fa diceva “stai chiuso e ti dò i ristori”. Ora chiediamo a tutti gli imprenditori e tutti i lavoratori l’Italia se questo è un ragionamento che ha tenuto: “stai chiuso e ti dò i ristori”. I ristori non sono stati tutti quelli necessari come tipologia.

E qualcuno di questi non è stato sufficiente. L’altro giorno un nostro collega ha richiamato i risultati di un centro di ricerche che parla del 5% della copertura delle perdite. Significa che se a me e a lei tolgono uno stipendio poi per farci restare a casa ci danno il 5% di quello stipendio. Noi possiamo pagare l’affitto di casa? L’insalata per mangiare la sera? Non dico la retta della scuola dei figli o la benzina in macchina perché ci hanno anche detto che dobbiamo stare fermi e immobili. Quindi i ristori non sono sufficienti.

Non si può andare avanti a indebitare questo Paese oltre modo. È impossibile continuare a ragionare in questi termini.

Abbiamo la sensazione che ogni settore rivendichi legittimamente le proprie necessità e vada avanti per conto proprio. Oggi per esempio vedevo i ristoratori che protestavano davanti alla Regione Lombardia e facevano dei conti: siamo intorno a quello che lei diceva il 5% di ristori tra cibo buttato e spese effettive eccetera…

E sono aperti, anche se solo per l’asporto, ma sono aperti. Nel gioco pubblico la differenza culturale tra la chiusura “stai chiuso”, cioè metti il lucchetto e mandi i dipendenti a casa, e l’aspetto “fai quello che vuoi nel tuo ambiente purché consegni il prodotto a casa delle persone”, è un po’ la differenza fra il numero 0 e qualunque altro numero …

Ma è possibile fare fronte comune con le altre categorie imprenditoriali?

Questa è una realtà già nei fatti. Ricordiamoci che Acadi aderisce a Confcommercio e nella federazione abbiamo gli amici di FIPE, la Federazione Italiana dei pubblici esercizi. Noi con i ristoratori, così come con i titolari dei pubblici esercizi, abbiamo un feeling totale. Abbiamo anche un’adesione importante su quello che deve essere il riordino del gioco pubblico. Non è una novità che ci sia un’assonanza totale.

Noi siamo il comparto del gioco pubblico e abbiamo da risolvere un problema ancora più grosso, che è quello di non ricevere un ulteriore discriminazione. Dimmi che posso stare aperto in un modo impossibile, che non sostengo. Ho già ottenuto qualcosa, ho ottenuto il rispetto e la dignità del comparto, il riconoscimento dell’importanza del comparto per tutte le ragioni che potremmo elencare.

Ci sono tre categorie. Chi è completamente chiuso. Chi è aperto ma non ce la fa ad andare avanti, chi è aperto e ce la fa ad andare avanti. Noi siamo completamente chiusi. Dobbiamo dircelo in un modo molto chiaro. I settori completamente chiusi muoiono punto. Le chiusure rimangono solo per motivi ideologici. Questa è la battaglia importante.

Poi visto che noi parliamo di comparto del gioco pubblico, noi nella terza categoria non ci dobbiamo proprio stare.E le dico anche che non dobbiamo nemmeno stare nella categoria di chi è aperto ma non riesce ad andare avanti per le troppe limitazioni. E sa perché? Perché le caratteristiche strutturali del comparto del gioco pubblico consentono di dire che il livello di sicurezza che vuoi assicurare all’interno e subito fuori del locale sono perfetti. Nei due o tre mesi che ci hanno concesso tra agosto e settembre, non ci sono stati focolai. Ma perché? Non perché siamo stati fortunati o non è venuto nessuno ad acquistare il prodotto. Ma perché il sistema ha funzionato.

Il prodotto del gioco pubblico come si usa? Si tocca, è un terminale. Prende una pezzetta dopo l’utilizzo e lo pulisce, lo igienizza. Abbiamo tutti un prodotto. Bisogna essere concreti. Quando si dice che la scienza e la tecnica devono essere messi sul tavolo e valutarli senza interferenza ideologiche, noi diciamo questo: non dobbiamo essere chiusi e non dobbiamo nemmeno stare nel gruppo di quelli aperti con limitazioni che li rendono insostenibili. Noi dobbiamo stare aperti. E basta.

Con tutti i protocolli di sicurezza importantissimi che abbiamo pagato noi, concepito noi, implementato noi e che ci siamo fatti giudicare da soggetti terzi, esterni, esperti, tecnici.

I sindacati… perché io vedo un mondo in cui impresa e lavoratori stanno insieme, dalla stessa parte, perché non esiste un mondo in cui c’è l’impresa senza lavoratori e lavoratori senza impresa… è una logica folle.

I sindacati hanno detto che vanno bene, i medici dicono che vanno bene. Ma chi dice che non va bene stare aperti?

Se poi andiamo in tribunale, e ho visto che molti operatori volenterosi ci hanno provato, quanti sono i giudici che si prendono la responsabilità di dire una cosa in più rispetto a quella che l’interesse della salute è superiore? Certo che l’interesse della salute è superiore, ma per favore entriamo nel merito e valutiamo se la salute con quel protocollo di sicurezza che ha l’investitura di tutti i soggetti previsti dalla legge mi dicono che il protocollo è funzionante e andiamo a vedere se è così.

È possibile che con la pandemia la politica abbia recuperato un po’ di lucidità nei confronti del gioco?

Non è un mistero, come lei ha anticipato all’inizio di questa chiacchierata, che il gioco pubblico si porta nello zaino dei massi pesantissimi da prima della pandemia. La pandemia diciamo è il cocomero sulla torta altro che ciliegina…

E uno di questi massi è la questione territoriale. Ora gli studi che sono stati portati a termine sul distanziometro della regione Lazio ci indicano che dal punto di vista urbanistico il divieto si estende sulla sostanziale totalità del territorio. Quindi sono talmente tanti i luoghi sensibili e talmente tanti i metri dei raggi di interdizione che anziché avere delle aree in cui è vietato il gioco tutte le aree sono vietate. Ce ne sono 20 di leggi regionali che sono così.

Cosa è successo nel corso della storia? Per esempio in Puglia, il governatore Emiliano, del PD, fa una legge nuova in cui rivede la legge regionale e dice che il distanziometro non deve essere di 500 ma di 250; riduce l’elenco dei luoghi sensibili e salva le attività esistenti.

Quindi ecco che abbiamo trovato un governatore di una Regione, Emiliano del PD, che con la sua giunta si fa lo studio della questione urbanistica e cambia il distanziometro e lo rende un distanziometro che possiamo chiamare sostenibile.

Andiamo avanti. La regione Liguria per prima rispetto ad Emiliano si accorge del problema è che cosa fa? Sospende l’efficacia dell’entrata in vigore del distanziometro in attesa del riordino. Per cui in Liguria non è sparita l’offerta pubblica di gioco sulla regione.

In Abruzzo è successa la stessa cosa, in Trentino è successa la stessa cosa con delle varianti.
In Campania il governatore De Luca, PD, fa un esercizio complesso analogo a quello del governatore Emiliano PD della Puglia. Quindi, il distanziometro di 500 m invece 250, e le realtà esistenti sono salvaguardate per presidiare il territorio.

Il Lazio no. È ancora in questa situazione. E il distanziometro entra in vigore per le realtà esistenti a giugno del 2021. Praticamente fra 20 minuti. Non avremmo fatto in tempo a lamentarci per la persistenza della chiusura delle attività che queste, già chiuse, dovranno sbaraccare nel Lazio. Questo è un tema gigantesco e ho parlato del Lazio.

Però mi faccia rispondere alla domanda importante: ma la pandemia è stata utile per la politica perché si rendesse conto nella situazione?

Io sono sincero: credo che la pandemia non abbia aggiunto una virgola a quanto la politica già sappia perfettamente rispetto a questo tipo di problematica. Le dò quella che è in tribunale sarebbe “vostro onore la prova documentale”. Sapete qual è? Dicembre 2015, quindi non stiamo parlando del paleolitico ma quasi, la legge di bilancio scrive: per cortesia entro aprile 2016 Stato e Regioni mettetevi d’accordo su dove il gioco pubblico può aprire. Sottotitolo: spazzate via cortesemente tutte le norme espulsive perché io, Stato devo fare le gare per le concessioni. Che altrimenti non posso fare perché chi mi viene a partecipare ad una gara senza sapere dove potrà a lavorare?

L’intesa è stata raggiunta solo nel 2017 tra Stato e Regioni e i principi ci sono. C’è scritto “ridurre l’offerta ma guai a voi se la cancellate perché fate dei danni”.

E le attività devono poter lavorare nell’arco della giornata di 18 ore. Non è possibile che si consenta di lavorare solo sei ore perché con 6 ore di giornalismo al giorno lei non campa; con 6 ore di avvocato al giorno io non campo. E lo Stato questo lo sa. Quindi la domanda sulla consapevolezza della politica: è piena.

Ma lei oggi con tutte queste richieste che arrivano dal fronte del gioco e da tutte le attività produttive è ottimista o pessimista?

Io devo essere ottimista. Perché è il mio lavoro fare delle battaglie e ottenere dei risultati. Se non credessi nel risultato io non avrei questa determinazione. Io devo fare un plauso anche alle donne del nostro comparto. Ho visto che in molte si sono riunite e sono andate a chiedere di avere delle spiegazioni.

Ma anche qua diciamoci la verità: lo stiamo chiedendo tutti quanti e il gioco di squadra è importantissimo. Il nostro comparto esiste fa bene alla salute. Perché noi in modo responsabile mettiamo a disposizione un prodotto di Stato. Altrimenti ci sarebbe un prodotto non controllato non misurato realizzato da altri. Lo stesso vale per il risparmio. Noi assicuriamo il pagamento delle vincite. E assicuriamo che quel prodotto non sia così “sexy”, come dice qualcuno, da andare a stimolare la debolezza del soggetto che magari ha una debolezza nel gioco. Perché? Perché diamo il prodotto voluto dallo Stato.

Si possono migliorare i prodotti sotto questo profilo? Sì. Miglioriamoli, non vietiamoli. Con la nostra presenza noi diamo una mano alle forze di polizia.

Noi diamo una mano alle autorità investigative. Ci mettiamo a disposizione in piena trasparenza di tutte le autorità di polizia locali. Pensi a quando si fanno le Scia per aprire o semplicemente mettere una macchina in un bar; quando facciamo le autorizzazioni ex articolo 88 alla questura. Lì diciamo quanti sono i metri locali del locale, quante sono le persone che sono dentro, e portiamo tutti i pedigree.

Un’altra cosa nei nostri ambienti di gioco noi abbiamo per legge obbligatori sistemi di videosorveglianza. Sa cosa vuol dire? Che se ci sono delle indagini in una certa zona e le forze di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, hanno l’idea che qualcuno possa essere transitato e si possa essere intrattenuto in quel locale, da noi possono venire a chiedere e hanno tutte queste informazioni. Le sembra poco? È ordine pubblico.

Poi abbiamo il gettito erariale. Sa quante sono le somme che vengono giocate? “Dobbiamo combattere l’evasione fiscale”. Lei sa che tutto questo è gettito tolto all’evasione. Cioè sono soldi che comunque sarebbero stati spesi. La tassazione che viene fatta su queste somme di denaro e di oltre il 50%.

Altro interesse costituzionale è quello del diritto all’impresa. È stato creato un comparto dal niente in relazione al quale beneficiano circa 70.000 aziende sul territorio. Oltre 70.000 se consideriamo anche quelle che riguardano la distribuzione.

E andiamo a parlare del diritto al lavoro. Abbiamo toccato il numero di 150 mila lavoratori. Noi nel nostro rapporto di gioco pubblico prima della pandemia abbiamo calcolato che abbiamo un impatto sul Pil del 1%. I politici adesso cominciano a esporsi e uscire dall’imbarazzo. Questo è un comparto che ha diritto ad essere rispettato”.

 

Giampiero Moncada – PressGiochi

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