24 Novembre 2024 - 00:23

CJUE: No a limitazioni all’offerta di gioco legate alla nazionalità dei giocatori

L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso si applica alla situazione di una società stabilita in uno Stato membro, la quale è stata privata della sua autorizzazione all’esercizio

11 Dicembre 2020

L’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso si applica alla situazione di una società stabilita in uno Stato membro, la quale è stata privata della sua autorizzazione all’esercizio di giochi d’azzardo in seguito all’entrata in vigore, in detto Stato membro, di una normativa che stabilisce i luoghi in cui è consentita l’organizzazione di tali giochi, applicabile indistintamente a tutti i prestatori che esercitano la loro attività nel territorio di tale Stato membro, indipendentemente dal fatto che tali prestatori forniscano servizi a cittadini nazionali o a cittadini di altri Stati membri, qualora una parte della clientela di tale società provenga da uno Stato membro diverso da quello del suo stabilimento.

 

Lo ha stabilito la Corte di Giustizia europea concludendo la causa nell’ambito di una controversia tra la BONVER WIN a.s. (societò di scommesse) e il Ministerstvo financí ČR (Ministero delle Finanze della Repubblica ceca) in merito alla legittimità di una decisione di revoca dell’autorizzazione all’esercizio di giochi d’azzardo di cui la società era titolare nel territorio della città di Děčín (Repubblica ceca).

Nella causa si torna a discutere del potere di comuni di introdurre limiti alle attività di gioco sia relativi agli orari sia ai luoghi di offerta. Infatti, la legge della Repubblica Ceca del 1990 stabilisce che mediante un regolamento di portata generale, un comune può limitare l’esercizio dei giochi di scommessa (…), delle lotterie e di altri giochi simili (…) ai soli orari ed ai soli luoghi specificati nel medesimo regolamento, stabilire in quali orari ed in quali luoghi l’esercizio delle lotterie e di altri giochi simili è vietato oppure vietare del tutto il loro esercizio nell’intero territorio comunale.

 

“Occorre ricordare – afferma il Giudice della Corte – che legislazioni nazionali come quelle oggetto del procedimento principale, le quali sono applicabili indistintamente a cittadini di diversi Stati membri, possono, di norma, essere ricondotte alle disposizioni relative alle libertà fondamentali garantite dal trattato FUE solo in quanto si applichino a situazioni che hanno un collegamento con gli scambi fra Stati membri. Infatti, le disposizioni del Trattato FUE in materia di libera prestazione dei servizi non sono applicabili a una fattispecie i cui elementi sono tutti collocati all’interno di un unico Stato membro. Ciò premesso, occorre ricordare che l’articolo 56 TFUE impone l’eliminazione di qualsiasi restrizione alla libera prestazione di servizi, ancorché applicabile indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, nel caso in cui essa sia idonea a vietare, a ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, dove egli fornisce legittimamente servizi analoghi. Inoltre, della libertà di prestazione dei servizi beneficia tanto il prestatore quanto il destinatario dei servizi. Essa include la libertà, per i destinatari dei servizi, di recarsi in un altro Stato membro per ivi fruire di un servizio, senza essere ostacolati da restrizioni, e i turisti devono essere considerati come destinatari di servizi.

E’ irrilevante che la restrizione nei confronti di un prestatore di servizi sia imposta dal suo Stato membro di origine. Infatti, dalla giurisprudenza della Corte risulta che la libera prestazione dei servizi non riguarda soltanto le restrizioni poste dallo Stato di destinazione, ma anche quelle poste dallo Stato di origine

Il trattato considera allo stesso modo le restrizioni imposte ai prestatori di servizi e quelle imposte ai destinatari di servizi. Pertanto, quando la situazione rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 56 del TFUE, tanto il destinatario quanto il prestatore di un servizio possono invocare detto articolo.

In tal senso, la Corte ha già dichiarato che il diritto alla libera prestazione di servizi può essere fatto valere da un’impresa nei confronti dello Stato in cui essa è stabilita, quando i servizi sono forniti a destinatari stabiliti in un altro Stato membro. Occorre tuttavia ricordare che la Corte, quando è adita da un giudice nazionale nel contesto di una situazione i cui elementi sono tutti collocati all’interno di un unico Stato membro, non può, senza indicazioni da parte di tale giudice diverse dal fatto che la normativa in questione sia applicabile indistintamente ai cittadini dello Stato membro interessato e ai cittadini di altri Stati membri, considerare che la domanda di interpretazione in via pregiudiziale vertente sulle disposizioni del trattato FUE relative alle libertà fondamentali sia necessaria ai fini della soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente. Infatti, gli elementi concreti che consentono di stabilire un collegamento fra l’oggetto o le circostanze di una controversia i cui elementi sono tutti collocati all’interno dello Stato membro interessato e l’articolo 56 TFUE devono risultare dalla decisione di rinvio.

Dalla giurisprudenza della Corte risulta, altresì, che non si può presumere l’esistenza di una situazione di carattere transfrontaliero per il solo motivo che taluni cittadini dell’Unione provenienti da altri Stati membri potrebbero avvalersi delle possibilità di servizi così offerte. Ne deriva che, nel caso di specie, la mera affermazione di un prestatore di servizi secondo cui una parte della sua clientela proviene da uno Stato membro diverso da quello del suo stabilimento non è sufficiente a dimostrare l’esistenza di una situazione transfrontaliera, tale da rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 56 TFUE. Per sottoporre alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale concernente la situazione di siffatto prestatore, il giudice nazionale deve attestare la fondatezza di tale asserzione nella decisione di rinvio.

La Corte ha già dichiarato che una legislazione di uno Stato membro che limiti il diritto all’esercizio di giochi d’azzardo a taluni luoghi può costituire una restrizione alla libera prestazione dei servizi rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 56 TFUE.

Alla luce delle suesposte considerazioni, – conclude la Corte – alle questioni sollevate dal giudice del rinvio occorre rispondere che l’articolo 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso si applica alla situazione di una società stabilita in uno Stato membro, la quale è stata privata della sua autorizzazione all’esercizio di giochi d’azzardo in seguito all’entrata in vigore, in detto Stato membro, di una normativa che stabilisce i luoghi in cui è consentita l’organizzazione di tali giochi, applicabile indistintamente a tutti i prestatori che esercitano la loro attività nel territorio di tale Stato membro, indipendentemente dal fatto che tali prestatori forniscano servizi a cittadini nazionali o a cittadini di altri Stati membri, qualora una parte della clientela di tale società provenga da uno Stato membro diverso da quello del suo stabilimento”.

PressGiochi

Fonte immagine: CORTE DI GIUSTIZIA DELL' UNIONE EUROPEA CJEU CURIA

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