“Sulla scorta di quanto osservato e dell’interesse pubblico perseguito non può condividersi la distinzione tra apertura di una nuova sala da giochi ed il suo mero trasferimento in altro locale,
“Sulla scorta di quanto osservato e dell’interesse pubblico perseguito non può condividersi la distinzione tra apertura di una nuova sala da giochi ed il suo mero trasferimento in altro locale, anche a distanza ridotta: se la distanza dai “luoghi sensibili” costituisce una misura ragionevole ed utile per mettere un freno alla ludopatia, sarebbe del tutto illogico ammettere il superamento delle distanze in caso di trasferimento di una sala da giochi già esistente”.
Lo ha dichiarato il Consiglio di Stato confermando la sentenza del Tar Lazio relativamente al ricorso di una sala giochi contro il regolamento del comune di Venezia sulle distanze del gioco dai luoghi sensibili.
Come ha spiegato il Collegio nella sentenza che segue:
La Sezione ritiene di poter prescindere dall’eccezione di improcedibilità dell’appello, sollevata dall’amministrazione appellata, stante l’infondatezza nel merito del gravame, anche sulla scorta della recentissima sentenza della Corte Costituzionale 11 maggio 2017 n. 108, la quale ha affrontato molti delle tematiche della controversia.
6.1. L’occasione della citata pronuncia del giudice delle leggi è stata data dalla questione di legittimità costituzionale della legge regionale Puglia n. 43 del 2013, la quale all’art. 7 comma 2 ha stabilito che, fuori dei casi previsti dall’art. 110, comma 7, del TULPS – che individua apparecchi per il gioco lecito di ridotta “pericolosità” sotto il profilo considerato – “l’autorizzazione all’esercizio non viene concessa nel caso di ubicazioni in un raggio non inferiore a cinquecento metri, misurati per la distanza pedonale più breve, da istituti scolastici di qualsiasi grado, luoghi di culto, oratori, impianti sportivi e centri giovanili, centri sociali o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio-assistenziale e, inoltre, strutture ricettive per categorie protette”.
E’ da rilevare che il contestato art. 30 del regolamento edilizio di Venezia n. 42 del 2 aprile 2015 stabilisce:
“1.A tutela di determinate categorie di soggetti maggiormente vulnerabili e per prevenire fenomeni da gioco d’azzardo patologico, è vietata l’apertura di sale pubbliche da gioco e la nuova collocazione di apparecchi per il gioco d’azzardo lecito in locali che si trovino ad una distanza inferiore a 500 m. da istituti scolastici di ogni ordine e grado, luoghi di culto, impianti sportivi, strutture residenziali operanti in ambito sanitario o socio sanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile o pertinenze di luoghi di culto a frequentazione esterna (patronati, oratori, casa della solidarietà, case di accoglienza),
2.Costituiscono luoghi sensibili da cui rispettare le distanze minime già individuate al precedente comma anche i seguenti luoghi: parchi pubblici, caserme, aree a servizi sportivi, cliniche, luoghi di particolare valore civico, edifici pubblici e musei:
3.La distanza va calcolata in “linea d’aria” dal luogo sottile e qualsiasi sua pertinenza e tutti gli ingressi al pubblico del locale ospitante i giochi oggetto del presente articolo”.
La Corte Costituzionale sul punto ha ritenuto del tutto condivisibile il criterio secondo il quale la distanza lineare indicata dalla norma regionale pugliese – del tutto identico a quello della previsione regolamentare veneziana – segna il distacco minimo delle attività avute di mira rispetto alle aree tutelate (luoghi sensibili), sia pure in presenza di un’infelice doppia negazione che rende l’interpretazione non immediata e che è assente invece della norma che governa la controversia ora in esame.
Ciò è sufficiente a determinare l’infondatezza del quinto motivo di appello.
6.2. La Corte Costituzionale ha richiamato poi la propria costante giurisprudenza sull’assenza di una violazione dell’art. 117, comma 2, lett. h della Costituzione, ossia dell’invasione della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza (sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006): non si possono ricondurre infatti a tale materia previsioni che prevedano distanze minime dai luoghi “sensibili” per la collocazione di sale e apparecchi da gioco (sentenza n. 300 del 2011), poiché la ratio e la finalità della disciplina stabilita non sono quelle di contrastare il gioco legale, né di disciplinare direttamente le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti e nemmeno per individuare i giochi leciti, aspetti questi che ricadono nell’ambito della materia “ordine pubblico e sicurezza”, ma riguardano essenzialmente una misura di “prevenzione logistica” della “dipendenza da gioco d’azzardo” che è stata dapprima sperimentata a livello locale tramite regolamenti e ordinanze di autorità comunali, di cui quindi la Corte Costituzionale riconosce la piena ammissibilità e legittimità tanto da affermare che “con la formula «discipline regolatorie […] emanate a livello locale» il legislatore intendeva riferirsi a quelle adottate dai comuni, in applicazione delle norme che regolano i poteri dei relativi organi rappresentativi: norme che – come riconosciuto anche da questa Corte (con particolare riguardo ai sindaci, sentenza n. 220 del 2014) – si prestano ad essere interpretate come idonee a legittimare l’adozione di misure di contrasto della ludopatia, anche per quanto attiene all’imposizione di distanze minime delle sale da gioco rispetto ai luoghi “sensibili” – per essere poi disciplinata più organicamente a livello legislativo da larga parte delle Regioni. Nello specifico rientra plausibilmente la previsione di distanze minime delle sale da gioco rispetto a luoghi cosiddetti “sensibili”: frequentati, cioè, da categorie di soggetti che si presumono particolarmente vulnerabili di fronte alla tentazione del gioco d’azzardo.
Ciò è utile per evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all’illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della “dipendenza da gioco d’azzardo”: fenomeno da tempo riconosciuto come vero e proprio disturbo del comportamento, assimilabile, per certi versi, alla tossicodipendenza e all’alcoolismo.
Ed è innegabile che la disposizione in esame persegue in via preminente finalità di carattere socio-sanitario, estranee alla materia della tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza, e rientranti piuttosto nella materia di legislazione concorrente «tutela della salute» – art. 117, terzo comma, Cost.) – materia insistita nel rango della cosiddetta potestà concorrente Stato -Regioni, in cui può rientrare la protezione delle fasce di consumatori psicologicamente deboli a fronte dell’offerta dei giochi in termini di prevenzione di “forme di gioco cosiddetto compulsivo” (sentenza n. 300 del 2011). Perciò in questo campo l’autorità comunale o autonomamente o facendo applicazione di leggi regionali può inibire un’attività pure autorizzata senza invadere il campo demandato alle valutazioni dell’autorità di pubblica sicurezza.
Ad abundantiam si deve rammentare che analoghi regolamenti comunali hanno previsto distanze non inferiori ai 1000 m. – vedi Comune di Bologna (Cons. Stato, III, 10 febbraio 2016 n. 579).
Sulla scorta di quanto osservato e dell’interesse pubblico perseguito non può pertanto condividersi la distinzione, su cui insiste l’appellante, tra apertura di una nuova sala da giochi ed il suo mero trasferimento in altro locale, anche a distanza ridotta: se la distanza dai “luoghi sensibili” costituisce una misura ragionevole ed utile per mettere un freno alla ludopatia, sarebbe del tutto illogico ammettere il superamento delle distanze in caso di trasferimento di una sala da giochi già esistente.
Ma il principio vale anche allorché, come nel caso di specie, la presenza prima del trasferimento di una sala giochi ricada al di sotto dei discussi 500 metri; se questa è una realtà preesistente a qualsiasi disposizione contenente il divieto in questione, disposizione che secondo la Corte Costituzionale può intervenire anche su iniziativa comunale anche in assenza di una corrispondente legge regionale, così come avvenuto nella generalità dei casi, non potranno certo intervenire provvedimenti repressivi, poiché il fine delle disposizioni è comunque quello di “porre un freno” all’esistente.
Alla stregua di tali considerazioni sono da respingere il primo, il secondo ed il quarto motivo di censura.
6.3. Restano da esaminare le censure di cui al terzo ed al sesto motivo, il primo concernente una presunta acquiescenza al trasferimento da parte degli uffici comunali e il mancato rispetto delle norme concernenti l’autotutela ed il coinvolgimento dell’interessato nel procedimento ed il secondo la mancata considerazione dei pareri delle municipalità cittadine.
Quanto al primo profilo, la Sezione è dell’avviso che le generiche ed apodittiche argomentazioni dell’appellante non sono idonee a scalfire le ragionevoli e convincenti conclusioni dei primi giudici, non essendo stato in alcun modo provato che il Comune abbia tenuto comportamenti obiettivamente idonee a dimostrare la pretesa “acquiescenza” trasferimento della sala giochi, tanto più che alcuna istanza o comunicazione in tal senso risulta essere stata presentata dall’interessato, il che esclude tanto la configurabilità di un’ipotesi di “silenzio-assenso” che di un’eventuale revoca del provvedimento autorizzatorio implicito ed esclude altresì la pretesa violazione delle garanzie procedimentali, l’atto de qua essendo evidentemente un atto vincolato.
Quanto al preteso vizio di motivazione da cui sarebbe affetto il regolamento per la asserita mancata considerazione dei pareri delle municipalità cittadine non merita censura la motivazione della sentenza impugnata che ha richiamato il principio, espresso dall’art. 3 l. 241 del 1990 e successive modificazioni, secondo cui gli atti normativi regolamentari non hanno necessità di essere motivati; ciò senza contare che non è stata fornita alcuna prova di una eventuale diversa previsione statutaria, come correttamente evidenziato dai primi giudici.
Per le ragioni ora esposte l’appello deve essere respinto.
PressGiochi
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