24 Dicembre 2024 - 17:05

Guerreschi (Siipac) a Verona: “Nel gioco d’azzardo il proibizionismo assoluto non può funzionare”

Si svolge oggi presso la Sala Arazzi del Comune di Verona l’evento dal titolo “Il gioco patologico, i risvolti sociali del fenomeno e le regolamentazioni”. L’evento, organizzato dalla Croce Rossa

20 Luglio 2018

Si svolge oggi presso la Sala Arazzi del Comune di Verona l’evento dal titolo “Il gioco patologico, i risvolti sociali del fenomeno e le regolamentazioni”. L’evento, organizzato dalla Croce Rossa di Verona e Siipac, ha visto la partecipazione del Dott. Alessandro Ortombina, Presidente del Comitato di Verona della Croce Rossa Italiana, del Prof. Cesare Guerreschi, psicologo- psicoterapeuta, nonché fondatore e presidente di SIIPaC, di Luigi Nevola, presidente dell’associazione La Sentinella.

E’ stato proprio il prof. Cesare Guerreschi a tracciare le linee dell’evoluzione del gioco pubblico negli ultimi anni descrivendo attraverso la diretta esperienza della Siipac gli approcci adottati per la cura di questo tipo di dipendenza e presentando le proprie proposte per affrontare a livello generale e anche politico questo delicato fenomeno.

 

“E’ importante sottolineare – ha dichiarato il presidente di Siipac – l’enorme differenza tra la realtà sana del gioco d’azzardo responsabile e la piaga del gioco patologico. È molto pericoloso confondere l’eccellenza dell’industria vitivinicola con la piaga dell’alcol-dipendenza.

Il problema da combattere è il gioco patologico. La realtà del gioco d’azzardo sano è enorme, non possiamo permetterci di sottrarla al controllo dello Stato per relegarla all’illegalità. La dipendenza da gioco patologico è una realtà in costante crescita: bisogna necessariamente potenziare le attività di prevenzione e cura, con un’attenzione particolare ai giovani.

Gli interventi in tal senso vanno meglio coordinati ed armonizzati: questo deve essere lo sforzo di politici e amministratori. Non ci si può affidare soltanto all’iniziativa isolata delle poche realtà di eccellenza private e delle pochissime eccellenze pubbliche.

La prevenzione passa dalla formazione di tutti gli operatori: politici, amministratori, operatori sanitari, educatori, ma anche e soprattutto degli impiegati nell’industria del gioco, per arrivare ad una prevenzione realmente precoce e capillare, che è un interesse di tutti. Una forte regolamentazione del settore è senz’altro opportuna, ma bisogna fare attenzione a non cadere in facili proibizionismi, che quasi sempre creano più danni che benefici.

 

 

“Non si può negare – spiega lo psicologo – che in questi anni si è creata una situazione di estrema confusione riguardo al tema del gioco d’azzardo, sotto molteplici punti di vista: dall’armonizzazione delle cure rivolte ai giocatori patologici al coordinamento degli interventi legislativi, dalla formazione degli operatori del settore alla sensibilizzazione della società civile.

Esiste un’enorme differenza tra un giocatore “responsabile” e un giocatore “patologico”, ed è la stessa differenza che distingue un appassionato di vini “responsabile” da un alcol-dipendente.

I numeri del gioco d’azzardo responsabile sono ingenti (15 milioni di persone che si divertono giocando senza rischi, 9 miliardi di gettito nelle casse dello stato, più di 230.000 posti di lavoro), è ingente anche il numero dei giocatori a rischio medio/alto (parliamo di quasi 1 milione e 400 mila persone).

 

 

La prevenzione –  La prevenzione e la cura del gioco d’azzardo patologico – continua Guerreschi – necessitano di politiche solide e di lungo respiro: è prima di tutto responsabilità della politica radicare nelle varie articolazioni dello Stato (ministeri, enti locali, ASL, scuole, ecc.) una cultura della prevenzione che faciliti la promozione di azioni concrete a tutti i livelli.

Tra le principali disposizioni che si sono susseguite negli ultimi anni, va citato senz’altro il decreto “Balduzzi” varato dal governo Monti nel 2012: esso è di estrema importanza, poiché per la prima volta riconosce il gioco patologico come vera e propria malattia e ne include il trattamento nei Livelli Essenziali di Assistenza.

Altri passaggi importanti, avvenuti sotto il governo Renzi, sono:

  1. l’approvazione nel 2014 della delega fiscale, che contiene importanti misure di contrasto al gioco d’azzardo;
  2. la creazione nel 2015 dell’Osservatorio per il contrasto e la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave, incardinato presso il Ministero della Salute;
  3. la creazione nel 2016 di un fondo ad hoc da 50 milioni di euro “al fine di garantire le prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione, rivolte alle persone affette da disturbo da gioco d’azzardo”.

 

Inoltre, il succitato Osservatorio ha pubblicato un documento, approvato a dicembre 2017 dalla Conferenza Stato Regioni, che contiene le linee guida per garantire prevenzione, cura e riabilitazione su tutto il territorio nazionale.

Se parliamo di prevenzione, non posso non ricordare che i nostri giovani sono una fascia di popolazione senz’altro più esposta di altre ai tanti rischi legati all’esagerazione e all’abuso. È per questo motivo che è fondamentale per esempio educare i nostri ragazzi per quanto riguarda l’assunzione di alcol o il sesso, diffondendo una cultura “sana” e responsabile, in modo da prevenire l’abuso di alcolici e la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili. Allo stesso modo, è importante fin dall’età infantile – l’età del gioco per eccellenza – iniziare a creare una cultura “sana” del gioco, che favorisca un consumo sociale e responsabile e prevenga precocemente l’inconsapevolezza e l’abuso.

Uno strumento di intervento sui giovani originale ed efficace potrebbe essere ad esempio la “peer education”, da attuare tra gruppi di adolescenti. Il gruppo dei pari, infatti, gioca un ruolo fondamentale nella fase adolescenziale: nella “peer education” i giovani sono naturalmente disposti ad assumersi il ruolo di attori primari nella progettazione e realizzazione di iniziative di prevenzione rivolte ai coetanei.

Non si può però pretendere di delegare ogni sforzo solamente alle istituzioni: molte iniziative possono e devono partire dalla società civile, che ha il dovere di partecipare in maniera attiva alla prevenzione del gioco patologico, con iniziative capillari, che coinvolgano tutte le realtà in modo efficace e – perché no? – anche creativo.

Penso per esempio ad associazioni di categoria come Confindustria: se supportassero e coordinassero i propri associati, facendo in modo che ogni azienda del Paese mandasse una breve mail ai propri dipendenti per sensibilizzare riguardo ai rischi del gioco d’azzardo patologico, magari con link a siti di approfondimento, si realizzerebbe con pochissima spesa una campagna d’informazione di enorme portata.

Oppure, così come una fiction come “Braccialetti rossi” ha rotto il tabù del dolore della malattia infantile, peraltro con grande successo di ascolti, così l’introduzione in una fiction di personaggi con dipendenza da gioco potrebbe far capire al grande pubblico il dolore dei giocatori patologici e delle loro famiglie molto più di decine di conferenze e congressi specialistici.

 

La formazione – L’azione di prevenzione è strettamente correlata a quella della formazione di tutti gli operatori del settore.

Come ho accennato poco fa, – ha spiegato lo psicoterapeuta – l’Osservatorio ha pubblicato recentemente le linee guida sulle attività di prevenzione, cura e riabilitazione sul gioco patologico. Si tratta di un documento di fondamentale importanza, teso alla omologazione e all’armonizzazione degli interventi di prevenzione sul territorio nazionale.

Resta però ancora molto da fare.

Due sono le direttrici su cui investire:

  • innanzi tutto è fondamentale potenziare la formazione degli operatori nel settore della prevenzione e della cura. Peraltro, a mio parere, una formazione ricca e completa può emergere solamente intessendo una rete organica di relazioni e scambi tra tutte le realtà che offrono assistenza sul territorio: ASL, Servizi Territoriali (Ser.T), ospedali, ma anche le numerose strutture private, spesso molto più avanzate di quelle pubbliche, e anche i singoli professionisti, magari con il supporto formativo dei rispettivi Ordini professionali.
  • In secondo luogo va sostenuta un’azione di formazione capillare degli operatori impiegati nell’industria del gioco d’azzardo, a tutti i livelli, compresi i concessionari, poiché – se vogliamo una prevenzione “precoce” – gli operatori del settore devono avere gli strumenti formativi per poter prestare una particolare attenzione alla prevenzione degli eccessi e al riconoscimento delle situazioni a rischio.

 

 

Il proibizionismo – Va detto chiaramente che il proibizionismo assoluto e intransigente non può funzionare, ma anzi avrebbe l’unico effetto di far esplodere il gioco illegale e le patologie da gioco, fuori da ogni possibilità di controllo e prevenzione da parte dello Stato.

Un semplicistico e cieco proibizionismo assoluto sarebbe una soluzione “facile” e superficiale per chiudere gli occhi e voltarsi dall’altra parte: a prescindere da qualsiasi considerazione sulla distruzione di posti di lavoro e di gettito per l’Erario in caso di abolizione assoluta del gioco legale, mi pare chiaro che da un lato è impensabile nella pratica sradicare per legge un fenomeno antico quanto l’uomo, e dall’altro è evidente che si finirebbe soltanto per consegnare la realtà del gioco interamente nelle mani della criminalità organizzata.

Un approccio più costruttivo e – direi – necessario è quello di rafforzare una cornice giuridica volta a una maggiore regolamentazione del settore, che definirei “legalizzazione responsabile”. Per esempio, la riduzione del numero di sale slot sul territorio italiano sembra incidere positivamente sulla riduzione dell’insorgenza di gioco patologico. Allo stesso modo, sicuramente la regolamentazione della pubblicità relativa al gioco d’azzardo è un primo passo concreto sulla strada della prevenzione, ma non basta: sarebbe ancora più efficace, ad esempio, prevedere soluzioni più articolate, quali ad esempio l’obbligo per le aziende del settore di destinare una percentuale dei ricavi alla realizzazione di campagne educative relative al “giocare responsabilmente”.

 

I punti principali su cui concentrarsi – ha concluso il prof. Guerreschi durante l’incontro di Verona – sono la prevenzione, nonché la trasmissione e la divulgazione di una cultura del gioco d’azzardo responsabile, del divertimento, del suo valore storico e sociale. Una cultura cioè che contribuisce a collocare il gioco d’azzardo in una dimensione ludica e di relazione, che va in direzione opposta, previene e toglie spazio al rischio di abbandonarsi ad abuso e dipendenza.

Sono convinto che l’unica arma veramente potente nelle nostre mani sia l’informazione. Un’informazione che sia però un’azione coordinata di agenti pubblici e privati, perché solo con un’azione sinergica si può riuscire a permeare ogni ambito della vita sociale e personale, in modo da concretizzare una rieducazione che coinvolga le basi della nostra società.

 

 

 

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