23 Novembre 2024 - 02:27

La sentenza del Tar Torino che annulla la multa del comune di Verbania per la sua battaglia contro il gioco

SENTENZA del Tar Torino: sui ricorsi riuniti numero di registro generale 117 e 118 del 2012, proposti da: XXXXX; contro Comune di Verbania, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato

06 Maggio 2016

SENTENZA del Tar Torino:

sui ricorsi riuniti numero di registro generale 117 e 118 del 2012, proposti da:
XXXXX;

contro

Comune di Verbania, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv.to Alessandra Simone, con domicilio eletto presso l’avv.to Alberto Savatteri in Torino, Via Pietro Micca, 3;
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, domiciliata in Torino, corso Stati Uniti, 45;
Questura del Verbano Cusio Ossola

 

 

per il risarcimento

quanto al ricorso n. 117 del 2012:

di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti dalla signora XXX, anche nella suddetta qualità, in conseguenza del regolamento avente ad oggetto la “detenzione e il funzionamento di apparecchi da gioco o da intrattenimento presso i pubblici esercizi, per la disciplina di sale giochi e trattenimenti musicali presso pubblici esercizi”, approvato con delibera del Consiglio Comunale di Verbania 30 maggio 2005 n. 86, poi annullato con sentenza del T.A.R. Piemonte, Sez. II, 20 maggio 2011, n. 513, oggi passata in giudicato, con il quale si prescriveva che “l’uso degli apparecchi di cui all’art. 110, c. 6 e 7 lett. c) del TULPS è consentito dalle h. 15,00 alle h. 22,00. Oltre tale orario tali apparecchi devono essere disattivati”, (Parte Prima, punto 4, comma 3), “gli apparecchi di cui all’art. 110 c. 6 e 7 lett. c) del TULPS possono essere utilizzati dalle h. 15,00 alle h. 22,00. Dopo tale orario devono essere disattivati” (Punto 4, comma 6, secondo periodo Parte Seconda).

quanto al ricorso n. 118 del 2012:

di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti dalla società XXXX srl in conseguenza del regolamento avente ad oggetto la “detenzione e il funzionamento di apparecchi da gioco o da intrattenimento presso i pubblici esercizi, per la disciplina di sale giochi e trattenimenti musicali presso pubblici esercizi”, approvato con delibera del Consiglio Comunale di Verbania 30 maggio 2005 n. 86, poi annullato con sentenza del T.A.R. Piemonte, Sez. II, 20 maggio 2011, n. 513, oggi passata in giudicato, con il quale si prescriveva che “l’uso degli apparecchi di cui all’art. 110, c. 6 e 7 lett. c) del TULPS è consentito dalle h. 15,00 alle h. 22,00. Oltre tale orario tali apparecchi devono essere disattivati” ( Parte Prima, punto 4, comma 3), “gli apparecchi di cui all’art. 110, c. 6 e 7 lett. c) del TULPS possono essere utilizzati dalle h. 15,00 alle h. 22,00. Dopo tale orario devono essere disattivati” (Punto 4, comma 6, secondo periodo Parte Seconda)..

 

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Verbania e di Ministero dell’Interno (Questura del Verbano Cusio Ossola) e di Comune di Verbania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 aprile 2016 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con due distinti ricorsi qui riuniti le società ricorrenti hanno chiesto la condanna del Comune di Verbania al risarcimento del danno dovuto per l’adozione del regolamento per la disciplina delle sale da giochi, approvato dal Consiglio comunale con deliberazione in data 30.5.2005, n. 86, e successivamente annullato da questo Tar.

In specifico detto regolamento regolava l’orario di accensione degli apparecchi di cui all’art. 110 co. 6 e 7 lett c) t.u.l.p.s., limitandolo alle ore comprese tra le 15:00 e le 22:00..

Le ricorrenti, società munite di regolare nulla osta per messa in esercizio dei citati apparecchi e che li avevano installati all’interno dei loro esercizi destinati a sala gioco, impugnavano al TAR il regolamento.

Con sentenza n. 513/2011 di questo Tar, passata in giudicato, il regolamento comunale veniva annullato, evidenziando come la disciplina degli orari di esercizio dei giochi afferisse alla materia “ordine pubblico e sicurezza” di pertinenza dello Stato, e quindi non fosse di competenza dell’amministrazione comunale.

Le società reclamano pertanto i danni asseritamente derivati dal rispetto della restrizione oraria loro imposta nel periodo compreso tra il 4.2.2008, data di deposito presso il Tar Piemonte del ricorso per l’annullamento del regolamento comunale, e il 20.5.2011, data di deposito della sentenza del medesimo Tar.

In particolare il Comune avrebbe colpevolmente esorbitato dalle proprie prerogative, come acclarato dalla sentenza di annullamento del regolamento comunale provocando alle ricorrenti un danno da perdita di introiti.

Con riferimento al periodo oggetto di contestazione le ricorrenti hanno depositato relazione contabile in cui viene individuata la media degli incassi orari; detta media viene quindi moltiplicata per le ore della giornata di necessaria disattivazione degli apparecchi, così quantificando un danno pari ad € 62.271,52 per la società XXX, ed € 1.350.174,48 per la società XXX s.r.l., somme cui dovrebbero aggiungersi gli interessi, la rivalutazione monetaria e un importo equitativamente determinato a titolo di sviamento di clientela, posto che negli orari di obbligatorio spegnimento gli utenti si sono verosimilmente indirizzati altrove.

Si costituiva il Comune di Verbania preliminarmente eccependo la prescrizione della domanda risarcitoria.

Ha prospettato l’amministrazione che il danno si sarebbe verificato al momento di adozione del regolamento comunale, avvenuta nel maggio 2005; le domande risarcitorie di cui ai ricorsi introduttivi sono state notificate all’amministrazione il 10-11.1.2012, ben oltre il termine quinquennale di prescrizione di legge.

Ha eccepito poi l’assenza di colpa in capo all’amministrazione, considerata la sussistenza di fenomeni gravi di ludopatia, ed alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale e normativa che hanno visto la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 220/2014, legittimare gli interventi degli enti locali in materia. Ha evidenziato inoltre che la parte non aveva fornito prova del danno subito, sussistendo anche elementi di prova da cui emergerebbe che i gestori non rispettavano il divieto di attivazione degli apparecchi; infine un limite orario di apertura risultava imposto alle ricorrenti, a prescindere dal regolamento comunale, nelle rispettive autorizzazioni amministrative relative all’esercizio dell’attività.

Si costituiva altresì il Ministero dell’Interno con memoria di mero stile.

Le parti ricorrenti e il Comune di Verbania depositavano ulteriori repliche per l’udienza di merito e, all’udienza del 20.4.2016, la causa veniva discussa e decisa nel merito.

DIRITTO

I ricorsi devono essere riuniti per l’evidente connessione oggettiva e la parziale connessione soggettiva che li caratterizza.

Ritiene il collegio che la domanda risarcitoria proposta dalle società ricorrenti sia infondata.

Deve essere respinta l’eccezione preliminare di prescrizione mossa dall’amministrazione resistente. Quest’ultima assume che, considerata l’applicabilità del termine quinquennale di prescrizione alle azioni risarcitorie per attività illegittima dell’amministrazione consumatasi prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (Cons. St., ad. plen. 6/2015), e considerato che il regolamento del Comune di Verbania, che aveva limitato l’orario di funzionamento dei giochi, è il n. 86 del 30.5.2005, la presenti domande risarcitorie, notificate al Comune ad inizio 2012, devono ritenersi ampiamente prescritte.

La tesi non può essere condivisa poiché il danno lamentato in ricorso non è un danno istantaneo, connesso all’adozione in sé del regolamento, bensì un danno derivante dall’effetto continuato dell’atto su un rapporto di durata (l’esercizio della sala da giochi). Le società ricorrenti collocano infatti il danno nell’arco temporale compreso tra il febbraio 2008 (momento di notifica all’amministrazione comunale del ricorso per l’annullamento del regolamento in materia di giochi) e il maggio 2011 (momento di deposito della sentenza che detto regolamento ha annullato), periodo durante il quale asseriscono di avere rispettato il regolamento comunale di limitazione oraria di accensione dei giochi, così maturando nel tempo una perdita per tale indebita restrizione oraria.

La prescrizione non può maturare nei confronti di un soggetto che non può far valere il diritto (art. 2935 c.c.) ed è evidente che nessuna pretesa risarcitoria poteva essere avanzata dalla ricorrenti per l’astratta adozione del regolamento e sinchè il danno non si fosse effettivamente realizzato nella loro sfera giuridica; tenendo quindi in considerazione il periodo di maturazione del danno oggetto di domanda (febbraio 2008-maggio 2011) l’azione non ha superato il termine quinquennale di prescrizione.

Nel merito la domanda appare tuttavia infondata.

Ritiene il collegio condivisibili le considerazioni dell’amministrazione comunale sia con riferimento alla carenza di elemento soggettivo in capo all’amministrazione sia con riferimento alla totale mancanza di prova del danno in capo alle ricorrenti.

Quanto al primo aspetto non si può prescindere dalla delicatezza degli interessi in questione.

Negli ultimi anni ampio dibattito si è sviluppato circa la diffusione, gravità e rilevanza di fenomeni sociali di cosiddetta “ludopatia”, ovvero dipendenza da gioco, particolarmente pericolosi per determinate fasce sensibili di popolazione (minori, anziani ecc.).

Il fenomeno, venuto lentamente ma prepotentemente in emersione, ha visto una esplicita disciplina nell’art. 7 del d.l. n. 158/2012, “Disposizioni in materia di vendita di prodotti del tabacco, misure di prevenzione per contrastare la ludopatia e per l’attività sportiva non agonistica”, convertito in l. n. 189/2012, che considera la problematica della ludopatia in particolare con riferimento ai minori, ai limiti ed alle modalità di pubblicità di queste attività, alla loro dislocazione sul territorio.

E’ tuttavia evidente che il momento di positiva regolamentazione dei potenziali effetti patologici di queste attività è venuto a valle di un lungo dibattito e di una complessa presa di coscienza del fenomeno, che ha fisiologicamente preso le mosse dagli enti locali, in quanto enti territoriali più vicini alle manifestazioni patologiche ed ai fenomeni sociali ad esse connessi.

Successivamente alla sentenza con cui questo Tar ha annullato il regolamento del Comune di Verbania la Corte Costituzionale è intervenuta in materia con la sentenza interpretativa di rigetto n. 220/2014.

La Corte, interpellata da questo Tar circa possibili profili di illegittimità costituzionale di una normativa cha apparentemente ascriveva alla sola materia dell’ordine pubblico (tradizionalmente intesa come prevenzione di fenomeni criminali), e quindi di pertinenza statale, la problematica della gestione del gioco legale d’azzardo, precludendo interventi sul territorio ai Consigli Comunali ed ai Sindaci, ha dichiarato la questione inammissibile; a tal fine il giudice delle leggi ha evidenziato come fosse possibile (e per altro presente in giurisprudenza) una interpretazione che ascriveva la problematica della ludopatia anche a più generali aspetti di tutela della salute, della quiete pubblica e della circolazione stradale, possibili oggetto di regolamentazione da parte dell’ente locale.

Come riconosciuto dal giudice delle leggi, dunque, esistevano in giurisprudenza diverse interpretazioni a fronte dell’emergere di un fenomeno grave e nuovo, di difficile contenimento con gli strumenti e la disciplina tradizionale in tema di organizzazione dei pubblici esercizi.

Risulta dagli atti che il Comune di Verbania, come per altro esplicitato nel regolamento poi oggetto di annullamento, si era determinato ad intervenire proprio per l’allarme sociale riscontrato sul territorio rispetto ai nuovi fenomeni patologici; l’amministrazione ha quindi tentato di utilizzare uno strumento tradizionale, a fronte di un fenomeno di grave danno per la salute pubblica in progressiva emersione.

Questo Tar ha, all’epoca, seguito l’orientamento giurisprudenziale più rigoroso in tema di disciplina delle competenze degli enti locali, annullando il regolamento.

Tuttavia, nel contesto della novità del fenomeno, e delle incertezze giurisprudenziali che hanno progressivamente portato in emersione nuovi strumenti (ovvero una nuova lettura di strumenti tradizionali) per affrontare nuovi allarmanti fenomeni, fino ad imporre un intervento legislativo di disciplina che tenesse in debita considerazione il fondamentale valore della salute, non pare al collegio sia addebitabile a colpa dell’amministrazione l’essersi posta in un’ottica di massima e seria tutela e prevenzione in un ambito così delicato.

Né pare al collegio che la problematica della colpa possa essere risolta, come sembrano fare le ricorrenti, in termini di conteggio del numero delle decisioni all’epoca orientate in un senso o nell’altro (in un primo tempo certamente la giurisprudenza si è mostrata più rigorosa e rispettosa di orientamenti tradizionali, successivamente evolutisi con la sensibilità sociale e con la stessa legislazione).

L’amministrazione ha infatti comunque dovuto affrontare un delicato fenomeno nuovo, con connessa evidente difficoltà di scelta degli strumenti (e la complessità della problematica si riverbera necessariamente anche sul grado e la configurabilità della colpa richiesto, art. 1176 c.c. e art. 2236 c.c. che la giurisprudenza ritiene applicabile anche alla responsabilità extracontrattuale), pervenendo per altro ad una soluzione che è poi risultata coerente con l’interpretazione costituzionalmente orientata del sistema, come esplicitata dal giudice delle leggi.

Ritiene dunque il collegio che, ai fini della domanda risarcitoria, manchi in tale contesto in capo all’amministrazione l’elemento soggettivo.

Rileva ancora la difesa di parte ricorrente come la pronuncia della Corte Costituzionale avrebbe avuto ad oggetto in specifico i poteri sindacali di cui all’art. 50 del TUEL, e non un eventuale potere del Consiglio Comunale, esercitato con il regolamento oggetto di annullamento nel 2011 e che rappresenta il presupposto della presente azione risarcitoria.

A prescindere dalla circostanza che la pronuncia del giudice delle leggi ha avuto anche ad oggetto i poteri di cui all’art. 50 co. 7 del tuel (disciplina degli orari degli esercizi commerciali, da esercitarsi secondo gli “indirizzi” del consiglio comunale) è del tutto evidente che, ai fini del presente giudizio, appare rilevante, per acclarare un’eventuale lesione di prerogative sostanziali in capo alle ricorrenti idonea a giustificare un risarcimento, non lo specifico organo che in tesi avrebbe avuto titolo ad intervenire in materia, quanto se sostanzialmente l’ente locale avrebbe potuto imporre una disciplina oraria per fini di prevenzione e tutela della salute.

Secondo recente giurisprudenza del giudice d’appello, infatti, anche in ipotesi di risarcimento del danno da interesse oppositivo (quale si configura l’azione proposta dalla ricorrenti avverso la limitazione oraria subita) non appare sufficiente, dal punto di vista della configurazione dello stesso elemento oggettivo, il mero annullamento dell’atto incidente sulle prerogative del privato, dovendosi comunque riscontrare una complessiva illiceità della condotta dell’amministrazione in rapporto al bene sostanziale presunto leso (Cons. St., sez. V, n. 2187/2014).

Ponendosi in tale ottica l’amministrazione ha tenuto una condotta complessivamente coerente con la lettura costituzionalmente orientata del sistema portata in emersione dal giudice delle leggi qualche anno dopo.

Da ultimo ritiene il collegio che le ricorrenti non abbiano neppure fornito la prova del danno (sulle medesime incombente), prova da cui sono, allo stato, anche irrimediabilmente decadute.

L’amministrazione ha sostenuto, tra l’altro, che le società interessate, pur a fronte del divieto stabilito dal Comune, violavano detto divieto anche a costo di subire le sanzioni amministrative conseguenti, risultando per le medesime economicamente conveniente non interrompere il funzionamento degli apparecchi nonostante l’applicazione di eventuali sanzioni.

L’amministrazione ha a tal proposito prodotto una serie di verbali di accertamento di irregolarità che, correttamente, le ricorrenti evidenziano non essere strettamente pertinenti all’oggetto del contendere, in quanto o sono riferiti a diversi soggetti o non cadono esattamente nel periodo oggetto della domanda risarcitoria.

E’ tuttavia evidente che le ricorrenti non possono prospettare un danno concretamente subito, e quindi risarcibile, in termini meramente astratti e teorici.

Le società hanno prodotto una relazione contabile che, limitandosi ad esaminare gli incassi del periodo strettamente circoscritto a quello oggetto di domanda, ha proceduto con i seguenti criteri: l’incasso quotidiano è stato diviso per il numero di possibile erogazione del servizio come previsto dal regolamento; il “teorico” incasso orario così ricavato è stato poi moltiplicato per il differenziale di monte ore esistente tra i limiti orari di esercizio degli apparecchi previsti dal regolamento (15:00-22:00) e il globale orario di apertura delle sale giochi (5:00-2:00), immaginando che il già ricordato teorico incasso orario potesse semplicemente essere traslato in modo omogeneo su ogni singola ora di apertura dell’esercizio.

Al di là della non condivisibilità intrinseca dell’operazione contabile proposta (non tutte le ore di apertura offrono identica ed omogenea possibilità di incasso) manca in atti qualsiasi riscontro reale del teorico conteggio proposto; le società infatti nulla espongono e nulla deducono con riferimento ad incassi di periodi (antecedenti e successivi al periodo oggetto di domanda) in cui certamente il divieto non è stato operativo e così non dimostrano affatto che i loro reali incassi hanno avuto un andamento condizionato in diminuzione o aumento dalla vigenza o meno del divieto, né dimostrano una concreta flessione di detti incassi nei diversi periodi.

Le parti ricorrenti non hanno in definitiva offerto prove idonee del danno.

I ricorsi devono quindi essere complessivamente respinti.

Le evidenti oscillazioni giurisprudenziali che hanno attraversato la materia giustificano la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda), previa riunione dei ricorsi in epigrafe e definitivamente pronunciando sugli stessi, li respinge entrambi.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Testori, Presidente

Savio Picone, Consigliere

Paola Malanetto, Primo Referendario, Estensore

 

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