“Ciò che emerge chiaramente è che l’unico a guadagnare veramente in questo settore è… lo Stato! Ciò non sarebbe sorprendente, se non fosse che, andando a guardare altri settori svolti
“Ciò che emerge chiaramente è che l’unico a guadagnare veramente in questo settore è… lo Stato!
Ciò non sarebbe sorprendente, se non fosse che, andando a guardare altri settori svolti in concessione (autostrade, utilities, trasporto pubblico locale, sanità ecc.) i concessionari guadagnano molto di più”.
Questo il commento dell’economista Prof. Dario Peirone, docente di economia dell’Università di Torino e direttore dell’Istituto Milton Friedman, che commenta l’articolo ‘Conti in tasca ai signori del gioco. Ecco a chi vanno i soldi degli scommettitori’ pubblicato su PressGiochi Magazine.
“Gli economisti, analizzando il regime regolatorio dei servizi pubblici, si sono sempre soffermati sul rischio che, lavorando in un settore “protetto” dal regime concessorio, si perdessero gli incentivi all’efficienza e all’innovazione. Per tale ragione si è sempre detto che lo Stato avrebbe dovuto “pagare” il privato che svolgeva un servizio “di pubblica utilità”, di solito a prezzi calmierati, proprio per consentirgli di svolgere il servizio mantenendo l’efficienza economica.
Ma nella realtà questo non basta, e gli effetti della mancanza di innovazione si vedono in molti settori protetti, dalle autostrade fino alla sanità privata.
Nel caso del gioco lecito, che pure lo Stato rivendica come sua esclusiva, intervengono due fattori, che emergono dalla sua analisi.
Il primo è l’assoluta mancanza di una concezione imprenditoriale di questo settore. Lo Stato agisce nel settore del gioco ma nello stesso tempo esprime una posizione moralista, che lo autorizza a tassare il gioco sempre di più, ben sapendo che si tratta di una tassazione indiretta, e quindi meno visibile al consumatore finale con ben pochi effetti disincentivanti. Quello che viene invece disincentivato è la capacità d’impresa dei concessionari, che ben poca autonomia hanno nello svolgere il loro lavoro.
E qui veniamo al secondo fattore: la mancanza totale di visione strategica sul settore del gioco. Stando ai dati, molti concessionari sono imprese che svolgono altre attività, come i bar e le tabaccherie. Ovvero, due dei pochi presìdi sociali rimasti a livello locale, attraverso cui lo Stato potrebbe svolgere una grandissima attività di disintermediazione e di sburocratizzazione, pensiamo solo ad alcune funzioni d’anagrafe, ai certificati, ai pagamenti (ed ai rimborsi) fiscali. Fino ad oggi, tutto rimane confinato al pagamento del bollo auto o poco più. Con effetti deleteri in termini di innovazione, di costi e di miglioramento nel rapporto con i cittadini.
Considerare il gioco lecito come un’industria a tutti gli effetti, e gli operatori come imprese in un libero mercato, porterebbe quindi un contributo enorme in termini economici, ma anche sociali”.
PressGiochi