24 Novembre 2024 - 17:47

Scommesse. Per la Commissione tributaria di Napoli, i CTD sono soggetti passivi d’imposta

La delegazione As.Tro in audizione per la seconda volta al Comune di Torino Brindisi. In consiglio comunale l’impegno per contrastare il gioco d’azzardo I CTD, che gestiscono le scommesse ed

25 Ottobre 2016

La delegazione As.Tro in audizione per la seconda volta al Comune di Torino

Brindisi. In consiglio comunale l’impegno per contrastare il gioco d’azzardo

I CTD, che gestiscono le scommesse ed inviano i dati al bookmaker, costituiscono soggetto passivo d’imposta(art. 3 d.lgs. 504/98). Lo dicono i giudici della CTR di Napoli pronunciandosi su un ricorso in appello di un CTD che  aveva sottolineato come la propria attività si limitasse alla mera ausiliarità rispetto alla gestione delle scommesse in favore del bookmaker estero.

Nella sentenza della CTR campana si legge infatti che sono assoggettati al pagamento dell’imposta unica coloro i quali gestiscono con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o per conto di terzo, anche ubicato all’estero, concorsi pronostici e scommesse di qualunque genere e che, tra questi sono inequivocabilmente inseriti anche i suddetti centri.

 

 

Respingendo l’appello, giudicato infondato, il Collegio ha spiegato che la richiesta di sospensione del giudizio con rimessione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea non può essere accolta. Invero, secondo l’orientamento prevalente della Suprema Corte, le limitazioni alle attività di giuoco d’azzardo possono essere giustificati da motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori, nonché la prevenzione delle frodi e dell’incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco. Con riferimento alla normativa italiana sui giochi d’azzardo la Corte di Giustizia Europea ha già constatato che l’obiettivo attinente alla lotta contro la criminalità collegata ai giochi d’azzardo è idoneo a giustificare le restrizioni alle libertà fondamentali derivanti da tale normativa (cfr. sentenza Biasci e C660/11 et CB/12, EUC2013550, punto 23). La lotta contro la raccolta illegale di scommesse e la criminalità può, nel suo complesso, rappresentare un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare un ostacolo alle libertà di stabilimento e di prestazione di servizi.

Dalla giurisprudenza della Corte emerge chiaramente che l’obiettivo mirante a lottare contro la criminalità assoggettando ad un controllo coloro che operano attivamente in tale settore e canalizzando le attività dei giochi di azzardo nei circuiti così controllati è considerato idoneo a giustificare restrizioni alle libertà fondamentali. Del resto e come menzionato dal governo italiano, l’attuazione di un sistema di concessione il cui principio è stato convalidato dalla Corte implica la conclusione di contratti di concessione che generano impegni reciprocamente vincolanti fra l’autorità concedente e l’impresa concessionaria.

Nel settore dei giochi d’azzardo sono state in tal senso considerate restrizioni alla libertà di stabilimento e/o alla libera prestazione di servizi le misure adottate dagli Stati membri che hanno per effetto di vietare o, in ogni caso, limitare, con gradi diversi, il diritto di organizzare e proporre giochi sul territorio degli Stati membri.

Tali considerazioni dimostrano l’assoluta infondatezza della richiesta avanzata dalla società appellante di disapplicazione, in via preliminare, della legge perché in contrasto con i principi generali del diritto dell’Unione Europea in materia di affidamento e concorrenza, atteso che l’interpretazione della normativa in esame risulta conforme al contemperamento degli obiettivi di tutela della libertà della prestazione di servizi e di prevenzione di fattori distorsivi della concorrenza.

Allo stesso modo infondata appare la richiesta di sospensione del giudizio con trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale in relazione alla questione di legittimità costituzionale dell’art. l comma 66 legge 20/2010. A tal proposito rileva il Collegio che la questione di presenta infondata in quanto il compendio normativo di settore costituisce un unicum organico costituzionalmente orientato e allo stesso tempo rispettoso delle direttive comunitarie in materia. Invero, la Comunità Europea ha legiferato in materia fiscale attinente alle scommesse, ma solo in materia di IVA, mentre è principio ormai consolidato quello secondo cui l’imposta in oggetto non interferisce con l’IVA, ma è alternativa a questa imposta incidendo su una base imponibile differente, sottratta alla imposizione IVA.

Nel merito, poi, rileva la Commissione che i motivi di appello proposti dalla società S. Malta LIMITED risultano infondati e che la sentenza di primo grado appare al contrario ben motivata e corretto risulta l’iter logico seguito dai giudici della CTP di Napoli.

In primo luogo, appare opportuno richiamare quanto statuito proprio dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, III Sezione con la sentenza del 22.1.2015 causa C-463/13 – nella quale si evidenzia espressamente che tutti gli operatori del settore debbono esercitare la loro attività sul mercato alle stesse identiche condizioni, quindi pagare allo Stato italiano, nel cui territorio operano, le medesime imposte, così come confermato dalla legge 190/2014 all’art. l comma 643, per la regolarizzazione della posizione fiscale, a cui la S. non ha aderito.

Quanto ai presupposti impositivi, poi, rileva la Commissione che, ai fini della individuazione del luogo di conclusione del contratto, deve farsi riguardo al luogo nel quale il proponente/scommettitore ha conoscenza dell’accettazione della proposta, quando cioè, effettuata la puntata, egli riceve nei locali aperti al pubblico la ricevuta di gioco. Ne consegue, allora, che il contratto avente ad oggetto la scommessa deve ritenersi concluso in Italia e non nel luogo in cui si trova la sede della S., con conseguente assoggettamento alla disciplina fiscale vigente in Italia.

 

“In ordine poi alla assoggettabilità dei centri trasmissione dati a tale normativa, il dato letterale appare inequivocabile nel senso di assoggettare a responsabilità colui il quale gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o per conto di terzo, anche ubicato all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualunque genere; è proprio il riferimento alla gestione per conto terzi ad apparire specificatamente descrittivo dell’attività dei CTD in ragione delle loro essenziali attività (acquisizione dei dati della giocata, trasmissione della stessa all’operatore estero, emissione della ricevuta che ne attesta l’accettazione, raccolta delle somme di poste di gioco, pagamento delle vincite) e tanto indipendentemente dal potere di ingerenza nella determinazione delle condizioni di scommesse e della estraneità al contratto che ha come parti lo scommettitore e la società estera per conto della quale agisce”.

Infatti, la norma interpretativa di cui all’art. l comma 66 legge 20/2010 interviene sul D.lgs. 504/1998 in materia di riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, specificando l’ambito di applicazione ed i soggetti passivi, in quanto l’imposta unica è comunque dovuta ancorchè la raccolta di gioco, compresa quello a distanza, avvenga in assenza di concessione. Per soggetto passivo deve intendersi dunque, chiunque gestisca con qualsiasi mezzo, anche telematico, per conto proprio o per conto di terzi, ubicati in Italia o all’estero, concorsi o scommesse di qualsiasi genere, prevedendo, poi, la responsabilità solidale dell’intermediario e del book maker proponente, stabilendosi che, se l’attività è esercitata per conto terzi, il soggetto nell’interesse del quale l’attività è stata esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni con la conseguente responsabilità tributaria del titolare del CTD e del bookmaker estero che si assume il rischio delle giocate ed opera nel territorio italiano tramite soggetti legati a lui da rapporti contrattuali.

Per quanto attiene poi all’aliquota del 5% applicata dall’Ufficio, rileva il Collegio che la stessa appare corretta, in assenza di una specifica deduzione fornita di prova da parte della società appellante circa il fatto che le scommesse raccolte si componessero di un numero di eventi non superiore a sette.

Infine, la Commissione, in riferimento alle eccezioni relative alla sanzioni applicate, ritiene che le stesse risultano altrettanto infondate atteso che l’art. 5 comma l del Dlgs. N. 504/98 stabilisce che il soggetto passivo che sottrae, in qualsiasi modo, base imponibile all’imposta unica dei concorsi pronostici o delle scommesse, è punito con la sanzione amministrativa dal 120 al 240 per cento della maggiore imposta. Tale norma, peraltro, nella formulazione esposta, introdotta dall’art. l, comma 65, della legge 20/2010, si applica solo alle violazioni commesse dopo l’1.1.2011: per quelle anteriori, l’art. 5, nel testo previgente, prevedeva una sanzione unica pari al 30% dell’imposta non versata.

 

 

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