La Commissione europea ha proposto l’archiviazione della petizione presentata nel 2013 da un cittadino spagnolo relativa a pratiche commerciali sleali nei giochi online. La CE propone oggi l’archiviazione alla luce
La Commissione europea ha proposto l’archiviazione della petizione presentata nel 2013 da un cittadino spagnolo relativa a pratiche commerciali sleali nei giochi online. La CE propone oggi l’archiviazione alla luce della risposta fornita dalla stessa Commissione e di altri documenti pervenuti.
Il firmatario lamentava presunte pratiche commerciali sleali applicate da un fornitore privato americano di giochi online. Denunciava che il sito web indica inizialmente che il gioco è gratuito, ma successivamente applicava commissioni per le parti opzionali. Come ha spiegato la Commissione europea a conclusione della petizione: “Giacché la Commissione europea non ha poteri di applicazione diretta che le consentano di indagare sulle infrazioni della normativa dell’UE in materia di consumatori, essa non può accogliere direttamente il caso del firmatario. Nondimeno, alla luce delle possibili violazioni della sopracitata normativa dell’UE, la presentazione potrebbe essere inoltrata alle autorità di tutela dei consumatori competenti (in particolare, in Spagna e in Portogallo) per ulteriori indagini e, se del caso, per eventuali misure ai sensi del diritto nazionale di tali Stati membri.
La Commissione in una comunicazione dello scorso 16 dicembre 2014 chiariva che: “A partire dal 2013, la Commissione europea e le autorità degli Stati membri per la tutela dei consumatori hanno seguito da vicino le evoluzioni nel settore dei giochi basati su applicazioni online. Alla luce del numero crescente di denunce dei consumatori, ricevute dalle autorità per la tutela degli stessi nell’UE, la rete di cooperazione per la tutela dei consumatori – che opera ai sensi del regolamento in materia (2006/2004/CE) – ha varato un’azione comune relativa agli acquisti all’interno di applicazioni (in-app) nei giochi online e mobili. Detta rete ha sollevato quattro problematiche dei consumatori in merito al settore: (i) i giochi pubblicizzati come ‘gratuiti’ non dovrebbero trarre in inganno i consumatori sui veri costi che essi comportano; (ii) i giochi non dovrebbero contenere esortazioni dirette ai bambini, affinché acquistino elementi di un gioco o convincano un adulto ad acquistare elementi per loro; (iii) i consumatori devono essere adeguatamente informati sulle disposizioni per il pagamento degli acquisti. Inoltre, essi non dovrebbero ricevere addebiti attraverso impostazioni predefinite senza il loro esplicito consenso; (iv) i professionisti dovrebbero mettere a disposizione un indirizzo e-mail, in modo che i consumatori li possano contattare in caso di domande e reclami. I principali operatori, Apple e Google, hanno proposto impegni volti a fronteggiare tali questioni di tutela dei consumatori. La rete di cooperazione per la tutela dei consumatori ha concluso che, mentre le proposte di Google – una volta attuate appieno – fronteggeranno le questioni sollevate, Apple si è occupato delle suddette questioni soltanto in parte. Le discussioni con quest’ultimo sono in corso. All’azione in oggetto hanno altresì partecipato le associazioni di sviluppatori di giochi. L’esito di tale azione si applicherà all’intero settore dei giochi online. A seguito dell’azione stessa, si auspica maggior trasparenza nel suddetto settore dei giochi online, specialmente in merito ai veri costi che questi comportano e alle impostazioni per il pagamento. Il lavoro in oggetto, tuttavia, non ha affrontato la questione della durata dei beni virtuali acquistati dai consumatori. All’acquisto di beni virtuali online, il consumatore conclude un contratto con il professionista e, nel contratto, dovrebbero essere chiaramente delineati l’uso previsto e le caratteristiche principali dei suddetti beni.
La direttiva 2011/83/UE, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori ha potenziato la tutela di questi ultimi, in special modo relativamente alle vendite online. Per quanto attiene alle applicazioni scaricabili gratuitamente, ma che offrono possibilità di effettuare acquisti successivi al loro interno, da un punto di vista della suddetta direttiva, si conclude automaticamente un contratto quando il consumatore scarica l’applicazione gratuita. Conseguentemente, si applicherà l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva sui diritti dei consumatori, secondo il quale il professionista fornisce al consumatore, in maniera chiara e comprensibile, informazioni sulle caratteristiche principali dei beni o servizi, prima che il consumatore stesso sia vincolato dal contratto. Oltre a ciò, la prima volta in cui il consumatore acquista un prodotto o un servizio all’interno di un’applicazione scaricata gratuitamente, il contratto sottostante passerà da ‘contratto a titolo gratuito’ a ‘contratto a pagamento’. La conseguenza del passaggio a un ‘contratto a pagamento’ è l’obbligo che il professionista avrà di rispettare l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva sui diritti dei consumatori, che si aggiungerà all’obbligo di rispettare l’articolo 6, paragrafo 1, della stessa. L’articolo 8, paragrafo 2, della suddetta direttiva impone al professionista di informare il consumatore ‘in modo chiaro ed evidente, nonché direttamente prima che il consumatore inoltri l’ordine’ delle ‘caratteristiche principali’ del contenuto digitale in questione, del ‘prezzo totale’ e, se applicabili, della ‘durata del contratto’ e della ‘durata minima dell’obbligo del consumatore a norma del contratto’. In subordine a una concreta valutazione di tutte le circostanze pertinenti del caso del firmatario, il fatto che il valore del denaro virtuale acquistato in un gioco online sia limitato a 30 giorni potrebbe eventualmente essere considerato un importante elemento delle caratteristiche principali del prodotto.
Tale contratto, oltre a ciò, deve essere in linea con la direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (direttiva sulle clausole contrattuali abusive), quale attuata nel diritto nazionale degli Stati membri. Ad esempio, ai sensi dell’articolo 3 della sopracitata direttiva, le clausole contrattuali che non sono state oggetto di negoziato individuale, si considerano abusive se, malgrado il requisito della buona fede, determinano, a danno del consumatore, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto. Tali clausole, tra le altre cose, possono comprendere: (i) il consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto senza valido motivo specificato nel contratto stesso e (ii) il consentire al professionista di modificare unilateralmente, senza valido motivo, le caratteristiche del prodotto o del servizio. L’annullamento della validità dei beni virtuali entro un breve periodo di tempo può rientrare nelle suddette clausole. Si rammenta, nondimeno, che è competenza delle autorità giudiziarie nazionali valutare in concreto se uno specifico professionista agisca o meno in contrasto agli obblighi di
informazione precontrattuale applicabili – stabiliti dalla direttiva sui diritti dei consumatori – e se le specifiche clausole di un contratto siano o meno abusive – ai sensi della direttiva sulle clausole contrattuali abusive – tenendo conto della natura dei beni o dei servizi e di tutte le circostanze afferenti alla conclusione del contratto. La Corte di giustizia dell’Unione europea è l’unico organo competente a fornire, in ultima istanza, un’interpretazione vincolante della normativa dell’Unione stessa. L’applicazione della normativa dell’UE in materia di consumatori, come le direttive summenzionate, rientra nella competenza degli Stati membri dell’UE. La Commissione europea non ha poteri di applicazione diretta nel settore della tutela dei consumatori dell’UE. Il ruolo della Commissione, a norma del regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori, è di coordinamento. Dal momento che la petizione riguarda eventuali pratiche che potrebbero colpire i consumatori dell’UE – in particolare in Spagna e in Portogallo – sarebbero competenti a intervenire sulla materia le autorità per la tutela dei consumatori spagnole e portoghesi. Nel caso in cui sia probabile che il professionista interessato si trovi fuori dell’Unione europea e, ciononostante, le sue pratiche possano colpire i consumatori della stessa, le autorità dell’UE per la tutela dei consumatori dovrebbero indagare su tali possibili infrazioni e adottare tutte le misure a disposizione ai sensi del diritto nazionale per assicurare l’ottemperanza e la tutela dei consumatori dell’UE”.
PressGiochi