L’industria giapponese dei casino, ancor prima di nascere, rischia di essere strangolata da una serie di norme altamente restrittive. Il fatto è che la legge passata nel dicembre scorso che
L’industria giapponese dei casino, ancor prima di nascere, rischia di essere strangolata da una serie di norme altamente restrittive.
Il fatto è che la legge passata nel dicembre scorso che legalizza l’apertura delle case da gioco ha incontrato molti dissidenti in Parlamento e ancor di più nell’opinione pubblica, il cui malcontento era già elevato alla luce delle pesanti ricadute sociali generate da sale pachinko e scommesse di vario tipo.
A proposito di pachinko, è di recente emanazione un provvedimento – che sa niente più che di palliativo – per cui il numero massimo di palline in campo nella fase jackpot viene ridotto da 2400 (pari a circa 84 dollari) a 1500 (53 dollari). La speranza è che riducendo questo margine la gente perda un po’ la voglia di giocare (in base ad una consultazione della RecoverySupport Network, il 70% dei giocatori interpellati perde in media 436 dollari la settimana) ma in contemporanea sarà avviato un piano di formazione sul gioco compulsivo rivolto agli operatori di sala, che a loro volta dovranno informare l’utenza sui rischi connessi alla pratica del gioco.
Tornando ai casino, gira la proposta che i residenti potranno avere accesso presentando la propria My Number card (un sistema 12-digit introdotto lo scorso anno per linkare le informazioni relative alla persona, sparse tra le varie amministrazioni), ma questo viene già visto come un deterrente che penalizzerà fortemente l’industria. Secondo il parlamentare giapponese TakeshiIwaya, che sta seguendo da vicino la questione, “è importante fare in modo che le modalità di accesso ai casino non siano troppo stringenti”, perciò suggerisce l’uso di passaporti e patenti di guida.
Altro divieto che probabilmente sarà introdotto colpirà I cosiddetti junkedoperators, vale a dire gli intermediari che procurano clientela ai casino – anche prendendo in affitto delle sale private all’interno della struttura – si occupano del cambio coin/chips e a buon bisogno erogano dei prestiti ai giocatori. Pertanto, tutte queste attività dovranno essere gestite direttamente dai casino.
Tali disposizioni rischiano di tenere lontani gli “high rollers”, cioè i players più accaniti (e danarosi), perché esperienza insegna, ad esempio, che le fortune dell’industria del gambling a Macao sono dovute in buona parte a questi personaggi o agenzie.
Si prevede inoltre il divieto di installare bancomat nelle locations e la possibilità che i non residenti possano acquistare chips con carta di credito.
Per quanto riguarda le licenze, il numero non è stato ancora definito. Si parla di 2/3 applicabili nei grandi centri urbani e una decina destinate ai casinò regionali (Hokkaido, Sendai, Naha, Nagasaki and Miyazaki sono tra le possibili candidate). Tokyo, Osaka e Yokohama sono le città che ambiscono ad ottenere le licenze principali. E sarebbe un guaio se fossero limitate a 2, perché a quel punto è proprio Tokyo a rischiare di essere clamorosamente esclusa, secondo i rumors. Un indizio può essere quello che i due principali competitor internazionali interessati al Giappone hanno chiaro in testa dove attuare i propri investimenti (da una decina di miliardi di dollari a testa, o poco meno): Marina BaySands punta su Yokohama; MGM su Osaka.
Le aziende giapponesi, pur grandi e famose come Sega Sammy, Konami e Universal Entertainment, si limiteranno a fare da partner.
Le tempistiche? Prima dovranno passare le Olimpiadi di Tokyo 2020, che in Giappone sono viste non come un’occasione estemporanea per mungere soldi agli stranieri, bensì come una base per il rilancio definitivo del turismo nazionale.
Oggia siamo su una quota di circa 25 milioni di turisti esteri/anno; con le Olimpiadi si dovrebbe arriva re a 40; nel 2030, consolidati i casino, a 60 milioni (stime del governo giapponese).
Orientativamente, per i resort/casino si può pronosticare l’avvio delle attività negli anni 2023/24.
Lo stile sarà molto vicino a quello di Singapore, divenuta il terzo polo mondiale del gambling dopo Las Vegas e Macao. Parliamo dunque non di casino in senso stretto ma di resort integrati (hotel di lusso, entertainment, sale conferenze, shopping, ecc.) che possono spingere in maniera significativa l’occupazione e il turismo, come appunto l’esperienza di Singapore insegna.
Marco Cerigioni – PressGiochi
L | M | M | G | V | S | D |
---|---|---|---|---|---|---|
28
|
1
|
2
|
3
|
|||
4
|
7
|
8
|
9
|
10
|
||
15
|
16
|
17
|
||||
18
|
19
|
20
|
21
|
22
|
23
|
|
30
|
1
|