24 Novembre 2024 - 07:45

Awp, tassa dei 500 mln. La Corte Costituzionale rimette gli atti al Tar Lazio

La Corte Costituzionale ha ordinato la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio relativamente alla legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 649, della legge 23 dicembre 2014, n. 190,

13 Giugno 2018

La Corte Costituzionale ha ordinato la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio relativamente alla legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 649, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015) nella parte in cui prevede una riduzione, pari a 500 milioni di euro su base annua a decorrere dall’anno 2015, delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e degli altri operatori della filiera.

 

Di seguito la sentenza integrale:

 

 

SENTENZA N. 125

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 649, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)», promossi dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con sedici ordinanze del 16 dicembre 2015 e sei del 17 novembre 2015, iscritte ai numeri da 144 a 153, da 158 a 160 e da 164 a 171 del registro ordinanze 2016 e al n. 80 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 35, 36, 37 e 38, prima serie speciale, dell’anno 2016 e n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione della Cogetech spa e, a seguito della sua incorporazione, della Snaitech spa, della Intralot Gaming Machines spa, della NTS Network spa, della Codere Network spa, della Admiral-Gaming Network srl, della Lottomatica Videolot Rete spa, della Cirsa Italia spa, della SNAI spa e, a seguito di modifica della sua denominazione sociale, della Snaitech spa, della Only Games srl, della Ricreativo B spa, della Jolly videogiochi srl e altra, della Gamenet spa, della Cinque Punto Cinque srl, della Italy Qube srl, e della Sisal Entertainment spa, del Codacons, fuori termine, e dell’Associazione nazionale sezioni apparecchi per pubbliche attrazioni ricreative – SAPAR, fuori termine, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica e nella camera di consiglio dell’8 maggio 2018 il Giudice relatore Giovani Amoroso;

uditi gli avvocati Carmelo Barreca per la Snaitech spa e altre, Francesco Cardarelli per la Codere Network spa e altra, Alessandro Botto per la Lottomatica Videolot Rete spa, Generoso Bloise per la Only Games srl e altra, Stefano Sbordoni per la Jolly videogiochi srl e altra, Ugo De Luca per la Cinque Punto Cinque srl e altra, Annalisa Lauteri per la Sisal Entertainment spa e l’avvocato dello Stato Pio Giovanni Marrone per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.− Con ventidue ordinanze di analogo tenore − di cui sedici del 16 dicembre 2015 (r. o. numeri 144, 147, 151, 152, 153, 158, 159, 160, 165, 166, 167, 168, 169, 170, 171 del 2016, e n. 80 del 2017) e sei del 17 novembre 2015 (r. o. numeri 145, 146, 148, 149, 150 e 164 del 2016) − il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 649, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)».

Tale disposizione, nel contesto della disciplina degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell’ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, praticato mediante gli apparecchi di cui all’art. 110, sesto comma, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante «Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza» (di seguito anche: TULPS), ha introdotto una riduzione, pari a 500 milioni di euro su base annua a decorrere dall’anno 2015, delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e degli altri operatori della filiera.

Conseguentemente ha posto a carico dei concessionari l’obbligo di versare, in aggiunta a quanto trasferito allo Stato ordinariamente sulla base delle convenzioni di concessione, la somma di 500 milioni di euro, entro i mesi di aprile e di ottobre di ogni anno. Ed ha stabilito che tale onere gravi su ciascun concessionario in misura proporzionale al numero di apparecchi ad esso riferibili alla data del 31 dicembre 2014, prevedendo che, con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM), adottato entro il 15 gennaio 2015, sia fatta la ricognizione del numero degli apparecchi da gioco riferibili a ciascun concessionario.

La stessa disposizione prevede inoltre che gli operatori di filiera debbano versare ai concessionari – complessivamente tredici società titolari di concessioni assentite nel 2013 – l’intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante i predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate, ma non anche dei compensi pattuiti con i singoli accordi contrattuali. I concessionari, poi, sono onerati di ripartire con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti per concordare, di nuovo, gli aggi e compensi dovuti.

Il TAR rimettente riferisce di essere investito di plurimi giudizi originati da ricorsi proposti distintamente sia dalle società concessionarie dei suddetti giochi pubblici, sia da alcuni gestori operanti per le concessionarie, contro l’ADM e il Ministero dell’economia e delle finanze; ricorsi aventi ad oggetto l’annullamento del provvedimento del Direttore dell’Agenzia prot. 4076/RU del 15 gennaio 2015, emesso in applicazione dell’art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, con il quale è stato determinato il numero degli apparecchi di cui all’art. 110, sesto comma, lettere a) e b), del r.d. n. 773 del 1931, riferibili a ciascun concessionario alla data del 31 dicembre 2014, nonché la quota parte del versamento dell’importo di cui all’art. 1, comma 649, lettera b), della legge n. 190 del 2014, dovuto dai singoli concessionari in misura proporzionale al numero degli apparecchi a ciascuno di essi riferibili. Si tratta degli apparecchi del tipo Amusement with prizes (AWP) e Video lottery terminal (VLT) rientranti nella categoria del gioco lecito ai sensi dell’art. 110, sesto comma, lettere a) e b), del TULPS, in riferimento al quale sono selezionati mediante procedure ad evidenza pubblica i soggetti cui affidare in concessione la realizzazione e conduzione della rete per la gestione telematica del gioco.

2.− Nelle ordinanze di rimessione il TAR Lazio formula argomentazioni sostanzialmente coincidenti a sostegno dei sollevati dubbi di legittimità costituzionale.

In particolare, il rimettente precisa che il rapporto tra lo Stato e i concessionari è regolato da apposite convenzioni, mentre quelli tra concessionari e gli altri operatori della filiera (gestori ed esercenti) da contratti di diritto privato. Osserva, inoltre, che il compenso spettante ai concessionari è calcolato in via residuale, in quanto è pari all’importo delle giocate dedotti sia le vincite pagate ai giocatori, sia gli importi dovuti agli altri operatori della filiera, gestori ed esercenti, sulla base dei contratti di diritto privato, sia gli importi dovuti all’ADM a titolo di canone di concessione, sia quanto spettante all’erario a titolo di prelievo unico (PREU), pari al 13 per cento delle giocate con AWP ed al 5 per cento delle giocate con VLT.

In punto di rilevanza, afferma il TAR di dover fare applicazione della disposizione censurata perché l’impugnato decreto direttoriale è stato adottato nell’esercizio di un potere del tutto vincolato, in applicazione della disposizione stessa, sicché la definizione del giudizio è condizionata dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale.

In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente dà atto che, per valutare se vi sia stato il superamento del limite della proporzionalità rispetto all’obiettivo di interesse pubblico di nuove risorse per l’erario, sono stati disposti degli accertamenti istruttori di tipo economico, a seguito dei quali è emerso che rispetto all’intera filiera, l’incidenza del versamento imposto non appare – secondo il TAR − in contrasto con il principio di proporzionalità, non diversamente da quanto ritenuto, nella stessa materia della disciplina del gioco lecito, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 2015.

Con riferimento invece al riparto del suddetto prelievo forzoso, il TAR afferma che la norma censurata non solo contrasterebbe con il canone della ragionevolezza, quale limite all’esercizio della discrezionalità del legislatore, ma violerebbe anche il principio di parità di trattamento (art. 3 Cost.).

Con riguardo alla ragionevolezza, il rimettente osserva che l’intervento legislativo è avvenuto in dichiarata anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera, nell’ambito della rete di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell’art. 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita). Però, mentre tale disposizione della legge di delega (poi di fatto non esercitata) prevede che la revisione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori debba avvenire «secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate», la norma censurata ha, invece, stabilito la riduzione in «quota proporzionale al numero di apparecchi […] riferibili [ai concessionari] alla data del 31 dicembre 2014». Sebbene, quindi, sia stato fatto specifico riferimento alla norma che prevede il criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate, il parametro introdotto dalla norma impugnata, per ripartire tra i concessionari l’importo di 500 milioni di euro, è invece legato ad un dato fisso, qual è il numero degli apparecchi riferibili al concessionario al 31 dicembre 2014, o in sede di ricognizione successiva, e non, piuttosto, ad un dato di flusso quale i volumi di raccolta delle giocate. Sussisterebbe, dunque, la violazione del principio di ragionevolezza, sia per contraddittorietà intrinseca della disposizione che afferma di attuare una norma per poi discostarsene, sia perché prevede il riferimento ad un dato statico, ancorché soggetto ad aggiornamento, ossia al numero degli apparecchi riferibili a ciascun concessionario a una certa data, piuttosto che a un dato dinamico, cioè al volume di raccolta delle giocate. Ad avviso del rimettente, infatti, la capacità di reddito del concessionario e della relativa filiera è misurata dall’entità complessiva degli importi incassati piuttosto che dal numero degli apparecchi riferibili a ciascun soggetto.

La norma censurata contrasterebbe altresì con il principio di uguaglianza in quanto, posto che il riferimento al numero degli apparecchi non è indicativo del reddito conseguito da ciascun concessionario, la ripartizione della riduzione dei compensi può andare a beneficio degli operatori i cui apparecchi registrano un maggior volume di giocate e a detrimento degli operatori che ne registrano di meno. Si tratterebbe, pertanto, di una previsione normativa che viola i canoni di ragionevolezza e di uguaglianza nella presunzione che ciascun apparecchio abbia la stessa potenzialità di reddito, là dove quest’ultima dipende, invece, da una molteplicità di fattori, quali la differenza tra AWP e VLT, nonché la collocazione territoriale degli apparecchi.

La disposizione censurata, inoltre, si porrebbe in contrasto anche con l’art. 41 Cost. che sancisce il principio di libertà dell’iniziativa economica privata.

Al riguardo il collegio rimettente rileva che, qualora si tratti di soggetti privati che, nell’intraprendere attività di impresa, sostengono consistenti investimenti, la legittima aspettativa ad una certa stabilità nel tempo del rapporto concessorio gode di una particolare tutela costituzionale riconducibile non solo all’art. 3 Cost., ma anche all’art. 41 Cost.

Parimenti irragionevole e lesiva della libertà economica dell’impresa sono – secondo il TAR − le previsioni di cui alle lettere a) e c) del censurato comma 649 dell’art. 1 della legge di stabilità per il 2015 (n. 190 del 2014).

In particolare, per quanto concerne i concessionari, il meccanismo imposto dal legislatore, di inversione del flusso dei pagamenti, aumenta il rischio, cui sono esposti i concessionari, per il mancato adempimento delle obbligazioni gravanti sugli altri operatori della filiera, senza che tale inadempimento faccia venire meno l’obbligo dei concessionari medesimi di versare allo Stato l’importo concernente l’intera filiera. Inoltre, le disposizioni della norma censurata sono idonee a riflettersi sulla libertà contrattuale anche dei gestori, in quanto l’imposizione di una negoziazione dei contratti appare incompatibile con l’incomprimibile autonomia delle parti di pervenire solo eventualmente ad un nuovo e diverso accordo negoziale. Il TAR rimettente osserva, ancora, come l’irragionevolezza delle disposizioni censurate e la lesività da parte delle stesse del principio di libertà dell’iniziativa economica privata sia ancora più evidente dal momento che, per effetto del nuovo meccanismo disegnato dalla norma, l’erogazione del compenso ai gestori, a differenza che per i concessionari, è rinviata nel tempo ed è subordinata alla sottoscrizione dei contratti rinegoziati con gli stessi.

3.− Si sono costituite nei giudizi di costituzionalità alcune delle parti dei giudizi a quibus, sia concessionari, sia gestori, insistendo, con argomentazioni che si sovrappongono a quelle del TAR, per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata.

4.− È intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, in via preliminare, ha chiesto a questa Corte di disporre la restituzione degli atti ai giudici a quibus in considerazione dello ius superveniens, costituito dell’art. 1, commi 920 e 921, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)». In via subordinata ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità o la non fondatezza delle questioni.

In particolare, la difesa dello Stato osserva come sia mutato il quadro normativo a seguito dell’art. 1 citato, il quale, con il comma 920, ha abrogato la disposizione censurata così, di fatto, limitandone l’efficacia all’anno 2015, e, con il comma 921, ha dettato una norma di interpretazione autentica della disposizione censurata. La norma sopravvenuta prevede che la riduzione del compenso si applichi a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015. Si tratterebbe, dunque, di una modifica incidente sulla prospettazione delle doglianze del rimettente.

5.− Le parti private costituite hanno depositato memorie sostenendo in particolare che, pur dopo l’intervenuto ius superveniens, permarrebbero la rilevanza delle questioni nonché i dubbi di legittimità costituzionale espressi dal TAR.

Considerato in diritto

1.− Con ventidue ordinanze di analogo tenore, sopra indicate ed emesse tra il 17 novembre ed il 16 dicembre 2015, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 649, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)»; disposizione questa che testualmente prevede: «A fini di concorso al miglioramento degli obiettivi di finanza pubblica e in anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera nell’ambito delle reti di raccolta del gioco per conto dello Stato, in attuazione dell’articolo 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23, è stabilita in 500 milioni di euro su base annua la riduzione, a decorrere dall’anno 2015, delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773. Conseguentemente, dal 1° gennaio 2015:

a) ai concessionari è versato dagli operatori di filiera l’intero ammontare della raccolta del gioco praticato mediante i predetti apparecchi, al netto delle vincite pagate. I concessionari comunicano all’Agenzia delle dogane e dei monopoli i nominativi degli operatori di filiera che non effettuano tale versamento, anche ai fini dell’eventuale successiva denuncia all’autorità giudiziaria competente;

b) i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, in aggiunta a quanto versato allo Stato ordinariamente, a titolo di imposte ed altri oneri dovuti a legislazione vigente e sulla base delle convenzioni di concessione, versano altresì annualmente la somma di 500 milioni di euro, entro i mesi di aprile e di ottobre di ogni anno, ciascuno in quota proporzionale al numero di apparecchi ad essi riferibili alla data del 31 dicembre 2014. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, adottato entro il 15 gennaio 2015, previa ricognizione, sono stabiliti il numero degli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettere a) e b), del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, riferibili a ciascun concessionario, nonché le modalità di effettuazione del versamento. Con analogo provvedimento si provvede, a decorrere dall’anno 2016, previa periodica ricognizione, all’eventuale modificazione del predetto numero di apparecchi;

c) i concessionari, nell’esercizio delle funzioni pubbliche loro attribuite, ripartiscono con gli altri operatori di filiera le somme residue, disponibili per aggi e compensi, rinegoziando i relativi contratti e versando gli aggi e compensi dovuti esclusivamente a fronte della sottoscrizione dei contratti rinegoziati.».

Il TAR rimettente riferisce di essere investito da distinti ricorsi promossi sia dai concessionari del gioco lecito, sia da gestori operanti per i concessionari, contro l’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM) e il Ministero dell’economia e delle finanze, aventi ad oggetto l’annullamento del provvedimento del Direttore dell’Agenzia prot. 4076/RU del 15 gennaio 2015, emesso in applicazione del censurato art. 1, comma 649, della legge n. 190 del 2014, e con il quale è stata operata la ricognizione del numero degli apparecchi di cui all’art. 110, sesto comma, lettere a) e b), del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, recante «Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza» (di seguito anche: TULPS), riferibili a ciascun concessionario alla data del 31 dicembre 2014, nonché la quota parte del versamento dell’importo di cui al citato art. 1, comma 649, lettera b), dovuto dai singoli concessionari in misura proporzionale al numero degli apparecchi a ciascuno di essi riferibili e per l’importo complessivo di 500 milioni di euro.

Le controversie riguardano il gioco lecito praticato ai sensi dell’art. 110, sesto comma, lettere a) e b), del TULPS, in riferimento al quale sono selezionati mediante procedure ad evidenza pubblica i soggetti cui affidare in concessione la realizzazione e conduzione della rete per la gestione telematica del gioco mediante apparecchi del tipo Amusement with prizes (AWP) e Video lottery terminal (VLT).

2.− Il TAR rimettente ritiene che la disposizione censurata si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza per contraddittorietà intrinseca della disposizione, in quanto l’intervento legislativo ‒ avvenuto in dichiarata anticipazione del più organico riordino della misura degli aggi e dei compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori di filiera, nell’ambito della rete di raccolta del gioco per conto dello Stato, ed in attuazione dell’art. 14, comma 2, lettera g), della legge 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita), che prevede la «revisione degli aggi e compensi spettanti ai concessionari e agli altri operatori secondo un criterio di progressività legata ai volumi di raccolta delle giocate» − ha stabilito la riduzione delle risorse statali a titolo di compenso, in «quota proporzionale al numero di apparecchi riferibili [ai concessionari] alla data del 31 dicembre 2014»; in tal modo ha ancorato il criterio di ripartizione dei compensi ad un dato fisso, qual è il numero degli apparecchi riferibili a ciascun concessionario al 31 dicembre 2014, o in sede di ricognizione successiva, e non piuttosto ad un dato di flusso, quale i volumi di raccolta delle giocate.

Inoltre la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost., ed in particolare il principio di uguaglianza e di ragionevolezza, in quanto, posto che il riferimento al numero degli apparecchi non è indicativo del reddito conseguito da ciascun concessionario, l’intervento del legislatore presume, irragionevolmente, che ciascun apparecchio abbia la stessa potenzialità di reddito, là dove quest’ultima dipende, invece, da una molteplicità di fattori. La irragionevole ripartizione del versamento imposto ai concessionari può – secondo il TAR − produrre un’alterazione del libero gioco della concorrenza tra gli stessi, favorendo quelli che in presenza di una redditività superiore per singolo apparecchio, si trovano a versare, in proporzione al volume di giocate raccolte, un importo minore, per cui possono destinare maggiori risorse agli investimenti, nonché gli operatori del settore dei giochi pubblici diversi da quelli contemplati dalle lettere a) e b) dell’art. 110 del TULPS.

Altresì la disposizione censurata contrasterebbe con l’art. 41 Cost., sotto il profilo della violazione del principio di libertà dell’iniziativa economica privata. I soggetti privati che, nell’intraprendere l’attività di impresa, sostengono consistenti investimenti, devono vedere tutelata la legittima aspettativa ad una certa stabilità nel tempo del rapporto concessorio.

Osserva ancora il rimettente che il previsto meccanismo di inversione dei flussi di pagamenti aumenta il rischio, cui sono esposti i concessionari, del mancato adempimento delle obbligazioni gravanti sugli altri operatori della filiera, senza che da tale mancato adempimento derivi il venir meno dell’obbligo dei concessionari di versare allo Stato l’importo di 500 milioni di euro concernente l’intera filiera.

Infine, con specifico riferimento ai gestori, il TAR del Lazio ritiene che la disposizione censurata violi gli artt. 3 e 41 Cost., sotto il profilo del mancato rispetto del principio di ragionevolezza e di libertà dell’iniziativa economica, in quanto il nuovo meccanismo disegnato dalla norma comporta che l’erogazione del compenso ai gestori, a differenza che per i concessionari, sia rinviata nel tempo e sia subordinata alla sottoscrizione dei contratti rinegoziati con gli stessi. Inoltre impone autoritativamente a detti gestori, in posizione di minore forza contrattuale rispetto ai concessionari esercenti pubbliche funzioni, di rinegoziare i contratti e, in caso di mancata rinegoziazione, prevede che nessun compenso possa essere loro erogato, anche se maturato nella vigenza di un precedente contratto di diritto privato.

3.− I suddetti vari giudizi incidentali vanno riuniti per connessione oggettiva e soggettiva, atteso che le ordinanze di rimessione investono la stessa disposizione, censurata con argomentazioni sovrapponibili.

4.− Quanto all’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale deve considerarsi che il TAR rimettente è chiamato a decidere della legittimità del menzionato decreto direttoriale dell’AMD sul presupposto della sussistenza di una situazione giuridica tutelata non solo dei concessionari, ma anche dei gestori. La valutazione di rilevanza operata dal TAR è plausibile perché, anche se il decreto impugnato riguarda direttamente solo la posizione dei concessionari, i gestori sono anch’essi interessati atteso che l’onere, come ripartito tra i concessionari, non può non riflettersi sui gestori in sede di rinegoziazione.

La disposizione censurata è costituisce il parametro di legittimità dell’atto impugnato e quindi certamente il TAR ne deve fare applicazione.

Inoltre il mancato esame di altri motivi di illegittimità del provvedimento impugnato, indicati nei distinti ricorsi introduttivi dei giudizi innanzi al TAR, non è preclusivo dell’ammissibilità della questione. Nel giudizio di costituzionalità non è sindacabile l’ordine logico secondo il quale il rimettente reputa, con motivazione non implausibile, di affrontare le varie questioni o i motivi di ricorso portati al suo esame (sentenza n. 132 del 2015).

Sussiste quindi la rilevanza delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.

Altresì la non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale è motivata diffusamente, nonché con riferimento a tutto il censurato comma 649: quindi sia alla lettera a), che riguarda gestori ed esercenti, sia alla lettera b), che riguarda i concessionari, sia alla lettera c), che prevede un obbligo per il concessionario di rinegoziazione degli accordi contrattuali, ma che ovviamente riguarda anche gli operatori della filiera con cui tale rinegoziazione dovrebbe aver luogo.

5.− Successivamente alle ordinanze di rimessione è sopravvenuta una nuova disposizione dichiaratamente interpretativa di quella censurata dal TAR.

In particolare, l’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)» prevede, al comma 920, che «[i]l comma 649 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, è abrogato», sicché il meccanismo del prelievo forzoso di 500 milioni di euro, secondo i criteri del censurato comma 649, cessa di operare per il 2016 ed è destinato ad avere applicazione solo per l’anno 2015.

Il successivo comma 921 del citato art. 1 della legge n. 208 del 2015 prevede che: «Il comma 649 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, si interpreta nel senso che la riduzione su base annua delle risorse statali a disposizione, a titolo di compenso, dei concessionari e dei soggetti che, secondo le rispettive competenze, operano nella gestione e raccolta del gioco praticato mediante apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, si applica a ciascun operatore della filiera in misura proporzionale alla sua partecipazione alla distribuzione del compenso, sulla base dei relativi accordi contrattuali, tenuto conto della loro durata nell’anno 2015».

6.− In ordine all’incidenza di tale ius superveniens sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR del Lazio, le posizioni delle parti e dell’interveniente divergono.

L’Avvocatura dello Stato ritiene che la sopravvenuta disposizione modifichi il complessivo quadro normativo di riferimento e richieda una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni ad opera del giudice rimettente con conseguente necessità di restituzione degli atti a quest’ultimo in tutti i giudizi.

Al contrario le parti private sostengono che i dubbi di legittimità costituzionale permangono, nella sostanza, non avendo la nuova disposizione modificato il nucleo essenziale della portata della disposizione censurata, sicché la perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni sollevate dal giudice rimettente può essere apprezzata dalla Corte, senza che gli atti siano restituiti a quest’ultimo, né nei giudizi promossi dalle società concessionarie, né in quelli che vedono come originari ricorrenti alcuni gestori.

7.− Orbene, deve considerarsi che in generale, non ogni nuova disposizione che modifichi, integri o comunque possa incidere su quella oggetto del giudizio incidentale di costituzionalità richiede una nuova valutazione della perdurante sussistenza dei presupposti di ammissibilità della questione e segnatamente della sua rilevanza e della non manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale espressi dal giudice rimettente.

Può infatti questa Corte ritenere essa stessa che la nuova disposizione non alteri affatto la norma censurata quanto alla parte oggetto delle censure di legittimità costituzionale, oppure che la modifichi in aspetti marginali o in misura non significativa, sì che permangono le valutazioni del giudice rimettente in termini di rilevanza e non manifesta infondatezza della questione. Si è infatti talora affermato (sentenza n. 203 del 2016) che «la novella presenta un’incidenza solo parziale sulla disposizione della cui costituzionalità si dubita» e si è quindi ritenuto che essa «non è comunque idonea a mutare i termini della questione così come è stata posta dal giudice a quo»; talché è stata esclusa la necessità di restituzione degli atti al giudice rimettente.

Ove invece la nuova disposizione abbia un impatto maggiore in termini di incidenza sulla portata normativa della disposizione censurata, sì da integrarla, modificarla o finanche abrogarla, in tutto o in parte, si impone la restituzione degli atti al giudice rimettente perché rivaluti i presupposti dell’incidente di costituzionalità.

Se poi in particolare la nuova disposizione non vale a revocare in dubbio la rilevanza della questione, ritenuta dal giudice rimettente, nel senso che essa comunque permane, si ha allora che la possibile incidenza dello ius superveniens va valutata essenzialmente con riferimento all’altro presupposto del giudizio incidentale di legittimità costituzionale, la non manifesta infondatezza della questione.

Ed è proprio ciò che accade nei presenti giudizi giacché la rilevanza della questione permane invariata, come correttamente deducono le difese delle parti: il giudice rimettente, che ha motivato il presupposto della rilevanza con la necessità di fare applicazione della disposizione indubbiata al fine di decidere i plurimi ricorsi (di concessionari e di gestori), per accoglierli o rigettarli, dovrà non di meno fare applicazione della stessa disposizione anche dopo l’introduzione dello ius superveniens. Invece la nuova disposizione – l’art. 1, commi 920 e 921, della legge di stabilità per il 2016 – incide sull’altro presupposto dell’incidente di costituzionalità, nel senso che attiene proprio alla non manifesta infondatezza della questione, ritenuta dal giudice rimettente.

8.− A tal fine rileva in generale – affinché si possa procedere, nell’immediato, al controllo di costituzionalità piuttosto che restituire gli atti al giudice rimettente – non solo il contenuto della nuova disposizione, ove in ipotesi modellato sul principio tempus regit actum, ma anche il verso della sua incidenza. Ossia persiste, sotto questo profilo, la condizione di ammissibilità del giudizio incidentale non solo ove la nuova disposizione non escluda l’applicazione, ratione temporis, della disposizione censurata (ex plurimis, sentenza n. 257 del 2017), ma anche ove la prima incida su quest’ultima nel senso di aggravarne i denunciati vizi di legittimità costituzionale (sentenza n. 33 del 2018, che, per escludere la restituzione degli atti al giudice rimettente, ha rilevato che «[l]e innovazioni si muovono […] in direzione antitetica rispetto all’intervento auspicato dall’ordinanza di rimessione»). In questa evenienza – ove la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, quale ritenuta dal giudice rimettente, permanga nel suo nucleo essenziale – può essere questa stessa Corte a valutare il novum normativo per verificare la persistente sussistenza di tale condizione di ammissibilità del giudizio incidentale.

Quando invece, nei giudizi in via incidentale, l’intervento del legislatore è orientato nella stessa direzione dell’ordinanza di rimessione, con l’effetto di ridimensionare o finanche emendare i vizi di legittimità costituzionale denunciati dal giudice rimettente, deve di norma essere investito il giudice rimettente perché rivaluti il presupposto dell’incidente di costituzionalità, costituito dalla non manifesta infondatezza della questione. Parimenti questa Corte (sentenza n. 43 del 2018) ha ritenuto di dover restituire gli atti al giudice rimettente − con sentenza piuttosto che con ordinanza − in un caso in cui sulla non manifesta infondatezza della sollevata censura di costituzionalità incideva una sopravvenuta pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, orientata nel senso di ridimensionare un vincolo derivante dalla normativa convenzionale sovranazionale, allegato dall’ordinanza di rimessione a fondamento delle censure di illegittimità costituzionale.

9.− Ciò premesso in generale, venendo ora ai giudizi in esame, è vero che il nucleo essenziale della disposizione censurata è rimasto invariato: il prelievo forzoso in favore dell’ADM per l’anno 2015 rimane tal quale nell’ an e nel quantum. Immutata è questa provvista straordinaria in favore dell’erario; ciò che sembra essere al fondo dell’interesse delle parti costituite nel presente giudizio di costituzionalità ad una immediata decisione di questa Corte, senza restituzione degli atti al giudice rimettente. Va osservato che motivatamente e non implausibilmente il TAR – richiamando una pronuncia di questa Corte (sentenza n. 56 del 2015) che ha riguardato altro precedente aggravamento, introdotto con una disposizione della legge di stabilità per il 2011, degli obblighi dei concessionari del gioco lecito − ritiene che la disposizione censurata resista al test di proporzionalità di questo onere aggiuntivo, originariamente posto a carico solo delle società concessionarie, e che non alteri irrimediabilmente i piani economici dell’attività aziendale. Si tratterebbe di una sorta di sovraccanone dell’onere concessorio, ritenuto – dal TAR − non incompatibile con i conti economici delle società concessionarie, i quali sono stati presi in considerazione e valutati con riferimento ai due anni precedenti a quello al quale si riferisce il prelievo forzoso. Sicché la circostanza che il prelievo forzoso sia rimasto invariato – nello stesso importo di 500 milioni di euro − non rileva affatto al fine della persistenza, o no, dei presupposti della questione di legittimità costituzionale per la semplice, ma decisiva, ragione che l’an ed il quantum di questa prestazione obbligatoria non rientrano nell’oggetto della sollevata questione di legittimità costituzionale, così come delimitato dal TAR rimettente. Il quale ha invece appuntato le sue plurime censure sul riparto di quest’onere economico aggiuntivo, gravante originariamente solo sulle (tredici) società concessionarie e solo indirettamente sugli altri operatori della filiera del gioco lecito.

Diventa allora decisivo che la nuova disposizione (art. 1, commi 920 e 921, legge n. 208 del 2015) si muova nella stessa direzione del proprium delle censure denunciate dal TAR e potrebbe risultare idonea – nell’apprezzamento riservato al giudice rimettente − a ridimensionare la denunciata illegittimità della disposizione originaria, sì da rendere indispensabile una nuova valutazione del presupposto della non manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale.

10.− Rileva infatti la circostanza – su cui si appuntano le censure del TAR del Lazio − che secondo la disposizione censurata, nella sua originaria formulazione, il prelievo forzoso è posto solo a carico delle società concessionarie sulla base del criterio costituito dal numero degli apparecchi da gioco lecito riferibili a ciascuna società, poi oggetto di ricognizione, concessionario per concessionario, ad opera del decreto del direttore dell’ADM impugnato innanzi al TAR; criterio criticato dal giudice rimettente sotto vari profili, in particolare per la sua irragionevolezza ed incoerenza e per la conseguente disparità di trattamento cui darebbe luogo. Non è invece disciplinata in alcun modo, né in alcuna misura, la traslazione di quest’onere economico sugli altri operatori della filiera del gioco lecito, che infatti l’impugnato decreto direttoriale non prende in considerazione, ma è approntato, in favore delle società concessionarie, un meccanismo di pressione indiretta, tanto radicale quanto invasivo – secondo il TAR – degli accordi contrattuali tra concessionari ed operatori della filiera (con conseguente sospetta violazione soprattutto dell’art. 41 Cost. sulla tutela dell’iniziativa economica privata): i quali ultimi (gestori ed esercenti) sono stati obbligati a versare ai concessionari tutto il ricavato del gioco lecito da essi attivato, al netto delle vincite erogate ai giocatori e del prelievo erariale unico (PREU), ma senza più la possibilità di trattenere il compenso pattuito, così invertendo il flusso dei pagamenti e del finanziamento dell’attività d’impresa, salva una non meglio precisata rinegoziazione degli accordi.

Orbene, lo ius superveniens interviene proprio su questo assetto normativo, innanzi tutto abrogandolo, con effetto ex nunc, sicché la disposizione censurata finisce per trovare applicazione, ratione temporis, per un solo anno (2015).

Inoltre il legislatore interviene anche sulla norma censurata con una disposizione definita interpretativa e quindi da intendersi qualificata come di interpretazione autentica. Ma quale che sia la sua natura – che sarà valutata dal giudice rimettente – certo è che l’onere del prelievo forzoso non è più a carico solo dei concessionari, ma grava su tutti gli operatori della filiera del gioco lecito e quindi anche su esercenti e gestori. Inoltre il criterio di riparto di tale onere è basato non solo sul numero degli apparecchi riferibili ai concessionari, ma anche sulla partecipazione alla distribuzione del compenso cui ha diritto ciascun operatore della filiera secondo i relativi accordi contrattuali.

Ed allora il verso dell’intervento del legislatore, nella legge di stabilità per il 2016, è chiaramente orientato nello stesso senso dell’ordinanza del TAR. Infatti, secondo una diversa scelta di politica economica, il legislatore ha desistito dall’assegnare al prelievo forzoso a carico dei concessionari la stabilità di un istituto a regime, valido anche per gli anni successivi al 2015, optando invece, a partire dal 1° gennaio 2016, per un inasprimento dell’imposizione fiscale costituita dal PREU sulle giocate al fine di compensare il mancato introito del prelievo forzoso per gli anni successivi al 2015. Ha poi modificato profondamente – con disposizione sia essa a carattere di interpretazione autentica, sia in realtà innovativa con efficacia retroattiva − il contenuto precettivo della disposizione censurata. Il prelievo forzoso non è più solo a carico dei concessionari, ma «si applica a ciascun operatore della filiera», e per essi il criterio di riparto dell’onere economico aggiuntivo è fissato direttamente dalla legge (e non più affidato ad un’incerta rinegoziazione degli accordi contrattuali) in misura proporzionale alla partecipazione di ciascun operatore della filiera a valle dei concessionari (ossia esercenti e gestori) alla distribuzione del compenso sulla base dei relativi accordi contrattuali quanto all’anno 2015. Non essendoci più necessità di disciplinare la traslazione dell’onere economico dai concessionari ai gestori e agli esercenti, perché su di essi posto direttamente dalla legge in misura precisa, in quanto determinata sulla base di un dato fattuale “storico” (atteso che rilevano, in chiave retrospettiva, i compensi spettanti per l’attività già svolta dagli operatori della filiera nel corso del 2015 e previsti dagli accordi contrattuali), la nuova disposizione della legge di stabilità del 2015 non menziona l’obbligo per gestori ed esercenti di riversare ai concessionari il ricavato delle giocate, comprensivo del compenso loro spettante sulla base degli accordi contrattuali. Valuterà il giudice rimettente se in questa parte la disposizione censurata non debba ritenersi abrogata ex tunc per incompatibilità con la nuova disposizione (art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile).

11.− In conclusione, in questa situazione così profondamente modificata in melius − sia per i concessionari, inizialmente obbligati (dalla disposizione censurata) essi soli per l’intero ed ora (in forza della disposizione sopravvenuta) obbligati unitamente a tutti gli altri operatori della filiera, tenuti anch’essi in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015; sia per gestori ed esercenti, inizialmente tenuti a riversare l’intero ricavato delle giocate, senza possibilità di trattenere il compenso loro spettante, ed ora obbligati anch’essi, ma solo in misura proporzionale ai compensi contrattuali del 2015 − è mutato, di conseguenza, anche il presupposto della non manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalità, sicché si impone la restituzione degli atti al giudice rimettente per valutare, in tutti i giudizi a quibus, se permangano, o no, ed eventualmente in quali termini, i dubbi di legittimità costituzionale originariamente espressi nell’ordinanza di rimessione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l’8 maggio 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giovanni AMOROSO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2018.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

 

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