23 Novembre 2024 - 04:32

Campione d’Italia: le soluzione del Viminale per la riapertura del casinò

Una prima soluzione ipotizzata riguarda, ad esempio, la possibilità di ricorrere all’articolo 6 della Legge fallimentare, che prevede l’istituto della c.d. dichiarazione del fallimento in proprio da parte del debitore, al fine di porre anzi tempo fine al contenzioso.

28 Settembre 2020

Il 9 gennaio 2018 la Procura della Repubblica di Como, accertata la crisi di liquidità della società di gestione della Casa da gioco, denominata “Casinò di Campione S.p.A.”, nonché le esigue prospettive di riduzione dei costi gestionali e di incremento a breve termine degli utili ha richiesto alla sezione fallimentare del locale Tribunale di dichiararne il fallimento.

Come si legge su una nota del Ministero dell’Interno trasmessa per rispondere all’ordine del giorno a firma Billi già accolto dal Governo nella seduta dell’Assemblea del 23 dicembre 2019: “Il giudice fallimentare, con pronuncia del 26 marzo 2018, ha respinto l’istanza della Procura, invitando l’azienda a presentare un piano di riequilibrio finanziario e dando avvio alla procedura di “concordato preventivo” sollecitata dalla società in parola. Con decisione del 28 maggio 2018, il Tribunale di Como, accolta l’istanza in tal senso formulata dal Casinò, assegnava un nuovo termine per la presentazione di una proposta definitiva di concordato preventivo ovvero di una domanda omologa di ristrutturazione dei debiti. Con sentenza del 26 luglio dello stesso anno, il Tribunale stabiliva l’inammissibilità dell’istanza presentata dalla società finalizzata ad ottenere la concessione di un ulteriore termine per l’integrazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, dichiarandone inoltre, con coeva e separata sentenza, il fallimento e nominando, conseguentemente, i relativi curatori. Avverso la predetta pronuncia è stato, quindi, proposto reclamo presso la Corte d’Appello di Milano, la quale, con sentenza del 17 gennaio 2019, rimetteva in discussione gli esiti decisori del primo grado e rinviava nuovamente le parti avanti il Tribunale di Como. Con atto del 13 marzo 2019, la locale Procura della Repubblica avanzava istanza di “riassunzione” del procedimento inerente la richiesta di fallimento o, in alternativa, una nuova richiesta di fallimento. Parallelamente, la Banca Popolare di Sondrio, importante creditrice del Casinò, presentava ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, al fine di ottenere la dichiarazione di non assoggettabilità della società alla procedura fallimentare.

La curatela proponeva nella stessa sede ricorso incidentale. Tale complessa vicenda giudiziaria si inserisce nell’ambito di un assetto ordinamentale che riserva alla società di gestione del Casinò una specifica disciplina normativa. L’art. 10-bis del decreto-legge del 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, dispone, infatti, che la società per azioni per la gestione della Casa da gioco – autorizzata all’esercizio dell’attività d’impresa dal Ministero dell’interno di concerto col Ministero dell’economia e delle finanze e sottoposta alla vigilanza degli stessi Dicasteri – sia partecipata al 100% dal Comune di Campione d’Italia. Sezione II – Atti di indirizzo e di controllo 133 Per quanto concerne più nel dettaglio la questione della riapertura del Casinò, giova preliminarmente osservare come ogni valutazione in merito non possa prescindere dagli esiti della pendenza giudiziaria, ove risultano in discussione delicatissimi profili legali attinenti alla tutela dei soggetti creditori.

Una prima soluzione ipotizzata riguarda, ad esempio, la possibilità di ricorrere all’articolo 6 della Legge fallimentare, che prevede l’istituto della c.d. dichiarazione del fallimento in proprio da parte del debitore, al fine di porre anzi tempo fine al contenzioso. Ferme restando in proposito le valutazioni di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze, si osserva che un esame letterale della normativa di riferimento sembrerebbe lasciare limitati margini interpretativi per sostenere la tesi secondo cui il debitore, in costanza di un giudizio in corso, possa attivare l’istituto del fallimento in proprio. Ad ogni buon conto, un’ipotetica dichiarazione in tal senso formulata dovrebbe essere deliberata dall’assemblea straordinaria della società, convocata su richiesta del socio unico ovvero dal Comune di Campione d’Italia che potrebbe, così, essere esposto a ricadute in termini di responsabilità, anche di natura penale.

Una seconda soluzione potrebbe essere quella di consentire al Comune di promuovere una gara aperta ai privati per la gestione della Casa da gioco. Per rendere percorribile una simile ipotesi sarebbe necessaria l’adozione di una norma primaria che, modificando le previsioni dell’articolo 10-bis del decreto-legge n. 174 del 2012, stabilisca espressamente che il Ministero dell’interno, di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, possa autorizzare il Comune ad indire una gara pubblica per l’affidamento a soggetti terzi privati dell’esercizio dell’attività del gioco azzardo, previa definizione del fallimento dell’attuale società di gestione che, quindi, si estinguerebbe come soggetto giuridico. Nel caso, peraltro, si valutasse l’adozione di una simile norma, sarebbe, altresì, opportuno prevedere in via precauzionale, a tutela della stessa amministrazione comunale e dei Dicasteri vigilanti, che gli schemi degli atti di gara predisposti dal Comune e la relativa convenzione siano sottoposti al preventivo vaglio dell’Avvocatura generale dello Stato. Tale soluzione sarebbe, del resto, confortata dal precedente del 2014 relativo alla società di gestione del Casinò dl Venezia, per il quale il Comune ha avviato una gara pubblica per l’affidamento a terzi dell’esercizio dell’attività del gioco d’azzardo. In quel caso, tuttavia, l’intero procedimento era dotato di copertura normativa in quanto l’autorizzazione era stata concessa con decreto ministeriale in base ad una norma che, in deroga ad un preciso divieto di natura penale, demandava al Ministero dell’interno il potere di autorizzare l’Amministrazione comunale a gestire l’attività di gioco, senza indicare le relative modalità di esercizio. Nel caso di Campione d’Italia, viceversa, come già precisato, le modalità di gestione sono state più dettagliatamente disciplinate, da ultimo, con il citato decreto legge n. 174 del 2012 che, al momento, non consente di seguire il medesimo percorso amministrativo. Entrambe le proposte sopra sintetizzare prevedono, tuttavia, come pre-requisito la conclusione del contenzioso fallimentare, attualmente pendente in Cassazione.”

 

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