24 Novembre 2024 - 16:56

Tar Bolzano dichiara “improcedibile” il ricorso di due sale giochi contro la Provincia per l’individuazione dei luoghi sensibili

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione autonoma di Bolzano  ha dichiarato improcedibile dei ricorsi, per sopravvenuta carenza di interesse, dei titolari di due società (uno italiano, l’altro di

13 Gennaio 2017

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione autonoma di Bolzano  ha dichiarato improcedibile dei ricorsi, per sopravvenuta carenza di interesse, dei titolari di due società (uno italiano, l’altro di origine cinese) che gestiscono due sale giochi  contro la Provincia Autonoma di Bolzano per l’annullamento della pronuncia di decadenza dell’autorizzazione alla gestione della sala e della deliberazione della Giunta provinciale 12 marzo 2012, n. 341: “Individuazione dei ‘luoghi sensibili’ ai sensi della legge provinciale 113 maggio 1992, n. 13 (Norme in materie di pubblico spettacolo)” come modificata con la delibera n. 1570 del 29.10.2012″.

 

Di seguito il testo della sentenza:

 

Va dichiarata, anzitutto, l’improcedibilità del ricorso, per sopravvenuta carenza in interesse, limitatamente all’impugnazione della deliberazione della Giunta provinciale n. 341 del 12 marzo 2012 (come modificata con la deliberazione n. 1570 del 29 ottobre 2012).

Rileva il Collegio che, nelle more del presente giudizio, questo Tribunale, decidendo su un ricorso analogo, ha annullato in via giurisdizionale entrambe le deliberazioni sopra citate con la sentenza n. 301/16, depositata il 31 ottobre 2016. Il richiesto annullamento delle medesime deliberazioni non reca pertanto più alcun vantaggio ai ricorrenti, essendo quegli atti già stati annullati con la menzionata sentenza.

Invero, secondo un consolidato e condiviso orientamento della giurisprudenza, la decisione giurisdizionale di annullamento di un provvedimento amministrativo – che per i limiti soggettivi del giudicato esplica, in via ordinaria, effetti soltanto fra le parti in causa – acquista efficacia erga omnes nei casi, come quello in esame, in cui gli atti impugnati siano a contenuto generale, ovvero a contenuto normativo, nei quali gli effetti dell’annullamento non sono circoscrivibili ai soli ricorrenti, essendosi in presenza di un atto sostanzialmente e strutturalmente unitario, il quale non può esistere per taluni e non esistere per altri (cfr., ex pluribus, Consiglio di Stato, Sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5459; nello stesso senso, Sez. III, 22 luglio 2016, n. 3307, Sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1222 e Sez. III, 20 aprile 2012, n. 2350).

Permane comunque l’interesse dei ricorrenti all’impugnazione del provvedimento di decadenza, per le ragioni di seguito esposte.

Osserva il Collegio che la pronuncia di decadenza della licenza in esame è motivata principalmente con la sua scadenza temporale, intervenuta ope legis.

Nondimeno, ad avviso del Collegio sussiste l’interesse dei ricorrenti all’annullamento del provvedimento di decadenza prodotto ope legis, poiché l’Assessore provinciale competente, anziché limitarsi a prendere atto dell’effetto di decadenza dell’autorizzazione, si è spinto oltre, affermando che “come comunicato dal Comune di Bolzano, con lettera dd. 15.12.2015, i locali nei quali si gestisce la sala giochi sono ubicati in un raggio di 300 metri da luoghi sensibili (vedi elenco già allegato alla comunicazione di avvio del procedimento…)”, esprimendo quindi la volontà di non rinnovare più l’autorizzazione dopo la sua scadenza.

Orbene, non tutti i luoghi sensibili indicati dal Comune di Bolzano sono individuati dalle due deliberazioni provinciali già annullate da questo Tribunale: alcuni di essi, ad es. i tre diversi istituti scolastici, i centri giovanili e le strutture socioassistenziali, rientrano tra le categorie di luoghi sensibili individuati direttamente dal legislatore (cfr. doc. 18 della Provincia) e, perciò, detti siti sensibili rimangono in ogni caso di ostacolo al rinnovo dell’autorizzazione.

Permane quindi, entro tali limiti, l’interesse dei ricorrenti a ottenere l’annullamento del provvedimento di decadenza anche dopo l’annullamento giurisdizionale delle due citate deliberazioni provinciali.

2. Ciò chiarito, può procedersi all’esame dei motivi del ricorso.

2.1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono l’inesistenza o la nullità della notificazione sia della comunicazione di avvio del procedimento, sia del provvedimento di decadenza, in quanto sarebbero state eseguite da parte della Provincia autonoma di Bolzano a mani della signora XXXX, erroneamente individuata come legale rappresentante della società “XXX”, quando invece il legale rappresentante di detta società sarebbe il signor XXX, amministratore unico della società, come da visura camerale agli atti (doc. 3 dei ricorrenti).

La censura non è fondata.

In base al costante orientamento della giurisprudenza civile e amministrativa, la notificazione deve considerarsi inesistente solo quando manchi del tutto ovvero sia stata effettuata in un luogo o con riguardo a persona che non abbiano alcun riferimento con il destinatario della notificazione stessa, risultando a costui del tutto estranea, mentre deve considerarsi affetta da nullità sanabile con effetto ex tunc, quando il convenuto si costituisca, difendendosi anche nel merito (cfr., ex pluribus, Cassazione civile, Sez. V, 5 febbraio 2009, n. 2817; 2 ottobre 2008, n. 24442 e Sez. I, 15 gennaio 2007, n. 621; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2008, n. 5478; Sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908; 9 ottobre 2007, n. 5263 e Sez. IV, 26 luglio 2004, n. 5311).

Orbene, nel caso di specie, la notificazione è stata effettuata alla persona che risultava legale rappresentante della società “XXX” nell’intestazione dell’autorizzazione alla gestione della sala giochi dichiarata decaduta, non avendo la società “XXX” mai comunicato alla Provincia l’intervenuta modifica societaria (la richiesta di voltura è stata presentata dal signor XXX solo dopo la notifica del ricorso in esame – cfr. doc. depositato dai ricorrenti il 24 ottobre 2016). Pertanto, in base alla citata giurisprudenza la notificazione non può considerarsi inesistente.

Quanto alla dedotta nullità della notificazione, il Collegio ritiene che essa sia da considerarsi sanata, ex tunc, in quanto sia la comunicazione di avvio del procedimento, sia il provvedimento di decadenza hanno comunque raggiunto il loro scopo.

Invero, risulta agli atti che dopo la comunicazione di avvio del procedimento il signor XXX, nella sua qualità di A.U. della società “XXX”, ha presentato due memorie difensive (cfr. doc. 4 dei ricorrenti).

Quanto al provvedimento di decadenza, va rilevato che la non corretta notificazione dell’atto lesivo non incide sulla legittimità dello stesso, ma solo sulla decorrenza del termine per impugnare (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 7 marzo 2016, n. 906 e TRGA Bolzano, 10 marzo 2010, n. 66). E nel caso di specie l’eventuale vizio di notificazione deve ritenersi sanato, ex art. 156, ultimo comma, c.p.c., con il tempestivo esercizio di difesa da parte della società ricorrente “XXX”, in persona del legale rappresentante, signor XXXX. Quest’ultimo, impugnando tempestivamente il provvedimento di decadenza, ha dimostrato, infatti, di aver avuto piena conoscenza del contenuto dell’atto e di aver potuto adeguatamente esercitare il proprio diritto di difesa.

2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano carenza di istruttoria e di motivazione, riferite sia alla deliberazione della Giunta provinciale n. 341 del 12 marzo 2012 (come modificata dalla successiva deliberazione n. 1570 del 20 ottobre 2012), sia al provvedimento di decadenza.

In particolare, i ricorrenti affermano, da un lato, che gli atti suddetti avrebbero omesso di individuare le “determinate” categorie di persone che il legislatore provinciale intendeva tutelare, introducendo limitazioni al rilascio delle autorizzazioni aventi per oggetto ogni tipo di esercizio dedicato al gioco tramite apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 e s.m.; dall’altro lato, gli stessi atti avrebbero dovuto esplicitare le ragioni per le quali le categorie di persone individuate sarebbero maggiormente soggette al rischio di ludopatia e, quindi, da tutelare, per prevenire il “vizio del gioco”.

Osserva il Collegio che è venuto meno l’interesse dei ricorrenti alle censure, nella parte in cui sono rivolte alle due deliberazioni provinciali, per le ragioni già indicate sub 1, cui si rimanda, mentre le censure riferite al provvedimento di decadenza sono infondate.

Come già anticipato, l’Assessore provinciale competente, nel provvedimento di decadenza impugnato, manifesta la volontà di non rinnovare l’autorizzazione al ricorrente, in quanto i locali nei quali è gestita la sala giochi “sono ubicati in un raggio di 300 metri” da numerosi luoghi sensibili, di cui all’elenco allegato alla nota del Comune di Bolzano del 16 dicembre 2015, richiamata per relationem nell’atto impugnato.

Per quanto concerne i luoghi sensibili individuati con la sopra citata deliberazione della Giunta provinciale, è venuto meno l’interesse dei ricorrenti alla censura, per le ragioni indicate sub 1, mentre per quanto concerne gli altri luoghi sensibili (istituti scolastici, centri giovanili e strutture socioassistenziali), la censura è palesemente infondata, posto che le categorie dei giovani e delle persone socialmente più deboli sono individuate direttamente e in modo inequivoco dal legislatore provinciale come categoriae da tutelare, per prevenire il vizio del gioco.

Invero, l’art. 5bis, comma 1, della legge provinciale n. 13 del 1992, afferma che l’autorizzazione “non può essere concessa” quando le sale gioco “siano ubicate in un raggio di 300 metri da istituti scolastici…centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito…socioassistenziale”.

Pertanto, il provvedimento di decadenza impugnato non necessitava di alcuna istruttoria, nè di specifica motivazione sul punto.

2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti, sviluppando la censura di difetto di motivazione e di istruttoria di cui al secondo motivo, lamentano che il provvedimento di decadenza avrebbe omesso di indicare gli indirizzi delle vie in cui si troverebbero i luoghi sensibili, non consentendo così ai ricorrenti di verificare la effettiva distanza della sala giochi dai due luoghi sensibili.

Inoltre, mancherebbe “l’indicazione, espressa in metri, del raggio intercorrente tra gli stessi luoghi e la sala giochi”.

Il provvedimento di decadenza avrebbe dovuto indicare espressamente la categoria di riferimento in base alla quale sarebbero stati selezionati i luoghi sensibili.

Infine, alcuni luoghi indicati come sensibili non si capirebbe a quale categoria dovrebbero appartenere.

Anche queste censure sono prive di pregio.

Per quanto concerne le censure riferite ai luoghi sensibili individuati dalle deliberazioni della Giunta provinciale impugnate, è venuto meno l’interesse dei ricorrenti al loro esame, per le ragioni già indicate sub 1.

Le censure di omessa indicazione dell’indirizzo dei luoghi e delle categorie di appartenenza va disattesa: nella nota richiamata nel provvedimento di decadenza il Comune di Bolzano non fa riferimento, in modo generico, ad es. scuole o centri giovanili, ma li individua espressamente, con il loro nome. Per quanto concerne i luoghi considerati sensibili direttamente dal legislatore provinciale sono indicati inoltre, espressamente, anche l’indirizzo e la categoria (cfr. doc. n. 18 della Provincia). Le censure appaiono pertanto pretestuose.

Va disattesa anche la censura relativa alla mancata indicazione in metri del raggio intercorrente tra gli stessi luoghi e la sala giochi. Vero è che il provvedimento di decadenza dice espressamente che tutti detti luoghi si trovano “in un raggio di 300 metri” dalla sala giochi “XXX” di Bolzano. Né i ricorrenti hanno fornito un principio di prova in ordine alla circostanza che la sala giochi si troverebbe in un raggio di distanza superiore ai 300 metri indicati.

2.4. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la mancata comunicazione di avvio del procedimento con riferimento alla decadenza della licenza per la sala giochi: il titolo autorizzativo al quale la comunicazione di avvio del procedimento e la conseguente pronuncia di decadenza si riferiscono non sarebbe l’autorizzazione alla gestione della sala giochi, ma quella ex art. 88 del R.D. n. 773 del 1931 alla raccolta di giocate tramite apparecchi denominati VLT – videoterminali.

In ogni caso, entrambe le dette licenze sarebbero state emesse il giorno 4 dicembre 2012, con la inoppugnabile conseguenza che la loro scadenza non potrebbe essere quella indicata del 31 dicembre 2015, bensì quella diversa e successiva del 4 dicembre 2017, in applicazione dell’art. 5bis, comma 1, della legge provinciale n. 13 del 1992, come modificato con l’art. 1, comma 1, della legge provinciale n. 13 del 2010.

Le censure sono infondate.

Si è già sottolineato, in punto di fatto, che la licenza per la sala giochi e quella per la raccolta di giocate tramite apparecchi denominati VLT sono state entrambe rilasciate il giorno 4 dicembre 2012.

La circostanza che, nelle premesse della comunicazione di avvio del procedimento di decadenza, sia indicato erroneamente il numero di protocollo della licenza per la raccolta di giocate tramite apparecchi VLT, anziché quello riferito alla licenza per la gestione della sala giochi è del tutto irrilevante. Si tratta, con ogni evidenza, di un mero refuso, verosimilmente causato dal fatto che le due licenze hanno la stessa data.

Vero è che nell’oggetto della comunicazione di avvio del procedimento si fa correttamente e chiaramente riferimento all’avvio del procedimento “per la pronuncia di decadenza dell’autorizzazione alla gestione della sala giochi ‘XXX’ a Bolzano”, e che anche nel testo della comunicazione si fa esclusivamente riferimento alla licenza per la gestione della sala giochi, senza che vi sia alcun cenno alla licenza VLT.

La censura è pretestuosa anche perché dalla semplice lettura delle memorie presentate dai ricorrenti alla Provincia in seguito della citata comunicazione si evince che gli stessi non hanno avuto alcun dubbio su quale fosse la licenza nei confronti della quale la Provincia intendeva pronunciare la decadenza (cfr. doc. 4 dei ricorrenti).

Infondata è parimenti la censura tendente a dimostrare che “entrambe le licenze”, essendo state rilasciate il 4 dicembre 2012, non scadrebbero il 31 dicembre 2015, come indicato nel provvedimento impugnato, bensì il 4 dicembre 2017.

L’art. 5bis, comma 1, della legge provinciale 13 maggio 1992, n. 13 (aggiunto dall’art. 1 della legge provinciale 22 novembre 2010, n. 13) prevede che “l’autorizzazione viene concessa per 5 anni e ne può essere chiesto il rinnovo dopo la scadenza”. In via transitoria, il legislatore prevede che “per le autorizzazioni esistenti” alla data di entrata in vigore della legge (15 dicembre 2010) “il termine di 5 anni decorre dal 1° gennaio 2011”.

Come già detto in punto di fatto, la prima licenza per la sala giochi “XXX” di Bolzano, è stata rilasciata il 2 dicembre 2005. Le successive licenze del 30 novembre 2010 e del 4 dicembre 2012 devono essere considerate mere volture di una licenza “esistente”, ai sensi e agli effetti della citata disposizione (cfr. TRGA Bolzano, 22 giugno 2016, n. 199).

Trattandosi quindi di licenza “esistente” al 15 dicembre 2010, la scadenza è stata correttamente individuata nel provvedimento di decadenza il 31 dicembre 2015, come peraltro correttamente indicato nella licenza per voltura del 4 dicembre 2012.

2.5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano il contrasto dell’art. 5bis della legge provinciale n. 22 del 1992 e s.m. e degli atti applicativi (deliberazione della Giunta provinciale n. 341/2012 e provvedimento di decadenza) con il decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito con modificazioni nella legge 8 novembre 2012, n. 189 (c.d. decreto Balduzzi).

La doglianza è infondata.

E’ noto che le prime misure volte a vietare l’installazione di apparecchi da gioco nelle zone c.d. sensibili sono state adottate dalla Provincia autonoma di Bolzano con la legge provinciale 22 novembre 2010, n. 13. Solo due anni dopo il legislatore statale, con il D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189), ha adottato “misure di prevenzione per contrastare la ludopatia”). Sennonché, nonostante il lodevole intento espresso nella rubrica dell’art. 7, nella loro stesura finale, le misure adottate si sono rivelate blande rispetto alla finalità che lo stesso legislatore si era dato; e la loro attuazione, oltretutto, è stata rimandata nel tempo.

Recita infatti l’art. 7, comma 10, del citato decreto “Balduzzi”: “L’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, tenuto conto degli interessi pubblici di settore, sulla base di criteri, anche relativi alle distanze da istituti di istruzione primaria e secondaria, da strutture sanitarie e ospedaliere, da luoghi di culto, da centri socio-ricreativi e sportivi, definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, provvede a pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera a), del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931, e successive modificazioni, che risultano territorialmente prossimi ai predetti luoghi. Le pianificazioni operano relativamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (n.d.r.: 11 novembre 2012) e valgono, per ciascuna nuova concessione, in funzione della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie ed ospedaliere, dei luoghi di culto esistenti alla data del relativo bando. Ai fini di tale pianificazione si tiene conto dei risultati conseguiti all’esito dei controlli di cui al comma 9, nonché di ogni altra qualificata informazione acquisita nel frattempo, ivi incluse proposte motivate dei comuni ovvero di loro rappresentanze regionali o nazionali. Presso l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, presso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, è istituito, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un osservatorio di cui fanno parte, oltre ad esperti individuati dai Ministeri della salute, dell’istruzione, dell’università e della ricerca, dello sviluppo economico e dell’economia e delle finanze, anche esponenti delle associazioni rappresentative delle famiglie e dei giovani, nonché rappresentanti dei comuni, per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave. Ai componenti dell’osservatorio non è corrisposto alcun emolumento, compenso o rimborso di spese”.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 300/11, depositata il 10 novembre 2011, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni provinciali che, dettando norme sulla localizzazione degli apparecchi da gioco lecito, mirano a tutelare le “conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché all’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi degli utenti”.

La Corte ha ritenuto che le disposizioni de quibus non rientrino nella competenza esclusiva dello Stato in materia di misure di prevenzione dei reati e mantenimento dell’ordine pubblico (art. 117, secondo comma, lett. h), lasciando intendere che esse rientrino nella materia sociale della tutela dei minori e in quella della tutela del territorio, materie nelle quali la Provincia autonoma di Bolzano esercita potestà legislativa esclusiva (cfr. art. 8, risp. numeri 25 e 5 dello Statuto di autonomia). Ciò evidentemente a prescindere dalla collocazione delle disposizioni stesse nella legge provinciale sugli esercizi pubblici.

Peraltro, anche volendo considerare le disposizioni provinciali rientranti nelle materie nelle quali la Provincia esercita una potestà legislativa concorrente, come quella degli esercizi pubblici o della sanità (nella quale sono collocate le disposizioni del decreto “Balduzzi”), in base allo Statuto di autonomia, letto in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 (c.d. clausola di adeguamento automatico, anche detta clausola di maggiore favore), la Provincia non meriterebbe censure, in quanto ha rispettato il limite “dei principi fondamentali” stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 117, terzo comma, ultimo periodo, della Costituzione).

Il legislatore statale ha indicato, come si evince dalla piana lettura dell’art. 7, comma 10, del decreto “Balduzzi” (sopra riportato), che la necessità di opportunamente distanziare gli esercizi dove sono installati gli apparecchi da gioco da alcuni luoghi giudicati sensibili costituisce un principio fondamentale del decreto.

In tal senso, il TRGA di Trento, nella sua sentenza n. 63 del 21 febbraio 2013, ha affermato essere “uno dei principi fondamentali del sopravvenuto decreto Balduzzi…l’esigenza – sia pure valutata con un diverso grado di urgenza – che tra i locali, ove sono installati gli apparecchi da gioco, e determinati luoghi di aggregazione e/o permanenza di fasce vulnerabili della popolazione “debba intercorrere una distanza minima, idonea ad arginare i richiami e le suggestioni consistenti nell’illusoria possibilità di facile ed immediato arricchimento” (nello stesso senso cfr. anche TRGA Trento 7 marzo 2013, n. 104).

Quindi le norme provinciali in esame hanno seguito i principi fondamentali contenuti nel decreto “Balduzzi” e li hanno codificati ancora prima della loro introduzione nella legislazione statale.

In ogni caso, va sottolineato che le disposizioni contenute nell’art. 7, comma 10, del decreto “Balduzzi”, non possono comunque essere applicate direttamente nel territorio provinciale, ostandovi l’art. 2 del D. Lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (norma di attuazione sui rapporti tra legislazione statale e provinciale).

2.6. Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione della direttiva 98/34/CE (come modificata dalla direttiva 98/48/CE), che prevede l’esperimento di una procedura di informazione nel “settore delle norme e regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione”, allo scopo di evitare che la libera circolazione delle merci, la libera prestazione di servizi e la libertà di stabilimento, garantite dal Trattato dell’Unione Europea possano venire pregiudicate ovvero ostacolate, direttamente o indirettamente, da una loro eventuale applicazione.

I ricorrenti chiedono che, in caso di mancato accoglimento di dette censure, sia proposta alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), la questione pregiudiziale in ordine all’interpretazione della direttiva 98/34/CE (come modificata dalla direttiva 98/48/CE), riguardante la procedura di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche.

Le censure sono infondate, né sussistono i presupposti per il rinvio della questione alla Corte di Giustizia CE ai sensi dell’art. 267 TFUE.

Per disattendere le censure è sufficiente richiamare la giurisprudenza comunitaria e nazionale, che ha escluso la qualificazione di “regole tecniche” per le disposizioni che contengano restrizioni all’apertura di locali adibiti al gioco, a tutela di determinate categorie di persone maggiormente vulnerabili in funzione della prevenzione della dipendenza dal gioco (interesse fondamentale, salvaguardato dallo stesso Trattato CEE), affermando la conseguente non necessità di previa comunicazione alla Commissione europea, ai sensi della direttiva 98/34/CE (cfr., ex multis, sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 24 gennaio 2013, n. 186; Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 settembre 2013, n. 4498; TRGA Bolzano, 20 dicembre 2015, n. 359, 9 novembre 2015, n. 335, 20 ottobre 2015, n. 320, 30 dicembre 2014, n. 305, 22 novembre 2013 e 18 dicembre 2012, n. 376; TRGA Trento, 21 febbraio 2013, n. 64, 7 marzo 2013, n. 104 e 20 marzo 2013, n. 96).

Il Consiglio di Stato, Sez. V, nella sentenza n. 5251/14, depositata il 23 ottobre 2014, così si è espresso al riguardo: “L’art. 8 della predetta direttiva contempla invero l’obbligo per gli Stati membri di comunicare immediatamente alla Commissione ogni ‘progetto di regola tecnica’, intendendosi per tale anche le ‘disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative … che vietano la fabbricazione, l’importazione, la commercializzazione o l’utilizzo di un prodotto oppure la prestazione o l’utilizzo di un servizio o lo stabilimento come fornitore di servizi’ (cfr. ivi l’art. 1, §11). Ai fini della verifica dell’applicazione o meno dei principi di libera circolazione dei beni, delle persone, dei servizi e dei capitali, del conseguente divieto di restrizioni qualitative e quantitative, di massima trasparenza delle iniziative nazionali tese ad introdurre norme e regolamenti tecnici richiamati dalla predetta direttiva (cfr. ivi i “considerando” 2 e 3), corre peraltro l’obbligo di evidenziare come la direttiva medesima ammetta esplicitamente la possibilità di porre ‘ostacoli agli scambi dei prodotti, derivanti dalle regolamentazioni tecniche’ dei prodotti stessi, ove reputati necessari per soddisfare esigenze imperative o per perseguire obiettivi di interesse generale di cui costituiscono ‘la garanzia basilare’ (cfr. ivi il ‘considerando’ 4).

Né va sottaciuto che l’art. 1,§11, della Direttiva 98/34 dinanzi riferito deve essere interpretato nel senso che disposizioni nazionali – ivi dunque comprese quelle regionali – in tema di giochi d’azzardo che potrebbero comportare limiti per l’utilizzazione dei giochi automatici con vincita di danaro o – progressivamente – l’impossibilità della loro utilizzazione, possono in effetti costituire ‘regole tecniche’ ai sensi della disposizione di fonte comunitaria in esame, purché tali disposizioni nazionali rappresentino condizioni che possono influenzare ‘in modo significativo’ ‘la natura del prodotto di cui trattasi, ovvero la sua commercializzazione: circostanza, questa, ‘che spetta al giudice nazionale verificare’ (cfr. Corte Giustizia CE, 19 luglio 2012 n. 213, riguardante una legge polacca sulle autorizzazioni all’installazione di apparecchi di gioco d’azzardo).

Né, comunque, sussiste l’obbligo di comunicazione allorquando le limitazioni siano preordinate a soddisfare esigenze imperative o perseguano un interesse di cui esse costituiscano garanzia basilare (cfr. il ”considerando” 4 della direttiva n. 98/34 ), ovvero allorquando gli Stati membri ritengano necessarie misure ‘per garantire la protezione delle persone, e segnatamente dei lavoratori, in occasione dell’impiego di prodotti, a condizione che tali misure non influiscano sui prodotti stessi’ (cfr. art. 1, ultimo paragrafo della direttiva n. 98/34).

Del resto, anche in epoca recente la stessa Corte di Giustizia CE ha precisato che i principi di libera circolazione e di divieto di limitazione o restrizione presidiati dalle regole di trasparenza e pubblicità della Direttiva 98/34 non sono né assoluti né generalizzati e, in particolare, che la disciplina dei giochi d’azzardo rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale, in base alle quali restrizioni alle predette attività di gioco possono essere introdotte se giustificate da ragioni imperative di interesse generale, come la dissuasione dei cittadini da una spesa eccessiva legata al gioco medesimo (cfr. sentenza 24 gennaio 2013, n. 186/11, resa nelle cause riunite C-186/11 e C-209/11)”.

I ricorrenti lamentano inoltre la violazione dei principi di libera prestazione di servizi e di libertà di stabilimento, di cui agli artt. 49 e 56 del TFUE.

Anche queste censure non colgono nel segno.

La giurisprudenza CE in materia di libera prestazione di servizi e offerta di gioco d’azzardo lecito e sua pubblicizzazione, è unanime nel ritenere conformi al TFUE (in particolare agli artt. 49 e 56, già 43 e 49 CE) le normative nazionali di restrizione alla libera prestazione di servizi, adottate nel settore dei giochi e delle scommesse. In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella sentenza 8 settembre 2010, n. 46, ha affermato che tali restrizioni si ricollegano il più delle volte alla tutela dei destinatari dei servizi interessati e, più in generale, dei consumatori, nonché alla tutela dell’ordine sociale. La Corte ha altresì sottolineato che tali obiettivi rientrano nel novero delle ragioni imperative di interesse generale, atte a giustificare menomazioni della libera prestazione dei servizi (v. in tal senso, in particolare, sentenze Schindler, cit., punto 58; Läärä e a., cit., punto 33; Zenatti, cit., punto 31; 11 settembre 2003, causa C-6/01, Anomar e a., Racc. pag. I-8621, punto 73, nonché Placanica e a., cit., punto 46).

Risulta dunque dalla giurisprudenza della Corte che spetta a ciascuno Stato membro decidere, nell’ambito del proprio potere discrezionale, se, nel contesto dei legittimi scopi da esso perseguiti, sia necessario vietare totalmente o parzialmente attività della suddetta natura, oppure soltanto limitarle e prevedere, a tal fine, modalità di controllo più o meno rigorose, tenendo presente che la necessità e la proporzionalità delle misure adottate deve essere valutata unicamente alla luce degli obiettivi perseguiti e del livello di tutela, che le autorità nazionali interessate intendono garantire.

Anche il Consiglio di Stato, nella sentenza della Sezione IV 20 agosto 2013, n. 4199, ha affermato che “esigenze di carattere sociale o criminale, quali la tutela del consumatore, la prevenzione della frode, il contenimento della propensione al gioco (c.d. ludopatia), ma solo se idonee allo scopo e perseguite in modo coerente e sistematico”, possono giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (previste dagli artt. 43 e 49 del CE). Appare, quindi, ragionevole che il legislatore provinciale sia intervenuto per proteggere le fasce di popolazione più deboli”.

2.7. Con il settimo motivo i ricorrenti sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art. 5bis della legge provinciale n. 13 del 1992 (aggiunto dall’art. 1, comma 1, della L.P. n. 13 del 2010), per contrasto con gli articoli 3, 41 e 97, della Costituzione.

La questione è infondata, sotto tutti i profili sollevati.

Quanto al dedotto contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione osserva il Collegio che il legislatore provinciale ha introdotto limitazioni spaziali ad ogni tipo di esercizio dedicato al gioco tramite apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, del R.D. n. 773 del 1931 (senza alcuna distinzione tra essi), intervenendo nelle materie rientranti nelle proprie competenze legislative, con il dichiarato scopo di tutelare soggetti ritenuti vulnerabili, in considerazione dell’età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o sociale, di prevenire forme di gioco c.d. compulsivo e al fine di evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, per la viabilità e per garantire la quiete pubblica.

Quanto all’asserito contrasto della disciplina provinciale con l’art. 41 della Costituzione va richiamato, anzitutto, quanto già affermato sul punto da questo Tribunale nella sentenza n. 323 del 22 novembre 2013 e nelle recenti sentenze nn. 301 e 302 del 31 ottobre 2016.

Osserva il Collegio che è pur vero che l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge. Ma è anche vero che il c.d. regime di liberalizzazione introdotto dal legislatore statale in applicazione dei principi comunitari e della citata norma costituzionale non è assoluto. Invero, l’art. 3, comma 1, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148, pur impegnando Comuni, Province, Regioni e Stato ad adeguare i rispettivi ordinamenti agli introdotti principi, elenca una serie di beni e ambiti che possono giustificare eccezioni al principio stesso, fra i quali, per quanto di interesse, sono annoverati i limiti per i casi in cui l’attività economica si ponga in contrasto con l’utilità sociale (lett. c) e i limiti a protezione della salute umana (lett. d).

La Corte Costituzionale, investita della verifica di legittimità in ordine alla disposizione di cui al citato art. 3, comma 1, ha statuito quanto segue: “La disposizione impugnata afferma il principio generale della liberalizzazione delle attività economiche, richiedendo che eventuali restrizioni e limitazioni alla libera iniziativa economica debbano trovare puntuale giustificazione in interessi di rango costituzionale o negli ulteriori interessi che il legislatore statale ha elencato all’art. 3, comma 1. Complessivamente considerata, essa non rivela elementi di incoerenza con il quadro costituzionale, in quanto il principio della liberalizzazione prelude a una razionalizzazione della regolazione, che elimini, da un lato, gli ostacoli al libero esercizio dell’attività economica che si rivelino inutili o sproporzionati e, dall’altro, mantenga le normative necessarie a garantire che le dinamiche economiche non si svolgano in contrasto con l’utilità sociale” (cfr. sentenza n. 200 del 20 luglio 2012).

Al riguardo, oltre a quanto sopra detto, va richiamata anche la sentenza della Corte Costituzionale n. 300 del 2011. La Corte, vagliando la legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1bis, della legge provinciale n. 58 del 1988, contenente divieti di localizzazione per gli apparecchi da gioco leciti, ha ritenuto giustificate e proporzionate le misure introdotte dal legislatore provinciale con riferimento agli esercizi pubblici, rilevando che:

– le disposizioni esaminate dalla Corte, le quali dettano precipuamente limiti alla collocazione nel territorio delle sale da gioco e di attrazione e delle apparecchiature per giochi leciti, sono dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili (o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio – assistenziale), al fine di prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonché al fine di evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica;

– le stesse disposizioni non incidono direttamente sulla individuazione ed installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, maggiormente esposti alla capacità suggestiva dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni; dall’altro canto, influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate.

Anche il Consiglio di Stato, richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 300 del 2011, ha statuito che la disciplina in esame, non solo non viola la libertà d’iniziativa economica, ma appare ragionevole e del tutto proporzionata: “le disposizioni censurate si basano su un ragionevole bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti, non incidendo direttamente sulla individuazione e sulla installazione dei giochi leciti, bensì su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero, da un canto, indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e, quindi, esposti alla capacità suggestiva dell’illusione di conseguire, tramite il gioco, vincite e facili guadagni, e, dall’altro, influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate” (cfr. Sez. VI, 11 settembre 2013, n. 4498).

In conclusione, per le ragioni espresse, il ricorso va dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, con riferimento agli atti impugnati indicati in epigrafe sub 2) e, per il resto, va rigettato, in quanto infondato.

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