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Distanze. Per il Consiglio di Stato ‘eccessivi’ i 1000 mt imposti a Bologna

Il Consiglio di Stato intervenendo quest’oggi sul ricorso di una sala videolottery e scommesse di Bologna ha confermato la sentenza del tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna che si era espresso

10 Febbraio 2016

Il Consiglio di Stato intervenendo quest’oggi sul ricorso di una sala videolottery e scommesse di Bologna ha confermato la sentenza del tribunale amministrativo regionale dell’Emilia Romagna che si era espresso contro la norma comunale che impone distanze di 1000 mt delle sale dai luoghi sensibili.

Nello specifico, la Questura di Bologna aveva negato la licenza di polizia necessaria al trasferimento della sala scommesse e giochi mediante videoterminali (VLT) della società SNA Scommesse S.r.l. in quanto il nuovo locale si trovava nel raggio di 1000 mt da luoghi sensibili.

 

Il TAR Emilia Romagna in precedenza, ha accolto il ricorso, “ritenendo che l’art. 23, comma 3, del Reg. P.U. sia illegittimo, in mancanza del necessario presupposto costituito dagli adempimenti previsti, a livello dell’Amministrazione centrale, dall’art. 7 del d.l. 158/2012, convertito in legge 189/2012, il cui rispetto è previsto dall’art. 6 della l.r. Emilia-Romagna 5/2013”.

Per il giudice “Può convenirsi con la prevalente giurisprudenza che si è occupata della questione, nel senso che la disciplina statale e quella regionale siano reciprocamente coerenti rispetto all’obiettivo da perseguire, utilizzando strumenti analoghi con analoghe finalità di prevenzione”.

 

Come evidenzia il Consiglio di Stato “Non appare condivisibile la opposta interpretazione, sulla base della quale il TAR Lecce ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 della l.r. Puglia 43/2013 (che prevede analoga distanza minima), per contrasto con gli artt. 117, terzo comma, e secondo comma, lettera h), Cost.”.

D’altra parte, la disciplina statale, demandando all’Agenzia delle dogane e dei monopoli, sulla base di criteri da stabilire con decreto interministeriale, la pianificazione della “progressiva” ricollocazione di esercizi legittimamente insediati dopo la sua entrata in vigore, sembra presupporre anche la legittimità di pianificazioni adottate prima della sua piena attuazione. In conclusione, la circostanza che la fissazione di “parametri di distanza da luoghi sensibili validi per l’intero territorio nazionale”, non sia ancora avvenuta, non impedisce l’esercizio dei concorrenti poteri, rivolti alle medesime finalità, delle Regioni e degli Enti locali.

 

Quanto all’esenzione per le autorizzazioni al trasferimento delle sale esistenti, sembra evidente che, in assenza di disciplina transitoria, la norma regolamentare si applichi a tutte le nuove domande di rilascio di autorizzazioni di p.s., che, devono essere valutate alla luce dei parametri pro-tempore vigenti.

Posto, dunque, che l’imposizione di una distanza di rispetto costituisce in via di principio uno strumento idoneo e necessario per tutelare l’interesse pubblico primario (prevenzione delle ludopatie), e che la massimizzazione della cura di tale interesse condurrebbe ad imporre distanze molto ampie, l’individuazione di una distanza, piuttosto che un’altra, discende invece dall’esercizio di una discrezionalità amministrativa, che effettui la ponderazione con i contrapposti interessi allo svolgimento delle attività lecite di gioco e scommessa, alla luce dei canoni della adeguatezza e della proporzionalità.

La Regione Emilia Romagna non ha stabilito una distanza minima, così onerando gli enti locali di individuarla, contemperando gli interessi in gioco in relazione alle caratteristiche che assumono nello specifico contesto sociale di applicazione.

 

Tuttavia, dichiara il giudice di Palazzo Spada “il Comune di Bologna avrebbe dovuto analizzare in modo approfondito l’incidenza delle ludopatie nel proprio territorio, valutare in relazione ad essa quale distanza di rispetto poteva ritenersi astrattamente adeguata alla consistenza del fenomeno da contrastare, e verificare se, in relazione alla diffusione dei siti sensibili, una simile distanza fosse misura proporzionata e sostenibile, in quanto tale da non impedire di fatto nuove ubicazioni per gli esercizi commerciali del settore e la disponibilità di sedi alternative in vista di possibili trasferimenti degli esercizi in attività.

Può convenirsi che, al riguardo, si trattasse di esercitare una discrezionalità piuttosto ampia, limitatamente sindacabile.

 

Tuttavia, nel caso in esame, non è stato argomentato dal Comune appellante, né risulta dalla documentazione in atti, che valutazioni di tal genere siano state compiute. Ciò non risulta essere avvenuto ai fini dell’adozione della norma regolamentare oggetto della controversia.

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