Nei giorni scorsi la Corte di Appello di Roma è intervenuta nel caso di un CTD collegato a StanleyBet, già assolto in primo grado, condannando il titolare per raccolta abusiva
Nei giorni scorsi la Corte di Appello di Roma è intervenuta nel caso di un CTD collegato a StanleyBet, già assolto in primo grado, condannando il titolare per raccolta abusiva di scommesse sportive. In primo grado il Tribunale di Roma era stato molto preciso nell’analizzare i molteplici e lineari orientamenti giuridici europei sedimentatisi nel corso degli anni, ma a nulla è valso perché la Corte d’Appello che invece ha ribaltato tale giudizio ponendo come fulcro della pronuncia la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia Europea il 22 gennaio 2015 in merito al Bando Mondo Monti.
Secondo la Corte d’Appello, infatti, proprio con il Bando delle 2.000 concessioni emesso nel 2012 sarebbe “venuto meno l’impedimento normativo alla partecipazione della Stanley alle gare per l’ottenimento delle concessione”, e di conseguenza nessuna importanza avrebbe l’indirizzo giurisprudenziale comunitario acquisito negli anni e riferito a StanleyBet e all’intero impianto concessorio italiano. In sostanza quindi la Corte d’Appello sorvola su un principio fondamentale del diritto penale che è quello dell’irretroattività, ossia della non applicabilità di una norma penale a quelle condotte messe in atto prima della sua entrata in vigore.
Secondo l’Acogi quindi, la pronuncia espressa dalla Corte di Appello di Roma che ha deciso di condannare il titolare del CTD collegato a StanleyBet, già assolto in primo grado, è fortemente discutibile dal punto di vista giuridico perché l’operatore anglomaltese gode di molte sentenza favorevoli della Corte di Giustizia Europea, che hanno di fatto legittimato l’operatività dei CTD Stanley sul nostro territorio. Secondo il presidente Ugo Cifone «l’assunto argomentativo della Corte di Appello capitolina, secondo cui il contesto giurisprudenziale della CGE sarebbe mutato con la sentenza del 2015, non è condivisibile perché rende nullo il riconoscimento di diritti conclamati in 15 anni di ingiuste discriminazioni. Bisogna ricordare poi – continua Cifone – che la sentenza del 22 gennaio è stata inconcludente e nociva per il sistema perché i Giudici non hanno preso posizione su una delle questioni focali del rinvio pregiudiziale formulato dal Consiglio di Stato ovvero relativo al ripristino di quelle discriminazioni riconosciute con la Sentenza Costa-Cifone. La CGE, nella sentenza di gennaio, – conclude il presidente di Acogi – si è limitata a motivare solo il quesito pregiudiziale relativo alla durata delle concessioni tralasciando gli altri quesiti oggetto di dicriminazione. Si sta correndo il rischio di un’ulteriore stratificazione di riferimenti giurisprudenziali inconferenti, con conseguente confusione del mercato, e soprattutto dei lavoratori del settore coinvolti».
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